07 marzo, 2014

Incontro con Carlo e Francesco Giuffrè. Dal padre al figlio, una scuola d’arte. Intervista curata da Paolo Leone


In occasione della conferenza stampa di presentazione del nuovo, inedito spettacolo, “La lista di Schindler”, ho avuto l’onore di un’intervista privata con il Maestro Carlo Giuffrè e il piacere di conoscere suo figlio Francesco, giovane autore e regista. Con orgoglio ed emozione, dal foyer dell’Eliseo al Corriere dello Spettacolo.

Francesco, perché riproporre oggi un testo e un argomento così forti come “la lista di Schindler”?

F. Giuffrè: Innanzi tutto, come testo teatrale non è mai stato messo in scena. Nasce come romanzo, poi ci fu il famosissimo film di Spielberg. Diciamo che ogni anno si festeggia la giornata della memoria, quindi ritengo che il concetto del non dimenticare sia fondamentale. Quando è nato questo progetto di collaborazione con mio padre, ci è stato proposto di creare un evento e il titolo “la lista di Schindler” mi è sembrato importante. Importante raccontare la storia di questo uomo, non solo per quello che fece durante la guerra, che tutti conoscono, ma l’aspetto interessante che più mi riguarda, drammaturgicamente, è “il dopo” della sua vita. Forse non tutti lo conoscono… lui fuggì in Argentina, poi tornò in Germania e fu una vita fallimentare, quindi veramente perse tutta la sua vita, tutto quel che aveva per aver salvato queste persone. Questo fa di lui, sicuramente, un eroe non nel senso epico della parola, ma nel senso più quotidiano del termine. Annullò se stesso per donare la vita ad altre persone e questo, in questo periodo storico, credo che sia molto importante ricordarlo.

Maestro, un testo drammatico rappresentato in un momento storico in cui si sente ripetere, anche stucchevolmente, che la gente vuole solo ridere…

Carlo Giuffrè: Beh, guarda, io non sono mai d’accordo con il teatro “da ridere”. Io recito ormai da più di sessanta anni e ho sempre detto che i grandi comici, quelli che fanno ridere, erano gli attori che invece recitavano la dolenza, la tragedia. Buster Keaton, Petrolini, Eduardo…pochi, pochi. Ma quelli non recitavano tanto per far ridere! Il teatro “da ridere”, la barzelletta (come quelle del mio amico Bramieri), erano e sono cose che non arrivano, che non danno nessuna emozione. Quel tipo di teatro, che non lascia pensieri, non esiste! Quando si interpretavano le famose “farse”, che la gente pensa siano stupidaggini, quelle nascevano da fatti drammatici, dal freddo, dalla fame e poi questo veniva alimentato dal lazzo, dall’improvvisazione. All’epoca non esistevano i sipari come oggi, erano “a ghigliottina” e c’era un buco, nel mezzo, da cui gli attori andavano a sbirciare se in platea ci fosse il pane. Non c’erano sovvenzioni, i soldi venivano esclusivamente dagli spettatori paganti. E quando vedevano la platea mezza vuota, allora si impegnavano di più, improvvisavano, aumentavano le battute, facevano ridere…ma erano risate che nascevano dal dolore. Per esempio, in una commedia in cui ero un marito, avevamo un cappotto in due con mia moglie in scena..e allora io dicevo a un altro personaggio, un avvocato, “io e mia moglie non possiamo mai uscire insieme”. Era una battuta comica ma nasceva dalla miseria vera. Questo era il teatro di una volta. Il teatro banale non ha rilevanza, non esiste.

Questa sua considerazione mi dà lo spunto per una seconda domanda. Come vede il teatro in Italia? Ci sono autori e interpreti che secondo lei possono scrivere nuove pagine interessanti?

Carlo Giuffrè: Io non ne vedo… Ad esempio il mio amico Salemme, recita delle sit-commedy…alla gente piace, ridono… io non sono d’accordo. Io amo molto, non ti dico la tragedia di Shakespeare soltanto, per carità… ribadisco sempre: il teatro della commedia dell’arte, per me, è stato il più grande teatro europeo che esistesse, in quel periodo. La commedia dell’arte viene poi sopraffatta dal melodramma. Nasce il melodramma e muore la commedia dell’arte, non esiste più. Noi non abbiamo più autori esportabili, non abbiamo più una drammaturgia da esportare!! Importiamo soltanto! Basta guardare il cartellone di un teatro…vedi che su dieci titoli, otto sono stranieri. Non stiamo messi bene, da tanto tempo. Gli attori, però, sono sempre stati straordinari, abbiamo sempre avuto grandi attori.

Maestro, un’altra considerazione. Mi dicono che in Francia, a Parigi, a Londra, si fa la fila per andare a teatro. Secondo lei, in Italia, cosa bisognerebbe fare e a quale livello, per cambiare la situazione? E’ solo una questione culturale?

Carlo Giuffrè: Io credo che gli italiani non hanno mai capito il teatro! Confondono molto le cose.. Londra è la capitale del teatro. A Londra, con la compagnia dei giovani, abbiamo recitato Pirandello: “il gioco delle parti”, i “sei personaggi”…sempre sold out, sempre esaurito! Perché a Londra la gente va a teatro come qui si va a mangiare una pizza, continuamente! A Londra ci sono 48 teatri aperti tutte le sere!

Ma non si può fare niente in Italia?

Carlo Giuffrè: Ma c’amma fà… (ride), qui si confonde tutto..lo spettacolo di Orsini che sta in scena adesso, per esempio, qui all’Eliseo, “il gioco delle parti”…lei lo ha visto? Ma come si fa a ridurlo così …io non sono d’accordo. Credo che gli italiani, a teatro, non hanno capito mai niente di quello che vedono…confondono..ridono…vogliono ridere? E ridano pure…

L’ultima domanda e la lascio. Il grande Carlo Giuffrè, se dovesse fare un bilancio della sua lunghissima carriera teatrale, quanto ha dato e quanto ha ricevuto dal teatro?

Carlo Giuffrè: Molto, molto! Io ho rifiutato film come “Amici miei”, “Speriamo che sia femmina”, con Monicelli che mi diceva “sei uno stronzo”, con lui feci poi “La ragazza con la pistola”…in “Amici miei”, per esempio, lessi che il mio personaggio doveva fare la cacca in un vasetto da bambini per fare uno scherzo..io rifiutai..rifiutavo spesso il cinema, anche se poi è stata la mia cassaforte, mi ha fatto guadagnare molto più del teatro ma… ho amato il teatro più di mia madre! L’ho amato pazzamente!

Curata da Paolo Leone


Un ringraziamento particolare all’ufficio stampa del Teatro Eliseo, magistralmente diretto da Maya Amenduni.

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