17 aprile, 2014

Zygmunt Bauman ci racconta la società liquida. Di Giuseppe Sanfilippo


Il gran professore e sociologo ospite ad Arezzo il 28 marzo 2014 ci ha regalato una sua lezione sulla società attuale che stiamo attraversando, nello specchio della crisi politica – economica e non solo… 

Il 28 marzo di quest’anno la città di Arezzo ha ospitato il sociologo Zygmunt Barman, che ha iniziato la sua prima giornata di tre giorni ad Arezzo con il benvenuto nella sala del Consiglio comunale; accolto anche dal dipartimento di scienze della formazione, scienze umane della comunicazione interculturale di Arezzo DSFUCI (ateneo dell’università di Siena) il sociologo ha dato lezione di quella che ha definito “società liquida”, che ha messo fine alla “società solida”. La lezione di Barman è stata introdotta dal professor Ferdinando Abbri, storico della filosofia, e preceduta dai saluti del prorettore Francesco Frati, del direttore del DSFUCI di Arezzo Loretta Fabbri e dall’assessore comunale Pasquale Macrì. Il giorno dopo Bauman ha incontrato gli studenti delle scuole superiori presso il Teatro Tenda, un confronto sul tema della civiltà digitale coordinato dai ricercatori del Dipartimento Francesca Bianchi e Claudio Melacarne. Al DSFUCI Barman ci ha spiegato cosa intende per società liquida, facendo riferimento alla grave crisi politica – economica… ma anche a quella delle relazioni interpersonali, che producono delle trasformazioni nella struttura e nei valori della società, l’aumento d’insicurezze, ansie, paure, preoccupazioni; in quest’ambiente al mio avviso le relazioni interpersonali sono il primo punto di partenza della società liquida, poiché non esistono più delle relazioni forti e solide, ma fragili; esse incidono molto nella politica, nell’economia e in tutto il sistema sociale in generale. Viviamo in una società liquida, che ha troncato quella solida, che ha avuto inizio, o perlomeno ne possiamo trovare tracce, a partire dall’Illuminismo dove si sviluppava l’ideale della felicità comune a tutti, dove si pensava a costruire il bene comune, là dove i rapporti erano sacri e quindi non precari.
Questo è un piccolo saggio che ho voluto dedicare al grande Bauman, di cui sono rimasto molto affascinato e che mi ha inspirato molto a riflettere sul nostro domani in un momento storico in cui tutto, dai rapporti interpersonali alla religione, all’educazione, sono precari. Mi pongo la domanda: Come possiamo superare le nostre paure e preoccupazioni? Credo che per partire o realizzare un programma bisogna cercare di tracciarne uno plausibile, perché si possa diffondere un po’ d’ottimismo nell’opinione pubblica. In quest’ambito possiamo trovare valide ragioni, produrre diverse motivazioni, ma credo che in ogni caso “nulla accade per nulla, ma c’è un motivo a tutto”; la liquidità che stiamo attraversando, al mio avviso, ha un fondamento più diverso da quello che vediamo o che pensiamo. Per comprendere il perché siamo arrivati al raggiungimento di una società liquida, dobbiamo partire dal punto d’arrivo che abbiamo raggiunto nella società solida; noi abbiamo attraversato, anzi i nostri genitori hanno attraversato, una società, un tempo, un’epoca di grande progresso e benessere, tanto che nel bene e nel male tutti avevano, e hanno, tutto; sembrava che questo “avere tutto” avrebbe avuto valore anche per le prossime generazioni, ossia la nostra. Questo “aver tutto” cosa ha comportato? – in semplici parole a non avere più nulla da costruire; si è quasi raggiunto un livello in cui l’uomo non ha più un progetto per il suo domani. Ipotizziamo che il momento che abbiamo vissuto non ci sia stato e che sarebbe durato nel tempo. Nell’’epoca che abbiamo attraversato cosa sarebbe accaduto? Naturalmente ognuno di noi non avrebbe avuto nessuna difficoltà a trovare lavoro, a trovarsi in tasca denaro, a stare bene, ma saremo stati felici? Per molti aspetti potremmo dire di sì, ma l’uomo è un essere che vuole costruire, ha bisogno di questo, ha dei desideri e li vuole realizzare e, come sosteneva il filosofo Thomas Hobbes, quando soddisfiamo un desiderio siamo subito pronti ad averne un altro. Avere tutto nella vita significa non potere più desiderare niente, non avere più stimoli, e questo porta l’uomo a non essere più un costruttore, e non solo, ma a non sapere più come gestire e amministrare il proprio benessere raggiunto; l’uomo in tal senso non ha più nulla e quindi non sa cosa fare. Diviene così un frenetico, si attacca al denaro, raffredda i suoi sentimenti e anche quelli dei suoi simili; diviene più egoista, pensando solo a stesso.
