12 dicembre, 2013

Colorando l’Alterità: la ragione e il senso del sentimento ostile. Di Giuseppe Sanfilippo


LA MIA TESI DI LAUREA SULLA DIVERSITÀ CHE COSTRUIVO FIN DA BAMBINO.
UNA GRAND’EMOZIONE CHE VOGLIO CONDIVIDERE CON I LETTORI DEL CORRIERE DELLO SPETTACOLO


Annalisa Minetti
Le nostre vite sono davvero misteriose; fatte di eventi positivi e negativi e avvolte da combinazioni inaspettate. Fin da bambino ho avuto la passione della riflessione, in modo particolare sull’individuo nella sua Alterità concepita da egli in senso di sentimento negativo; ma che cos’è Alterità? – Essa è sinonimo di “Diversità” in ambito filosofico. Si tratta di un argomento molto discusso da secoli. Essa rappresenta la differenza tra un essere e un altro: un Io – Tu, ovvero due identità l’una diversa dall’altra. Possiamo parlare d’alterità quando entriamo in contatto con un altro Io e quindi con qualcuno che sta di fronte a noi, ovvero un Tu; come sostiene il filosofo M. Buber essa a volte si configura come un sentimento ostile, in modo particolare per le minoranze, come ad esempio i disabili o portatori di handicap, omosessuali... in tale contesto, mi sono posto da bambino, il perché l’uomo genera per un suo simile un sentimento ostile. Perché le persone ti vedono diverso? Perché fanno di tutto per fatti sentire diverso disprezzandoti? Perché accade questo, tale ostilità ha una ragione e un senso?
Partivo dal presupposto che nessun essere è incapace d’amare, nessun essere è cattivo di sua natura (poiché tutti siamo figli di un solo Dio, unico padre Divino nostro creatore – e poiché questo è Amore, genera solamente figli capaci d’amare e buoni), ma quella sua malvagità era dovuta a qualcosa che lo faceva stare male; nemmeno il Diavolo era nato a mio avviso cattivo di sua natura. Su queste parole gettavo le basi del mio pensiero; a una prima apparenza la natura dell’ostilità doveva derivare da valori etici morali - religiosi, creati dall’uomo e condivisi, ma qui ponevo un dato di fatto, ovvero: il pregiudizio non esisteva e non esiste (sia storicamente e quotidianamente) in tutti gli esseri umani, ma solamente in alcuni di essi e le prove di ciò erano e sono dimostrate da grandi artisti come Aleandro Baldi, Andrea Bocelli e Annalisa Minetti. Tutti questi personaggi illustri, che vivono e hanno vissuto le loro disabilità senza che ad essi non sia mancato l’amore del pubblico. Qui il diverso non esisteva, come non esiste, per Tiziano Ferro e altri.
Di conseguenza considerare i valori etici morali come causa del pregiudizio era ed è assolutamente errato, evidenziando però che probabilmente questi avevano influenzato l’umanità nel corso dei secoli passati, ma non erano più attuali durante la mia infanzia, come non lo sono oggi.  Iniziando un percorso di ricerche, tali ipotesi e riflessioni sono state confermate, infatti nella nostra cultura e in quella greca la diversità viveva momenti di maggiore tolleranza, vivendo, certo, anche momenti d’intolleranza; questi momenti di intolleranza si verificarono nei momenti di tensioni sociali, come ad esempio durante il declino e la fine dell’Impero Romano, dove si sviluppò una forte intolleranza verso il diverso. In un contesto in cui si perdeva l’identità di un popolo, in cui vi era tensione, disperazione e mancanza di un riconoscimento, si scrivevano nuovi codici morali – religiosi e si attribuiva le colpe delle tensioni al diverso. Tali colpe divennero valori, e sono stati tramandati a secoli successivi, in cui però non mancavano momenti di tolleranza, quando si stava bene, si viveva un equilibrio, non vi era l’altro, non vi si metteva una barriera in mezzo; questi erano momenti in cui comunque non mancavano individui che vivevano un’ostilità. Quindi non c’è una vera e propria ragione morale davanti all’ostilità, questa non esiste nell’uomo in modo vero e proprio. Essa emerge in certi istanti della vita e forse non a caso emerge nell’uomo in tensione o in stato di crisi esistenziale; non dimenticando comunque che:
