12 maggio, 2015

C’è da aver paura di Virginia Woolf. di Greta Salvi


"Chi ha paura di Virginia Woolf?" Il titolo del dramma di Edward Albee riecheggia, parafrasandola, la canzoncina dei "Tre porcellini" disneyani: “Who’s afraid of the big bad wolf?”
E c’è di che avere paura, in effetti.
Lo spettacolo, diretto e interpretato da Arturo Cirillo e prodotto dal Teatro Menotti di Milano (dove è in scena fino al 24 maggio), mette in scena due coppie.
Martha e George, coniugi di mezza età, invitano a casa loro due giovani sposi appena conosciuti, Nick e Honey. É notte fonda e mentre l’alcool scorre, come un basso continuo, i quattro perdono tutte le inibizioni e sospendono ogni ritegno. Le frecciatine iniziali tra Martha e George si trasformano in uno svergognarsi reciproco, che ben presto coinvolge anche gli ospiti. Martha, moderna Madame Bovary, rinfaccia al marito la sua mediocrità, che gli ha impedito di raggiungere gli alti livelli della carriera accademica. George si difende a stento dalle aggressioni della moglie e, entrato in competizione con Nick (a sua volta docente universitario), trascina la coppia più giovane in un gioco al massacro, svelando crudelmente le confidenze ricevute da Nick sulla gravidanza isterica di Honey e sul loro conseguente matrimonio riparatore.
In un crescendo di tensione e angoscia, il salotto di Martha e George diventa un luogo di tortura, in cui i quattro personaggi ricoprono a turno il ruolo di vittime e carnefici. Tra pianti, urla, crolli, ricatti, e recriminazioni, la violenza verbale diventa fisica e la situazione precipita.
La vita sociale dell’alta borghesia, con le sue convenzioni e le sue trame, è uno sfondo da cui emergono la frustrazione e il rimpianto per le occasioni perdute, per le scelte sbagliate, per i desideri irrealizzati. In particolare il desiderio di maternità, divenuto in Honey nevrosi e ripulsa e in Martha ossessione, che arriva all’invenzione di un figlio immaginario.
Come regista, Arturo Cirillo vince una difficile scommessa: il testo, sospeso tra realismo e surrealtà, non è di facile lettura, né semplice da interpretare. «Non è tanto nella sua lettura che si coglie la vera qualità della scrittura - afferma Cirillo - ma nell'incarnazione umorale e psicologica che avviene quando si incomincia a lavorare con gli attori». Va infatti agli interpreti il merito della resa coinvolgente del dramma. Milvia Marigliano giganteggia nel ruolo di Martha: la sua interpretazione dirompente catalizza l’attenzione del pubblico e rispecchia la centralità del personaggio, vero asse dell’azione drammatica. Edoardo Ribatto è a proprio agio nella parte dell’accademico rampante Nick. Valentina Picello, nel ruolo di Honey, appare sulle prime un po’ didascalica, ma rivela un’inaspettata potenza nelle scene di maggior violenza ed emotività. Come interprete di George, Cirillo è in grande sintonia con tutti soprattutto con Martha-Marigliano: la loro intesa scenica (già rodata nell’allestimento de Lo zoo di vetro, del cui cast faceva parte anche Ribatto) crea momenti di grande intensità drammatica.

Dopo l’esperienza con il testo di Tennessee Williams, Cirillo prosegue un ideale percorso nella drammaturgia americana: dalla piccola borghesia degli anni Quaranta all’upper class dei Sessanta, il regista porta in scena, con intelligenza e malinconia, delusioni, paure, sconfitte e amarezze di una società non così lontana né così diversa dalla nostra.

Greta Salvi

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