16 aprile, 2014

INTERVISTA CON FRANCESCO BRANCHETTI. Il teatro pubblico ha il dovere di salvare la prosa. Intervista di Paolo Leone



Francesco Branchetti è attore dalle straordinarie capacità interpretative, ma vive il teatro in tutte le sue forme. Docente, regista, attore, membro della giuria del Premio “Le maschere del teatro italiano”. Ha curato la regia di tanti spettacoli, di tanti eventi culturali di livello. Da anni si dedica anche alla regia collaborando con alcuni tra i più noti autori italiani contemporanei. Vincitore del prestigioso “Premio Speciale Vallecorsi – protagonisti della scena contemporanea”, nella 56° edizione. Nel 2010 riceve il “Premio Gibellina – Randone XIV Edizione Premio Salvo Randone – Oscar del Teatro italiano” per la sua attività di regista e attore. Ha diretto opere, concerti, ha lavorato anche in radio e televisione.
Lo abbiamo incontrato nel finale di questa stagione teatrale 2013/2014, che lo ha visto in scena sia come attore che come regista.

Francesco, la stagione teatrale ormai volge al termine. Una stagione che ti ha visto sugli scudi! Macbeth downtown, il monologo La disfatta, la regia di un grande classico come Girotondo di Schnitzler, tra poco un’altra opera, La finzione della vita, che andrà in scena al Teatro Belli dal 6 maggio. Di cosa tratta questa nuova pièce?

La finzione della vita è innanzitutto un testo di Giovanni Antonucci, che è stato premiato col prestigioso Premio Vallecorsi per la drammaturgia. Un testo a cui sono particolarmente legato e che è già andato in scena due anni fa negli spazi del Teatro di cintura, cioè nel Teatro Torbellamonaca e nel Teatro Quarticciolo, con grande successo di pubblico e di critica. E’ uno spettacolo che parla del mondo della televisione e non solo. Il protagonista è un producer televisivo che vive una profonda crisi personale, esistenziale, affettiva, ma che crede profondamente nei valori tradizionali, costretto a vivere in un mondo pieno di compromessi e tentazioni quali quello della tv, o se vogliamo dello spettacolo. Finzione della vita nel mondo della televisione, ma che diventa finzione anche all’interno del nucleo familiare. Si assiste quindi al rischio della deflagrazione della famiglia di questo producer che non è certo un playboy, ma anzi una bravissima persona, travolto da situazioni che non riesce a gestire. Una brevissima relazione extraconiugale che mette in crisi tutto un universo di valori a cui aveva sempre fatto riferimento. La moglie Giulia avrà l’intelligenza di capire che il tutto non è frutto di una sbandata ma di una crisi più complessa. Un testo profondo, con tante sfumature, in cui non si racconta un mondo idealizzato e che affronta anche l’incapacità di comprensione intergenerazionale. Uno dei testi più belli con cui abbia mai lavorato!

Ti ho scoperto tardi, con il tuo Macbeth downtown, in un’interpretazione travolgente che mi emozionò tantissimo. Uno spettacolo, quello, che meritava un maggiorn numero di spettatori, non credi?

Eh sì… ma sai, questo è il momento che sta vivendo il teatro! Io stesso, qualche anno fa, ho messo in scena il Macbeth classico shakespeariano, con tutti esauriti a ripetizione. Devo dire che nell’arco di cinque sei anni, il pubblico a teatro è molto diminuito. C’è una grande crisi e si sente. Le prime cose a cui si rinuncia, e questo è triste e grave, sono aimè la cultura, il teatro, l’arte in genere.

Mi dai lo spunto per la prossima domanda. E’ così difficile portare la gente a teatro, in un periodo poi in cui stucchevolmente si sente ripetere la frase che “la gente vuole solo ridere”? Ma è proprio così?

Ma guarda Paolo… io credo che sia difficile portare gente a teatro facendo un teatro cosiddetto “d’arte”. Penso che sia molto più facile scegliendo la strada più semplice dell’operazione commerciale, o addirittura dell’operazione cabaret, sempre più spesso ospite dei teatri di prosa. Io credo che il teatro, in particolar modo il teatro pubblico, debba tornare a salvaguardare la prosa. E’ la prosa che è fortissimamente in crisi, più che Il teatro, che si è quasi rifugiato in spettacoli dal facile gradimento, di natura quasi cabarettistica. Fà scalpore che gli incassi di seppur bravi comici televisivi siano mille volte più alti dei più grandi registi. Trovo che sia legittimo per un produttore, produrre ciò che incassa di più, però ribadisco che la prosa andrebbe salvaguardata! Un compito che dovrebbe spettare al teatro pubblico. Anche se, ed è stato proprio il mio caso quando ho messo in scena Girotondo, c’è qualche produttore coraggiosissimo, come Lorenzo Costa e il suo Teatro Garage, che hanno avuto il coraggio, la competenza e la capacità di produrre spettacoli difficili come Girotondo di Schnitzler.