1) L’influenza famigliare non è da escludere nella generazione dell’alterità. Infatti, durante i periodi che emergevano gli artisti che ho citato, c’era qualcuno che sosteneva che erano riusciti a vincere Saremo per un gesto d’amore delle giurie, cioè che avevano vinto per la loro disabilità; era giudizio morale – religioso, non di ostilità. Ma perché? Guardavo la loro vita, ricostruivo le loro storie, l’educazione tramandata dai genitori, in un contesto molto difficile. Si trattava di persone provenienti da paesi internati, che non stavano in contatto molto con gli altri e che non si aprivano agli altri, dove le famiglie erano vissute come loro. Parlo di persone anziane, persone che avevano avuto genitori nati nell’ ‘800. Le famiglie influenzano molto sulla generazione dell’alterità, ma non come sentimento ostile, ma come sentimento di differenza, di “poveraccio a cui regalare un gesto di compassione, perché debole, perché indifeso e sventurato; incapace di capire, privo d’intelligenza e qualità”. Non vi è qui un sentimento d’ostilità, ma di semplice ignoranza. Questo suscita anche curiosità verso e nei confronti di quel diverso da sé. Ho visto e vissuto persone che si aprivano al disabile, per curiosità, per capire che persona era, come viveva. Allo stesso tempo ho visto che non sempre le famiglie influenzano il sentimento barrato dalla diversità; all’inizio, durante la crescita, un bambino può essere cresciuto, influenzato da un certo giudizio, ma poi questo, diventando grande, entrando in contatto con gli altri, può fare cambiare il giudizio su di sé quel giudizio… non per forza bisogna entrare in contatto con un disabile per questo. Questo aspetto permette la formazione d’ogni io della persona, anche tra fratelli educati dagli stessi genitori. Essi possono avere giudizi diversi, ovvero uno può pensare che un singolo portatore di handicap sia inferiore a lui e quindi può avere un atteggiamento distaccato, mentre l’altro è tutto l’opposto, non si crea limiti, si apre tranquillamente. Basta osservare una famiglia intera, basta osservare ogni componente della famiglia per vedere la diversità comportamentale verso i diversi e non solo. In una parola, con tutto il rispetto, quando i pedagogisti e psicologi o altri dicono che l’ostilità ha un suo fondamento nelle famiglie, dicono giusto, ma allo stesso tempo dico che è tanto sbagliato.  Questi soggetti che ho descritto qui non parlano della persona disabile, magari ne tengono le distanze, ma non dicono nulla sul loro conto.
Andrea Bocelli
2) Ho notato che chi disprezza il diverso, il più delle volte è cresciuto in una famiglia dove non si parlava del diverso o dove l’educazione prevaleva sul principio del rispetto e dell’uguaglianza. Ciò nonostante questi individui avevano da dire, da svalutare, disprezzare e anche da attaccare e avere una violenza sul diverso; perché?  Chi è l’uomo che narra contro il diverso? Cosa vive nel suo animo? Sono tutte queste domande che mi sono posto, arrivando a una specifica conclusione: l’ostilità è un sentimento di frustrazione, che si riversa sull’altro diverso dal proprio sé. Un sentimento d’invidia, derivata da una mancanza di qualcosa, tale irrompe il processo di costruzione dell’identità, che non si configura con un riconoscimento; l’ostilità viene da ciò che noi idealizziamo, su chi sta di fronte a noi: l’altro. L’ostilità porta ad attaccare l’altro, diverso. Attaccarlo, avendo una reazione di violenza su di lui, a causa della propria frustrazione; l’ostilità per causa di frustrazione la si può riconoscere nel dialogo, nel modo di parlare della persona che parla dell’altro. In questo parlare, c’è la narrazione del proprio sé, il racconto della propria storia (anche quella degli insegnamenti famigliari), del proprio dolore e frustrazione. In questo parlare si dice dell’altro, ma quello che si afferma non è l’altro: non si parla dell’altro ma di sé stessi. L’uomo giudica, parla dell’altro per com’è egli, e mai per com’è fatto l’altro. L’altro non esiste in quello che si dice di quest’ultimo. L’altro è un bisogno di gettare, la propria frustrazione, di narrare il proprio dolore. L’uomo usa l’altro, l’uomo ha bisogno dell’altro.
Questa è stata la conclusione a cui sono giunto, facendomi raccontare le vite di ogni singolo individuo che disprezzava un altro, avvicinandomi al loro modo di fare, alle loro insoddisfazioni della propria esistenza; guardavo le loro vite e ascoltavo le loro parole, cercando di capire cosa cercavano se in quelle parole c’era una storia del proprio essere ed escludendo assolutamente che si trattava di persone ammalate; cercando ancora di costruire i bisogni di un singolo uomo ho idealizzato che l’uomo ha bisogno di trovare un riconoscimento, una sua identità; quando non la trova è chiuso ed incatenato in una gabbia, illuminata da una finestra, da dove poteva affacciarsi e vedere l’altro, in modo nebbioso, poiché anche il disabile a volte vive dei suoi momenti di frustrazione e dolore; In ogni modo, nella nebbia l’uomo non vede questo ma solo l’altro, ossia un essere che sorride alla vita, che ha una forza vitale che affronta le sue difficoltà e frustrazioni senza cercare una via di sfogo, che realizza e costruisce la sua identità senza mai fermarsi: è una forza vitale, un vulcano unico e impossibile da fermare, ma colui che vede il diverso vede soltanto quello che vuole vedere, cioè la persona che ha tutto, e così l’uomo si trasforma in un cuore ghiacciato che senza pietà colpisce, ma nessuno per natura è cattivo. 
