08 luglio, 2014

Confessioni di un burattino senza fili. Il racconto della vita, la “colpa” dell’attore. Di Paolo Leone


Teatro dei Conciatori, Roma. Lunedì 7 luglio 2014

Ci sono spettacoli, solitamente nei circuiti off, che spiazzano, confondono, illuminano, complicano concetti sedimentati ma, in fin dei conti, riassumono tutte le idee che hai raccolto in una lunga stagione teatrale. Il Teatro dei Conciatori, realtà ormai felicemente affermata nel panorama romano, ha il pregio e l’arguzia di scovare e proporre testi e personaggi insoliti e non si smentisce in questa ministagione estiva, suo fiore all’occhiello. “Confessioni di un burattino senza fili”, di Luca Gaeta e Salvatore Rancatore, ha tutte le caratteristiche sopra citate, tali da coinvolgere lo spettatore e indurlo ad abbandonare la passività, a far propri i concetti sciorinati dal loquacissimo protagonista (Salvatore Rancatore), novello Pinocchio e straordinario cantastorie. Il racconto della vita, di chi la vita spesso la racconta e la vive come ognuno di noi, l’attore che cerca “un’ombra di verità”.
L’attore che si fa luce nel buio, che invita a vivere senza tralasciare i sogni, senza permettere alla paura di intralciarli. Dal momento della nascita, dalla nostalgia delle cose andate, ad una nuova esistenza immaginata, agognata, pregna di saggezza. “Facciamo che io ero…” preludio delle fantasie di bambino, e da qui il nostro burattino senza fili ci porta nel suo viaggio, nel nostro viaggio, nel dolore, nell’amore, nelle domande e nelle bugie della vita, cercando, noi burattini, un’esistenza senza fili, un destino nostro attraverso l’esperienza, i fallimenti, il non sentirsi all’altezza del dono ricevuto dai nostri genitori, la rivalutazione delle diversità. Confessa, il burattino-Rancatore, di voler vivere nel soffio del vento. Ci diverte e ci fa riflettere.
L’inizio della vita è un lamento, per il ciocco di legno destinato a divenir Pinocchio e per chiunque. La scoperta del dolore e dell’amore, in una continua altalena. La memoria che tende a dimenticare il primo, in una continua rinascita.
Un monologo travolgente e non facile a primo impatto, ma che ammalia chi assiste, interagisce con il pubblico sin dall’ingresso in sala, permettendo ad ognuno un suo personale percorso. Un filo che va a tessere le sue ragnatele di meditazioni in ognuno, tutte diverse l’una dall’altra. E’ il gioco della vita, dei vissuti, che prende corpo ad ogni riflessione dell’attore sul palco che parla, canta, confessa il suo peccato più grande, che è quello di non smettere di sognare.

Confessa “il colore delle stelle”, “quel che vede un cieco e quel che sente un sordo”, il suo farsi saltimbanco, equilibrista sul filo, mentre passa in mezzo al pubblico con un palloncino in mano in un finale di struggente poesia. Confessa la fortuna di carezzare ogni tanto l’anima di chi sta seduto nel buio. Come il pezzo di legno che si fa uomo, uccidere una vita e viverne una nuova, lasciarsi vivere. Non è quel che fa ogni attore? Estrema solitudine ed estrema condivisione.  Ha ragione lui… “Pinocchio non esiste, perché la vita non si può raccontare.” Confessioni di un burattino senza fili ci riesce, regalando un pizzico di divertente poesia nelle afose notti d’estate romana.

Paolo Leone


Confessioni di un burattino senza fili
di Luca Gaeta e Salvatore Rancatore
Con: Salvatore Rancatore e Fefo Forconi (chitarra); Regia: Luca Gaeta

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