22 febbraio, 2016

I Cavalieri sexy di Hervé. Di Luca Benvenuti


Teatro Malibran, Venezia. Dal 7 al 13 febbraio 2016

La prima italiana de Les Chevaliers de la Table ronde durante il Carnevale lagunare è stato l’evento più atteso dagli addetti al settore, gongolanti come bimbi sulle poltroncine rosate del Malibran. Ciò si deve all’encomiabile ed incessante ricerca musicologica del Palazzetto Bru Zane, vivace realtà che da anni riscopre autori francesi sconosciuti ai più. In questo caso si tratta del cosiddetto ‘padre dell’operetta’, Louis-Auguste-Florimond Roger alias Hervé, che si contese letteralmente le scene col ‘figlio dell’operetta’, Offenbach. Hervé, cantante, compositore, librettista e impresario, abbandonò la carriera d’organista a Saint-Eustache per dedicarsi all’apparentemente più remunerativa carriera musicale teatrale. Le note biografiche le lascio al tempo dei lettori, ma curioso sarà sapere che a Venezia di Hervé già si era vista Mam'zelle Nitouche, nota come Santarellina, che dopo Roma e Parma approdò proprio al Teatro La Fenice nel 1922, con la Compagnia Petroni-Fineschi-Olivieri, e nel 1927, con Ines Lidelba Fronticelli ed Alfredo Orsini.

Riguardo al titolo in questione, mi preme far notare che ne esistono due versioni, una del 1866, accolta tiepidamente, e una del 1872, occasione ben più fortunata. Il Palazzetto Bru Zane propone la trascrizione per dodici strumentisti di Thibault Perrine, pensando che tale operazione basti a sottolineare le peculiarità musicali di Hervé. Essa attinge da entrambi le versioni, da cui Pierre-André Weitz e Victoria Duhamel tagliano e spostano pezzi per esigenze drammaturgiche e di compagnia. A parer mio, modesto ovviamente perché c’è sempre chi possiede la Verità pronto a contraddirmi, si è sentita musica interessante, diversa dal solito, ma poco orecchiabile, piena di elementi formali autocompiacenti, quali virtuosismi vocali (scritti apposta per i cantanti dell’epoca, assai dotati in estensione) e strumentali, sillabati, recitativi con sorpresa, onomatopee e giochi semantici. Nonostante mi chieda allora quale sarebbe potuta essere la portata di tale materiale con un’orchestra completa, nell’interezza della prima o seconda versione, ritengo gli Chevaliers non paragonabili ai capolavori di Offenbach, palese esempio di allievo che supera il maestro, se si vuol ragionare in termini di paternità e figliolanza. Comunque sia, Christophe Grapperon, alla guida della compagnia Les Brigands, si dimostra direttore attento e luciferino, sempre vigile sul rapporto tra scena e buca. Tale concentrazione permette di creare le giuste atmosfere per far risaltare le doti dei cantanti e sancire momenti di musica gradevoli e leggeri.

Ciò premesso, lo spettacolo di Pierre-André Weitz funziona perché tutto è studiato nei minimi dettagli, permettendo alla consequenzialità delle azioni di non cadere in momenti di controsenso drammaturgico. Ogni scelta è accuratamente pensata all’interno di un linguaggio comico che celebra una scanzonata sessualità e mescola elementi della tradizione francese – ci scorgo il circo, Marcel Marceau, Tati, Pierrot, qualche vago accento genettiano – con più contemporanee influenze sadomaso e una mai volgare carica erotica. Tutto giocato sul bianco e il nero, l’allestimento sfrutta una struttura a righe verticali semplicissima che diventa al contempo piazza, dimora di Rodomonte e castello di Melusina tramite veloci cambi scena. Le luci di Bertrand Killy svelano intrighi, nascondono sodomie e penetrazioni (simulate, stiano tranquilli i moralisti), incorniciano intermezzi ironici, gettando sul tutto una luce giallastra da antico teatro di provincia, luogo assai ben conosciuto dal compositore. 

Va apprezzato inoltre il lavoro che gli artisti hanno fatto sul corpo, grazie a Iris Florentiny e Yacnoy Abreu Alfonso, perché dimostrano una scioltezza notevole nei movimenti scenici, frutto di un palpabile e disinvolto spirito di squadra. Tra tutti, si distinguono Chantal Santon-Jeffery, Melusina punk dall’ottima estensione vocale, l’Angelica finta ingenua di Laura Neumann, Ingrid Perruche, molieriana Totoche, lo stranito Medoro di Mathias Vidal e l’Orlando sexy di Rémy Mathieu. Qualche dubbio rimane sul Rodomonte di Damien Bigourdan, eccessivamente caricato al limite dell’isterismo. Unisco in un unico plauso i rimanenti membri del cast.
Applausi entusiasti durante e al termine da parte del nutrito pubblico.

Luca Benvenuti



Les Chevaliers de la Table ronde
Andato in scena dal 7 al 13 febbraio 2016 al Teatro Malibran di Venezia
                                                       
Opéra-bouffe in tre atti
Libretto di Henri Chivot e Alfred Duru
Musica di Louis-Auguste-Florimond Roger, detto Hervé
Trascrizione di Thibault Perrine per tredici cantanti e dodici strumentisti

Personaggi e interpreti:
Il duca Rodomonte: Damien Bigourdan
Sacripante: Antoine Philippot
Merlino: Arnaud Marzorati
Medoro: Mathias Vidal
La duchessa Totoche: Ingrid Perruche
Angelica: Lara Neumann
Melusina: Chantal Santon-Jeffery
Fleur-de-Neige: Clémentine Bourgoin
Orlando: Rémy Mathieu
Amadigi di Gaula: David Ghilardi
Lancillotto del Lago: Théophile Alezandre
Rinaldo di Montalbano: Jérémie Delvert
Ogier: Pierre Lebon

Direzione: Christophe Grapperon
Regia: Pierre-André Weitz
Assistente alla regia: Victoria Duhamel
Lavoro sul corpo: Iris Florentiny e Yacnoy Abreu Alfonso
Scene e costumi: Pierre-André Weitz
Assistenti: Pierre Lebon e Mathieu Crescence
Luci: Bertrand Killy
Direttore di scena: Ingrid Chevalier

Strumentisti della compagnie Les Brigands
Maestri del coro: Nicolas Ducloux e Christophe Manien

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