21 ottobre, 2013

“L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett. Regia, interpretazione, scene e ideazione luci di Robert Wilson. CRT, Triennale Teatro d’Arte, Milano, 20 ottobre 2013. Serata inaugurale. Un progetto di Change Performing Arts. Prodotto da CRT Milano Centro Ricerche Teatrali. Di Daria D.


Presentiamo la recensione sullo spettacolo “L’ultimo nastro di Krapp”, scritta dalla nostra Daria D. e con traduzione in inglese della nostra stessa collaboratrice.

Foto Lucie Jansch
La Triennale di Milano e il CRT Milano riaprono le porte del Teatro dell’Arte  con il personaggio ormai mitico di Krapp, creato da Beckett nel 1958, e il cui concetto drammatico non smette di affascinarci per la sua contemporaneità  e genialità.  Insomma un’opera che è  sempre moderna di per sé, perché l’arte quando è Arte non ha bisogno di reinvenzioni ma solo di continuare a comunicarci la sua bellezza e profondità.
Questo Krapp, che nelle intenzioni di Beckett è un uomo ormai anziano, uno scrittore mezzo fallito, solo e disilluso, che ripercorre momenti del suo passato  ascoltandoli  da registrazioni fatte nel corso della sua esistenza,  è interpretato e diretto da Robert Wilson. Nonostante la bravura di Wilson, Krapp  non comunica  solitudine né rabbia,  dramma o  comicità.  Prevale  l’esteriorità più che la verità dell’interpretazione.
 Immobile nei suoi sguardi che cercano il passato e quando lo trovano lo deridono, lo distruggono come se quel passato non fosse stato suo, ma di un altro, oppure ondeggiante, a causa dell’ alcool, o per il retaggio di coreografo di Wilson,  Krapp non emoziona, e ci lascia poco convinti.
Krapp non è mai veramente clown, eppure Wilson secondo le indicazioni di Beckett si dipinge la faccia di bianco, ma non di rosso il naso, chissà perché, dopo presunte bevute nel retro, da cui esce saltellando allegramente.  Allora quella maschera volutamente usata forse per impressionarci, che senso ha? E se quel viso bianco fosse stato, secondo Beckett, oppure come nuova idea drammatica,  il viso emaciato e pallido di un uomo malato, che raramente esce da casa e se esce, magari lo fa dopo il tramonto per andare a sbronzarsi, in solitudine, e il freddo della notte gli fa diventare il naso congestionato? E le scarpe troppo grandi di cui parla Beckett? Wilson non le ha prese in considerazione, per fortuna. Così facendo, però, ha lasciato il clown a metà, incompiuto. E quando mangia le banane, perché quella tremenda insopportabile lentezza, quel voler rendere esasperante un gesto che di per sé non lo è? Krapp mangia le banane, e allora?
 Questo Krapp non è buffo, e nemmeno drammatico.  Non riusciamo a “sentirlo” e purtroppo l’unica cosa che sentiamo  è un sonoro spaventoso di pioggia sulle lamiere, che rimbomba per ben venti minuti iniziali. Troppi. Un sonoro che copre molti vuoti.
 Krapp non è nemmeno mai un uomo solitario, non si capisce se parla a noi spettatori o a se stesso, e anche l’ambiente dove vive è generico pur essendo molto impegnativo, e ci viene spontanea la “banale” domanda, se Krapp sia a casa sua o in un ufficio o in prigione.  Perché domande tanto “banali” come: A che scopo? Come?  Dove? Quando?  Perché?  molto spesso,  non hanno risposta? Non dovrebbero essere alla base di ogni testo teatrale, messa in scena e interpretazione? Anche delle più vecchie sperimentazioni?
 E non è nemmeno pazzo, questo Krapp nonostante si atteggi a tale, usando gesti teatrali d’effetto, pause studiate, piroette e balzi, grugniti e urletti, cambi di umore.
Dov’è nascosto quel Krapp che arrivato quasi alla fine della vita, se ne sta in solitudine, bevendo, rimuginando, maledicendo, mangiando banane e riascoltando bobine su cui ha inciso la sua vita, quella che pensava felice e che ora gli appare vuota e superficiale, da cui sembra prendere le distanze come se ascoltasse la vita di qualcun altro? Sembra… perché chi, sulle soglie della morte,  non vorrebbe ritornare indietro a rivivere qualche momento felice?
Forse Beckett non voleva scrivere un dramma, in fondo, avere ancora poco da vivere, passarlo in una semi prigione, mezzi ubriachi, imprecando e prendendo in giro se stessi e il mondo intero, senza nessuno che ci ascolti, spellando banane, non è un dramma, o mi sbaglio? Forse una farsa? Ma allora non avevamo bisogno di Beckett per scoprire che la vita è la farsa più raffinata che sia mai stata scritta.
Ma quella, porta la firma di Dio.


Ecco a seguito la traduzione…

Foto Lucie Jansch
“Krapp's last tape” by Samuel Beckett
Directed and performed by Robert Wilson
Sets and light design by Robert Wilson

CRT, Triennale Teatro d'Arte, Milan. October 20, 2013. Opening night
A project by Change Performing Arts
Production of CRT Milan, Centro Ricerche Teatrali. Di Daria D.