Il disabile sorride alla vita senza mai chiudersi in una gabbia o incatenatosi nelle sue sventure. Annalisa Minetti è l’esempio più classico di ciò, capace di salire sul palco di Miss Italia prima e dopo su quello di Saremo - come del resto hanno fatto A. Bocelli e A. Baldi prima di lei. Ha inoltre debuttato nel 2000 come attrice al musical "Beatrice & Isidoro" nei panni di Beatrice... una capacità e vitalità enorme, vivente nelle persone disabili in modo particolare.
Tutta questa riflessione è stata svolta da me con molta passione e molta difficoltà, poiché ero bambino e sinceramente, pensandoci oggi, non mi rendo conto come ho fatto a costruire ed elaborare tale riflessione, soprattutto anche perché ho dedicato attenzione, ascolto alle persone per cercare di capire gli altri, cosa c’è dentro di essi, cosa si nasconde in loro, non è facile, nè per un bambino né per un adulto.
Un giorno la vita cambiò in modo sorprendente; ero un ragazzo determinato, che aveva stabilito di continuare a studiare, avevo stabilito che la mia strada era quella di fare il commercialista, senza mai abbandonare il mio sogno di insegnare (continuando sempre la mia passione per l’elaborazione di pensieri),  ma fu in questo itinerario che alla facoltà di economia trovai un muro da dover abbattere. Non sono mai stato uno che si arrende facilmente, ma per la prima volta non sentivo più il bisogno di lottare per quel percorso che avevo scelto con passione e volentieri, mi rimaneva solo il sogno della laurea. Conobbi delle persone che mi consigliarono di dedicarmi ad altro, tra cui una grande amica che mi consigliò di dedicarmi alla filosofia; allo stesso tempo ho avuto una ragazza che ho amato, che mi incoraggiò a dare ascolto all'amica, mi ascoltò, mi consigliò senza lasciarmi mai solo. Le cose con questa ragazza non andarono come speravo, la vita mi ha dato uno schiaffo, ma mi sono gettato con il cuore nello studio della filosofia, che è stata un grande incontro, una fortuna, una fonte e un arricchimento. Un arricchimento del mio pensiero sulla diversità, una soppressa che mi ha dato dei brividi, come quando ho scoperto il mito della caverna di Platone, il dialogo socratico e anche l’esistenza della consulenza filosofica inventata e fondata dal maestro Gerd B. Achenbach; ho trovato tratti del mio pensiero sull’uomo, sulla sua diversità, sul modo di capirlo e ascoltarlo, di aiutarlo, in un tutt’uno in cui la consulenza filosofica si basava e si basa suoi i miei principi. Dei grandi brividi, oltre un arricchimento, mentre giungevo alla conferma che veramente il diverso è disprezzato perché l’uomo vive le sue frustrazioni: per un dolore esistenziale l’uomo vede l’altro. Si serve di uno per lui attribuire ogni male, ogni dolore; un individuo da usare per raccontare se stesso. Fu per me una gioia enorme il momento in cui pensai di mettermi al lavoro della mia tesi di laurea. In quest’atto mi sono trovato un professore che, guarda caso, mi propose proprio l’argomento dell’Alterità come tesi di laurea; una sorpresa, un brivido che non mi sarei mai aspettato.
Una gioia, un’emozione, un brivido che voglio condividere con i lettori del Corriere dello Spettacolo e con il suo fondatore che pubblica i miei saggi e articoli. Una gioia e un bisogno di dire, di gridare che la vita è una sorpresa, è strana, è difficile, ma non dobbiamo mai arrenderci, perché quello che può accaderci nessuno lo sa e non lo si saprà mai. Una gioia e un’emozione è il desiderio di dire e svelare che le persone che vedono un diverso, che lo disprezzano, che lo colpiscono, in realtà sono anime sofferenti, frustate, chiuse in una caverna, che gridano il loro dolore; altre volte sono individui che cercano di conquistare gli altri, di far di tutto per essere simpatici.
José Feliciano
