Roma,
Teatro Lo Spazio (Via Locri 42-44, Metro A San Giovanni). Dal 17 al 22
novembre 2015

Un tema affrontato sin troppo, in teatro,
quello dell’omosessualità. Non sempre
felicemente, molto spesso senza concedere spazio al sentimento e relegandolo in
scene scontate, banali. Tutto quello che non fa questo spettacolo, testo
firmato Mario Gelardi e per la regia preziosa di Giuseppe Miale Di Mauro. Poco
più di un’ora in cui la drammaturgia limpida, semplice, emozionante, viene
esaltata da una regia dal ritmo forsennato, di taglio quasi cinematografico.
Scene chiare, veloci, prive di ogni fronzolo. Sembra quasi il montaggio di una
pellicola, di cui non si perde mai la rotta e il senso. Periferia napoletana,
anni 70, un piccolo mondo antico e difficile, in cui non c’è spazio per
“stranezze”. Emilio, giovane gay, puro e con il sogno di vivere a Londra, trova
lavoro come lavapiatti in un ristorante, gestito da Antonio, scaltro malavitoso
e con simpatie neofasciste. Lì conoscerà il tormentato Massimo, fratello del
titolare, non proprio solare come dovrebbe essere un ragazzo che sta per
sposarsi. Il suo travaglio è la sua vera natura, da sempre nascosta, e che
Emilio riuscirà a far venire alla luce. Ma non si può deragliare da binari già
disegnati e il loro rapporto prosegue nell’ombra, mentre alla luce del sole i
preparativi per il matrimonio procedono, gestiti e decisi dal violento Antonio.
Un sentimento bello, forse il primo autentico delle loro vite, farà i conti con
l’ambiente circostante, che in questi casi ha occhi per vedere e bocche per
riferire. E il conto lo pagherà, come sempre, il più debole, quello che non ha
il branco dalla sua parte, né tantomeno un fratello che lo proteggerà
allontanandolo, come Massimo, con un provvidenziale quanto funereo viaggio di
nozze.