Oltre a questo, c’è da dire che se l’uomo è arrivato a non avere più delle sane relazioni interpersonali, le ragioni le dobbiamo cercare anche nel cosa ha portato il benessere o boom economico o meglio cosa hanno scatenato questi nelle relazioni. Semplicemente siamo divenuti una società in cui tutti noi corriamo, tutti abbiamo tutto, in cui tutti abbiamo fretta, come se cercassimo qualcosa, ma senza sapere cosa; abbiamo tutto e non scriviamo più nemmeno poesie o romanzi... Di conseguenza personalmente direi che, poiché l’uomo ha bisogno di costruire e realizzare anche l’arte, dalla poesia alla musica, alla pittura alla scultura e soprattutto la propria filosofia di vita, credo che nel momento di crisi che stiamo vivendo vi è liquidità, poiché l’umanità ha bisogno di scrivere nuovi valori etici – morali e religiosi, che conducono a una rifioritura dell’arte in generale (che non dobbiamo considerarla morta) e dei rapporti umani, che vivono un senso di insoddisfazione, incertezze, infelicità, smarrimento e scoraggiamento. Quanto detto finora, è un pensiero personale (che avrei voluto esporre in modo più approfondito al professor Bauman), in un momento in cui il mio desiderio di scrivere, oltre per la ragione del mio rimanere affascinato dal lavoro del Professor Bauman, c’è il desiderio di lanciare un incoraggiamento alla società liquida che ha bisogno di ottimismo. Viviamo in un momento preoccupante, il domani ci fa paura, ci porta ansia, incertezza e forse scoraggiamento, ma non dobbiamo demoralizzarci, ma dobbiamo cercare invece di concepirlo come un momento in cui la nostra generazione ha bisogno di costituire un progetto per una nuova società, che potremmo magari chiamare società di “generazione progettuale”, che deve avere l’obiettivo di costruire nuovi valori etici – morali e religiosi (fondamentali per l’uomo), la formulazione di nuove Istituzioni politiche (cercando di evitare le dittature) e l’elaborazione di un nuovo sistema economico; tutti fondamentali per la società e per il benessere umano, in un contesto in cui dobbiamo fare prima di tutto rifiorire i rapporti interpersonali. Per fare ciò, a mio parere, come ho osservato e domandato al professore Barman, è necessario che emergano nuovi filosofi per costruire nuovi progetti per il futuro; ho proprio domandato al sociologo se vi sia in questo momento la presenza di filosofi come Socrate che giravano per l’Atene antica, dialogando con tutti, con l’obiettivo di costituire nuovi valori morali. Il sociologo ha sostenuto che non ha pensato a come affrontare la situazione, facendo ben capire che chi lo deve fare è chi verrà domani. Credo che il messaggio sia chiaro: ogni generazione deve lavorare per la propria epoca e società d’appartenenza e benessere che accomuna tutti gli individui, in relazione a nuove visioni e bisogni, quindi costituire una nuova società che estirpi le preoccupazioni e generi nuovi equilibri; in questo dovrebbe consistere la società progettuale. In ogni modo, oggi è prematuro poter pensare di realizzare un progetto, c’è bisogno che l’uomo riprenda il cuore e si lasci guidare per affrontare la liquidità, ma credo che i filosofi si dovrebbero adoperare per iniziare a elaborare nuove riflessioni…

Un’idea questa, personale, da valutare attentamente, e su cui aggiungo che c’è bisogno anche di sociologi, pedagogisti, formatori educativi. In questo contesto mi permetto anche di segnalare il DSFUCI d’Arezzo come possibile luogo in cui poter iniziare un processo di studi e di formazione per divenire formatori educativi e filosofi, di cui comunque c’è tanto bisogno, anche per aiutare l’individuo a vivere o adattarsi alla società liquida, che non deve essere vissuta come un inferno - ispirandomi alla canzone di Emma Marrone “non è l’inferno”. Infine voglio porre i miei complimenti a chi si è impegnato per l’arrivo del sociologo ad Arezzo; un incontro importante, poiché un mito ci può lasciare molto a noi giovani.


Giuseppe Sanfilippo

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