Qui dico questo con la soddisfazione per le mie ricerche che hanno dato un esito positivo e la soddisfazione ed orgoglio per i miei studi in filosofia, e con il desiderio di svelare ancora a tutti un’altra realtà assoluta e cioè che l’Alterità come sentimento ostile ha un senso e una ragione d’esistere; senso e ragione che dobbiamo cercare dentro di noi, il proprio Sé. L’alterità è un sentimento negativo ma che serve per la nostra costruzione, per quello che siamo divenuti; senza l’alterità la vita sarebbe silenziosa, priva di canti e suoni, priva di sviluppo umano, di amore (perché è attraverso e grazie l’alterità che nasce l’amore – detesto cosa ci colpisce della nostra Lei? – la sua diversità). L’Alterità è rafforzamento; a volte è protezione e un dare e un donare... la vita senza alterità sarebbe fatta di un solo colore, saremmo privi di maturità, di costruzione delle nostre filosofie. Essa è un aspetto negativo – ma nel negativo c’è sempre qualcosa di positivo, come a sua volta in questo c’è il negativo. La persona che scrive è un portatore di handicap (orgogliosamente) e tante volte ha dovuto affrontare il sentimento ostile. Le ultime volte che lo ha fatto è stato per amore – in cui appunto ho scoperto che la diversità è gesto d’amore, visto che è proprio la diversità che scatena in noi una voglia di proteggere, dare amore a quel diverso che emoziona ogni giorno la propria vita. Contemporaneamente mi trovai alla conferma del sentimento ostile per ragioni di frustrazioni e dolore che l’uomo infligge; attraverso una persona che era per me il mio migliore amico – il quale un giorno mi ha fatto capire che se era un amico lo era per quello che rappresentavo. Un colpo al cuore, sì, ma mi diede lo stimolo di cercare, di studiare, di dedicarmi agli altri, di scoprire la mia capacità di comprendere quanto si è fragili, al tal punto da gettare la sua frustrazione su di me. Al contempo  ad egli si congiunge uno psicologo (che ha studiato tra l’altro in quella in cui si dice che sia la migliore scuola di psicologia – fatta e costituita da un maestro che sarebbe uno dei migliori) che gridò anche la sua rabbia, frustrazione, odio verso uno che aveva trovato la sua strada, uno che sapeva e sa trovare il bello anche nelle cose tristi della vita. Qualcuno che legge questo articolo (che ho modificato tante volte poiché non è facile dire quello che senti e rivivere certi momenti) potrebbe pensarmi come uno sfigato, potrebbe pensare quell’amico e quello psicologo come persone indegne. No, nulla di questo è vero, inoltre, nessuno è indegno, ma speciale di sé. Queste sono state variabili della vita, incontri di vita, che servono a crescere, a maturare e in una parola a costruire un senso alla propria vita, una propria filosofia, scoprire il proprio talento, scoprire quanto l’umanità è meravigliosa, perché quell’amico e quello psicologo, se hanno gettato veleno, lo hanno fatto perché hanno dei cuori e dei sentimenti – e il tutto fa un’opera d’arte, il tutto fa l’autenticità umana e di ogni uomo. Io ringrazio quei due, perché io senza loro non avrei scritto la mia tesi. Senza ogni esperienza non avrei scritto la mia vita. A sua volta non avrei fatto la stessa cosa, senza aver incontrato la donna che ho amato. Ho imparato che nulla cosa nasce dal nulla e nessuna cosa accade per nulla o senza una ragione, siamo liberi ma ci aiutiamo a far emergere la verità del nulla, ci aiutiamo ad arricchirci e a fare della vita un’opera d’arte, una musica bella. In questo panorama voglio ringraziare il professore F. Abbri e il collega M. Micheletti (relatore e correlatore della mia tesi) e tutti i loro colleghi (che ho incontrato nel corso dei miei studi) dell’Università di Siena del Dipatimento di scienze della formazione – studi umanistici e della comunicazione interculturale  della sede di Arezzo (che consiglio di scegliere a chi vuole studiare all’università – per il bell’ ambiente e i bravi docenti che ci sono qui, non dimenticando tutti coloro che ci lavorano ed evidenziando l’esistenza preparata e qualificata dell’Ufficio Accoglienza Disabili), diretto dalla professoressa L. Fabbri. Un grazie alla redazione del Corriere dello Spettacolo, che pubblica i miei saggi e articoli e un grazie ai suoi lettori che li leggono; con tutti condivido la mia felicità e gioia del mio lavoro e anche la mia passione e amore per la consulenza filosofica, a cui mi dedico per amore per l’umanità.


