16 febbraio, 2014

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Recensione 15: LA TRAGEDIA DEL “SILVER QUEEN”


LA TRAGEDIA DEL “SILVER QUEEN”      
USA 1939  72’   B/N

(Five came back)

REGIA: JOHN FARROW

INTERPRETI: JOSEPH CALLEIA, JOHN CARRADINE, CHESTER MORRIS, LUCILLE BALL, ALLEN JENKINS

EDIZIONE DVD: NO

Dopo un breve scalo in Messico, il piccolo aereo USA “Silver Queen” riparte per Panama. A bordo vi sono 12 persone: il pilota Bill e il suo vice Joe; lo steward Larry; l’anziano professor Spengler con la moglie Martha; il gangster Pete con il nipotino Tommy; Judson Ellis, giovane rampollo di ricca famiglia, in fuga d’amore con la segretaria Alice; l’ombrosa Peggy Nolan, desiderosa di ripartire da zero; l’anarchico Vasquez, condannato a morte per un omicidio politico, e il detective Crimp, incaricato di riconsegnare il colpevole alle autorità panamensi. Una violenta tempesta tropicale semina il panico a bordo, ed il primo a farne le spese è lo steward Larry, che vola fuori da un portello apertosi accidentalmente; la situazione peggiora e l’aereo è costretto ad un atterraggio di fortuna nel bel mezzo di un’impenetrabile giungla infestata da indigeni ostili. Miracolosamente, non ci sono altre vittime, ma adesso occorre riorganizzarsi e cooperare per cercare di riparare l’aereo e ripartire prima che sia troppo tardi…l’unico problema è che il mezzo, a causa dei danni riportati, potrà trasportare solo 5 persone: è tempo di decidere, mentre il minaccioso tam tam dei selvaggi si fa sempre più vicino, e l’unico in grado di sfoderare la lucidità e la forza morale necessarie a compiere la scelta cruciale sembra essere proprio il condannato Vasquez…


Un gioiellino targato RKO, uno dei tanti piccoli, grandi film dimenticati da
riscoprire e rivalutare.


Sotto le mentite spoglie della storia avventurosa, si cela in realtà un riuscitissimo dramma di alto spessore morale, ammirevole per il suo stile essenziale e conciso (notevole la quantità di cose importanti che vengono dette in poco più di un’ora), tutto giocato sull’approfondimento psicologico dei personaggi anziché sull’azione, che in effetti risulta relegata ad un ruolo secondario. Alla staticità degli eventi si contrappone quindi un grande dinamismo psicologico e umano, derivante dall’osservazione delle reazioni di un gruppo di persone, che non si conoscono affatto, di fronte ad un evento traumatico che sconvolge gli equilibri modificando la realtà in un istante, in maniera forse irreversibile, e legando tra loro destini che altrimenti non si sarebbero mai nemmeno sfiorati. Per creare un avvincente clima di tensione emotiva e scavo introspettivo, la sceneggiatura sfrutta infatti un classico topos narrativo, quello del gruppo eterogeneo di individui costretti dalle circostanze a condividere lo stesso spazio vitale e ad unire le proprie forze per fronteggiare le difficoltà…ma non vi ricorda qualcosa tutto ciò??!!...Vi aiuto: utilizzando questo stesso espediente, più di mezzo secolo dopo, sono stati ideati i primi “reality show”…se ci pensate bene, su quale idea si basano, ad esempio, il famigerato “GRANDE FRATELLO” e “L’ISOLA DI FAMOSI”? Semplice: si confinano in uno spazio limitato alcuni individui, accuratamente scelti in modo da incarnare tipologie (personaggi) umane diversissime tra loro, e li si fanno vivere “cheek to cheek” 24 ore su 24, magari incasinando loro un po’ la vita con qualche trovata che li spinga a far fronte comune o, viceversa, a scannarsi fra loro…ma questa purtroppo è (triste) realtà, mentre nel caso di “SILVER QUEEN” parliamo di arte…meglio tornare al film! Come per magia, appena messi i piedi nella boscaglia dopo l’atterraggio di fortuna, i passeggeri decidono di organizzarsi per reagire all’emergenza, gettando immediatamente via le proprie maschere abituali, accantonando ogni rigidità e pregiudizio, e, infine, riscoprendo (e in alcuni casi scoprendo ) la propria umanità sopita, nel tentativo di dare il massimo per la causa: l’altezzosa Martha depone il proprio orgoglio ed accetta, su richiesta del marito, di far da cuoca per il gruppo; zio Pete si dimostra inaspettatamente protettivo verso il piccolo Tommy, il quale fa sbocciare un insperato istinto materno nella disillusa Peggy; Vasquez riesce a conquistare la fiducia e l’affetto degli altri (eccetto, ovviamente, quelli del suo diffidente “ angelo custode” Crimp) grazie alla sua nobiltà d’animo, ma, soprattutto, si affeziona anche lui al gruppo, vincendo una misantropia che lascia ben intuire e scoprendo così la propria dimensione sociale…piano piano, insomma, grazie all’incidente emerge la parte migliore di ciascuno (“SONO CONTENTA CHE L’AEREO SIA PRECIPITATO!” dice Martha al marito Henry, che è d’accordo: “GIA’! CI SIAMO RISCOPERTI!”), o quasi: sì, perché convivenza forzata e avversità possono riportare a galla anche le meschinità e le miserie delle persone, come avviene nel caso del già citato Crimp, avido e insensibile, e dell’arrogante e vile Ellis, la cui mediocrità lo porterà a perdere l’amore di Alice e lo spingerà a tentare di corrompere Vasquez per assicurarsi un posto sull’aereo…la negatività dei due presunti buoni, contrapposta all’eroismo dell’unico cattivo dichiarato, contribuisce in maniera intelligente ed efficace a ribaltare il logico giudizio morale che lo spettatore può aver formulato sui personaggi all’inizio del film. Ed è proprio Vasquez, interpretato da Joseph Calleia, il vero protagonista della storia, il personaggio più profondo ed affascinante, una figura contraddittoria che riesce a mettere in crisi le certezze degli altri (e anche le nostre) e ad elevarsi al di sopra di tutti, in virtù di una forza morale che lo riscatta ancor più e ancor prima del sacrificio di sé, una forza che lui stesso, per eccesso di modestia ed onestà, sminuisce, affermando di non avere comunque alternative: o morire sulla forca o affrontare gli indigeni…ma un altro, al posto suo, avrebbe potuto provare a giocarsela diversamente, no? Vasquez ha evidentemente deciso di saldare il conto con la vita e di regalare il futuro ai cinque che se lo meritano di più e che quindi, da un punto di vista ancora una volta puramente morale, hanno davanti a sé le prospettive migliori. Acute ed interessanti, inoltre, le riflessioni sulla felicità e sulla vita ideale che formula dialogando col vecchio professore, forse il primo ad intuirne lo spessore umano: evidente l’intesa immediata e la stima reciproca tra i due, suggellata dall’ultimo, drammatico favore che Vasquez non rifiuterà ad Henry...

Una curiosità, per chiudere: nel 1956 lo stesso John Farrow ha diretto il remake del film, dal titolo “RITORNO DALL’ETERNITA’ ”.

Francesco Vignaroli



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