Ecco, a proposito di Girotondo. Se ti ricordi, quando ci incontrammo dopo la prima, ti dissi che eri un pazzo! Ma a Branchetti piace andare controcorrente?

Branchetti combatte una lotta estrema per essere un artista, per portare in scena ciò che mi ispira e ciò che ritengo possa essere importante per il pubblico di adesso. Girotondo è un testo che affronta il rapporto uomo donna da tutte le angolazioni. In un periodo come questo, in cui basta aprire un giornale o accendere il televisore per venire a conoscenza di notizie terribili relativi ai rapporti tra i due sessi, non vedo testo più attuale di Girotondo per tornare a tentare di capire i rapporti tra gli uomini e le donne. Il teatro, per me, dovrebbe essenzialmente parlare dell’uomo e dei suoi problemi. Per essere considerato teatro vero!

Tu vedi giovani che possano cambiare rotta nel teatro italiano?

Secondo me ci sono alcuni registi ed alcuni interpreti giovani che potrebbero risollevare le sorti del teatro, ma questo può accadere se gli vengono aperte le porte del teatro pubblico. I miei spettacoli sono stati più volte ospiti dei Teatri Stabili, in particolar modo a Trieste e Roma, ma anche di altri. Non manca il talento nelle giovani generazioni, ma certo se i Teatri Stabili potessero dare più spazio a questi, con i mezzi che chiaramente i teatri privati non possono avere, allora si potrebbe ridare forza ad un teatro d’arte, ad un teatro di prosa di qualità.

Come si educa il pubblico al bello? La lotta con la televisione è tremenda…

Si è tremenda ma il teatro ormai ha nemici dovunque. Dal calcio ormai tutta la settimana, dalla città invivibile, i parcheggi, le targhe alterne, scioperi, blocchi del traffico… tutta una serie di condizioni che remano contro lo spettacolo dal vivo di un teatro. Io ho molta fiducia nel pubblico, voglio continuare a fare spettacoli per un pubblico pensante. Non è vero che il pubblico voglia solo prodotti di bassissimo livello, non sono assolutamente convinto che il pubblico voglia solo ridere. Il problema grosso, è che spesso i teatri gli danno solo questo! Se l’offerta di prosa fosse di maggior livello, magari il pubblico si muoverebbe diversamente, uscirebbe di casa per vedere un classico, o uno spettacolo di nuova drammaturgia che potrebbe divenire un nuovo classico. Più che il pubblico, il problema è l’offerta! Se si propone solo e sempre un prodotto scadente, la gente piano piano si abitua a scegliere in termini di bassa qualità. Ma non è certo il pubblico ad essere colpevole! Bisognerebbe avere più fiducia e non proporgli solo faccette buffe sui cartelloni che garantiscono il disimpegno più totale. Dobbiamo dialogare con la parte migliore, che ha voglia di capire, di pensare, di vivere il teatro come l’unica forma d’arte che ha il diritto di replica. Alla televisione non si può replicare. A teatro si partecipa, è l’unica forma d’arte in cui è consentita una vera libertà. Chiaramente, se uno vuole usufruirne.

Hai un sogno nel cassetto, una speranza, qualcosa che ti possa soddisfare professionalmente?

Il mio sogno, la mia speranza, è quello di poter lavorare con più continuità. Mi è capitato in passato che alcuni miei lavori fossero ospitati nei Teatri Stabili. Ecco, forse il mio sogno è proprio quello di avere la possibilità di mettere in scena i miei spettacoli all’interno del teatro pubblico, di lavorare più spesso con gli Stabili, dove credo di poter dare molto in termini di idee. Sono estremamente convinto che il teatro pubblico abbia un’importanza enorme da un punto di vista educativo e culturale e credo che gli Stabili dovrebbero essere più attenti verso i giovani registi che da anni vincono premi importanti e dare loro più spazio.


Curata da Paolo Leone

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