18 ottobre, 2013

Terza serata per la sezione teatro della IX edizione del Festival del corto “La Corte della Formica”, al teatro Bellini di Napoli. Di Francesca Saveria Cimmino


In gara: Ernesto di Massimo Stinco; Lettere di una madre di Claudia De Biase e Le (s)confessioni di Fabio Pisano.

Foto Flaviana Frascogna
Ernesto, ispirato al romanzo di Umberto Saba e diretto da Massimo Stinco. Interpretato da Giuseppe Villa, Dario Tucci, Claudia Nesti e Natale Calabrò. Ideazione, scenografia e costumi di Massimo Stinco.                Ernesto è un uomo qualunque, un ragazzo come tanti. Eppure negli anni ’20 il suo gusto sessuale era inconcepibile, intollerabile, deplorevole da parte di sua madre, una donna “casa e chiesa” a tutti gli effetti. Costretto a nascondersi, a mentire, a negare; costretto perché viceversa il prezzo da pagare sarebbe stata l’emarginazione, la derisione, l’isolamento. È questa la condizione cui un uomo deve sottostare per appartenere ad una società con i paraocchi e con delle regole ben precise: gli omosessuali non erano (e speriamo di dover usare solo il verbo al passato) ben accetti. <E fu mare, e fu cielo, e fu amore e fu Ernesto.> sono queste le ultime parole pronunciate prima della chiusura del sipario. Un corto intenso, dedicato a tutti i giovani vittime del pregiudizio che, troppo spesso, non hanno la forza di combattere.

Foto Flaviana Frascogna
Lettere per una madre, scritto da Claudia De Biase, diretto da Diego Sommaripa. Interpretato da Gabriella Cerino, Claudia De Biase, Pasquale Termini. Scene di Armando Alovisi; costumi di Gabriella Cerino; musiche di Pasquale Termini. <Mamma spiegami cosa significa amare, cosa significa soffrire(…). A che serve dare la propria anima a qualcuno che la butterà via senza nessun riguardo? Dove ho sbagliato mamma?>. Vi sono questi due periodi tra le prime battute dell’attrice Claudia De Biasi nel suo monologo. <Lascia che il tuo cuore respiri, senta, viva>, di contro, una delle risposte della madre, posta all’altra estremità del palco. Un affetto spezzato dalla scelta della donna di divorziare dal marito. Una prolissa partita di ping-pong tra madre e figlia, in cui ognuna con le proprie ragioni ed esigenze, tenta di rompere un silenzio e vincere l’incomunicabilità. Ci sono legami indissolubili ed indistruttibili, e spesso i  rapporti di sangue rientrano in questa categoria. Non si spezza mai realmente l’atomo. La voce bassa, con cui sono state recitate le battute, non ha favorito l’attenzione e la concentrazione degli astanti.

Foto Flaviana Frascogna
Le (s)confessioni scritta e diretta da Fabio Pisano. Gli interpreti: Ciro Giordano Zingaro, Edoardo Sorgente. Una sedia sul palco e niente più. Padre Finnegan seduto; Johsua si appresta ad entrare, trascinando la sua sedia. Chiede di poter confessare i peccati di una vita. Un peccato genera un altro peccato, forse è vero. <Quello che si fa per amore va sempre al di là del bene e del male>, sono queste le parole del giovane che in un modo o nell’altro, in preda al panico o all’isteria, pronuncia; cercando di giustificare un gesto per il quale non c’è perdono, ma redenzione. L’uno di fronte all’altro a fare i conti con un passato che non può esser cancellato, né dimenticato. L’uno che dell’altro è parte, consapevolmente o meno. Il vero nome di Johsua è Nolan ed ha ucciso la sua compagna e suo figlio. Ma prima di essere un assassino è stato un bambino. Un bambino stuprato, traumatizzato e sedotto proprio da un prete; e, non uno qualunque. Dunque, la confessione diviene duplice: ognuno prova a motivare le scelte folli di ciascun uomo che al peccato non sa o non ha saputo, resistere. Nolan non è stato l’unico bambino con cui il prete ha voluto e potuto soddisfare le proprie personali perversioni: sono state 58 le anime innocenti. Vite abusate e poi spezzate. Entra in scena un ragazzino di nove anni, con un sacco pieno di peluche. Prega Finnegan e porge la pistola nelle sue mani, aspettando la morte. Il piccolo continua a lasciar cadere in terra quei pupazzi, simboli di purezza, innocenza, fanciullezza persa e distrutta nel passato. Il finale sospeso è stata la scelta migliore con cui questo corto, magistralmente interpretato dagli attori, potesse concludersi. L’arresto nello svolgere azioni, il rifiuto nel trovare parole ed interrompere un processo nel silenzio, può essere la peggiore vendetta. 


La giuria popolare premia, per la terza serata, il corto teatrale “Le (s)confessioni”.


Francesca Saverio Cimmino

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