09 febbraio, 2014

"A PROPOSITO DI DAVIS" (INSIDE LLEWYN DAVIS) regia e sceneggiatura di Joel ed Ethan Coen, 2013. Di Daria D.


L’ultimo film dei fratelli Coen ci lascia con la sensazione che i registi abbiano suonato uno strumento usando solo tre note della scala musicale, con il risultato di una melodia incolore e monotona, senza un crescendo vero e proprio, regolare, un po’ stancante.  Ma Davis, il protagonista della storia, non è un musicista jazz, né classico, lui fa musica folk, agli inizi degli anni sessanta era solo agli albori, nei locali fumosi e poco frequentati di una New York anonima e senza la bellezza cui siamo abituati. E’ uno come tanti o come pochi. Secondo i punti di vista, un genio o un fallito come spesso s’incontrano nell’ambiente artistico, che cerca di “vendere” la propria arte come unica e senza precedenti.
 Nel locale chiamato Gaslight Café,  Llewyn Davis, suona molto bene la sua chitarra e canta “Hang me…hang me”, una ballata malinconica sulla vita, sotto un cono di luce polverosa, seduto su una sedia al centro di un piccolo palcoscenico polveroso, davanti ad un pubblico esiguo e attento e a un manager stupido che della polvere non frega  un bel niente.
 Come tutti gli artisti è alla ricerca  di riconoscimenti, di successo, di soldi. Secondo gli sceneggiatori, Davis dovrebbe avere più talento di altri, sennò perché sceglierlo come protagonista, l’eroe sfortunato e incompreso della storia?  La colpa è degli agenti, degli impresari, del gusto della gente se la sua carriera non decolla, se non ha successo o è in parte anche sua per quel carattere chiuso che si ritrova, un pizzico di autocompiacimento per la sfortuna che lo perseguita, le relazioni complicate con le donne e i datori di lavoro, e un repertorio non male ma nulla più?




I fratelli Coen non spiegano tutto questo, si nascondono dietro il solito surrealista e scombinato modo di raccontare le storie. Ormai ci hanno abituati così, su questo stile hanno costruito la loro fortuna.
Nemmeno con un bel gatto rosso,  il protagonista riesce a stabilire un contatto duraturo, perché se lo fa continuamente scappare, da una casa all’altra, tutte di amici, perché lui di case non ne possiede nemmeno l’ombra.  Vive una vita senza radici, senza territorio stabile e forse è per questo che Davis cerca di ritrovarle in quella musica delle tradizioni, lenta e malinconica, poetica e senza sprazzi di allegria.
Molte scene, come quel viaggio per Chicago con i due strampalati personaggi, sempre grande John Goodman ma bravo anche lo chauffeur Garrett  Hedlund o quando il dottore gli annuncia che è padre da circa due anni, la visita all’agente, o il pranzo a casa del professore ebreo con amici a dir poco deficienti,  sono forzate e senza capo né coda, delle macchiette  per confonderci un po’ e fare colore.  A proposito di colore la fotografia è molto buona, come pure tutto il resto, tecnicamente parlando. Nulla da dire, i due fratelli rimangono unici nel loro genere, hanno fatto piccoli capolavori come “Fargo” e  “Il Grande Lebowski”,  rappresentano il cinema indipendente che tanto amiamo, a ogni film ci propongono qualcosa di nuovo e di diverso. In “A proposito di Davis” non raggiungono, però,  le vette, rimangono sottotono, troppo ermetici, raccontano la storia del musicista, interpretato da Oscar Isaac in maniera abbastanza monocorde, come se fosse la storia di chissà quale talentuoso cantante folk. E se fosse uno come tanti? Né meglio né peggio? Solo un po’ più noioso, e sfigato, ammettiamolo…
Non cambia il mio giudizio, il fatto che nel 2013 a Cannes abbia vinto il Gran Prix Speciale della Giuria, che invece non è stato dato a “Il Grande Lebowski”…
Detto ciò, è un film da vedere e poi ascoltarsi un bel pezzo di Lester Young, to have some fun
Lunga vita ai fratelli Coen!

Daria D.


Con Oscar Isaac
Carey Mulligan
Justin Timberlake
Ethan Phillips
Robin Bartlett
F. Murray Abraham
John Goodman

Garrett  Hedlund

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