Milano Triennale and CRT reopen the Teatro dell'Arte with the mytical character of Krapp, created by Beckett in 1958 whom dramatic concept never ends to fascinate us, being so contemporary and genial. A play that has modernity per se, because art when is Art, doesn't need inventions of sorts in order to continue to communicate its beauty and deepness.

This Krapp. who in the mind of Beckett is an elderly man, a sort of failed writer, lonely and disenchanted, recounting moments of his past taped during his lifetime, is performed and directed by Robert Wilson. In spite of Wilson's talent, Krapp doesn't comunicate solitude nor rage, drama nor comedy. We feel the exterior of the interpretation more than the truth.

Static his look is searching for the past and when he founds out about it, he scorns it, trying to ruin it as like that past wasn't belonging to him. Or sometimes, swaying because of alcohol or Wilson's heritage of choreographer,  Krapp is not able to moving us, rather he leaves the spectators a little bit disappointed.
Krapp is never really a clown, though Wilson under Beckett's directions whitens his face, but not reddens his nose, who knows why, after boozing in the back of a pigeon hole library, from whom he pops out happily dancing. So, what's the purpose of that white mask? To make an impression on us? How about interpreting that symbolic mask  as the pale and haggard face of an old man, maybe sick, who gets out only in the night, to get drunk, lonesome and with his nose reddish for the cold air? How abou the extra size shoes used in the original text? Thank God Wilson didn't take into consideretion. But this choice leaves his clown cripple, unaccomplished.
When he eats the bananas, why such dreadful exasperating slowness, although this in itself is not?
Krapp eats bananas, so what?

This Krapp in not funny, nor dramatic. We find it hard to “feel” him, and unfortunately the only thing we hear is a tremendous sound of the rain falling on the metal sheet, lasting the first twenty minutes. Too much. A sound that covers many voids.
This Krapp in never either a solitary man:  is he talking to himself or to us, the audience? Even the location although very demanding, is generic. So we ask the simple trivial question: where is Krapp? In his house? In an office? Or in prison?
Why trivial questions like: How? Where? Why? What? When? very often are not answered? Shouldn't they be the foundations of every dramatic text, staging and performance? Also  at the basis of the oldest experimentations?
He is not even crazy, even though posing as such, using showy gestures, studied pauses, pirouettes, leaps, grunts and shrieks, changes of mood.

Where is hidden Krapp, now almost at the end of his life, leaving alone, boozing, mumbling, cursing, eating bananas and listening to spools on which he recorded all his life, what he tought was happy and now appears empty and superficial? He almost trys to keep the distance from his past life.  But who wouldn't, at the death's door, going back to revive some happy moments?

Maybe Beckett never intended to write a drama, because, after all, being at the end of life, secluded in a kind of prison, half drunk, cursing and mocking himself and the rest of the world, peeling banans, what kind of drama is it? Am I wrong?
Maybe is just a  farce? But then, we didn't need Beckett to discover that life is the most refined farce ever written.
Signed by GOD.


Daria D.
Translation from Italian by Daria D.



Domenica 20 ottobre 2013 – ore 19.30
Robert Wilson
in
L’ULTIMO NASTRO DI KRAPP
di Samuel Beckett
regia, scene e ideazione luci Robert Wilson
costumi e collaborazione alle scene Yashi Tabassomi
lighting design A.J. Weissbard
sound design Peter Cerone e Jesse Ash
collaborazione alla regia Sue Jane Stoker
assistente alla regia Charles Chemin
direttore tecnico Reinhard Bichsel
supervisione luci Aliberto Sagretti
ingegnere del suono Guillaume Dulac
direttore di scena Thaiz Bozano
capo macchinista Violaine Crespin
make up Claudia Bastia
assistente personale di Robert Wilson Julian Mommert
coordinamento di produzione Laura Artoni
un progetto di Change Performing Arts
commissionato da Grand Théâtre de Luxembourg, Spoleto52 Festival dei 2 Mondi
prodotto da CRT Milano I Centro Ricerche Teatrali
spettacolo in inglese con sottotitoli in italiano

durata 70 minuti senza intervallo

1 commento:

  1. Recensione davvero superficiale e intrisa di giudizi personali che si discostano da un'analisi obbiettiva dello spettacolo.
    Considerando anche la risposta entusiastica del pubblico in sala, evidentemente il regista/interprete ha saputo mettere in scena il testo di Beckett, di rara complessità, in modo magistrale, coinvolgendo e rendendo l'intenso flusso intimistico del protagonista, attraverso una scelta tecnica e scenografica, di suoni e luci che caratterizza la sapienza teatrale sperimentale di Wilson.
    Le considerazioni, soprattutto finali, a titolo personale, dell'autrice della recensione sono fuori luogo, superficiali e imprecise. E non rendono giustizia né allo spessore del testo né tantomeno alla riuscita della messa in scena nel suo complesso.

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