Giuseppe Sanfilippo

6 commenti:

  1. Ci sei riuscito. Sei un grande osservatore, studioso, ricercatore e un grandissimo filosofo

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  2. Grande dottore Giuseppe Sanfilippo: Sono veramente felice per te, grande uomo di grande coraggio e forza, capace di affrontare e vincere anche anche l'inferno e di aiutare contemporaneamente anche gli altri.
    Un uomo super intelligente ma un po' stupido che mi fa arrabbiare perchè al mondo vi sono persone che occupano il posto che spetta a te, non è giusto startene disparte da tutto. Tu hai costruito tutto da te, gli altri l'hanno fatto ma appoggiandosi agli altri e se non c'erano questi non avrebbero fatto nulla. Prenditi quello che ti aspetta caro amico mio. È giusto che gli altri ti chiamano professore piuttosto di farsi chiamare loro.

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  3. Un numero uno della ricerca e dell'osservazione

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  4. Semplicemente una bellissima tesi! Sei un bravo 'professore'(perché ti ho conosciuto ieri alla Dante) ed anche dopo aver letto queste tue parole un GRANDE scrittore. Vorrei ricevere i tuoi gialli, dato che mi piace molto leggere quei tipi di letture... Ma non so su dove li posso trovare... Ti lascio la mia mail.. Così se hai tempo mi passi il link per trovare le letture? Bren_ilcuoreebello@hotmail.com Grazie mille! Saluti dall'Argentina Buenos Aires. 😊

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