27 ottobre, 2013

“I sogni di Ray” in scena alla Casa delle Culture di Roma. Di Bruno Saita


Roma, Casa delle Culture. dal 22 al 27 ottobre 2013

Gli artisti ricreano la vita, o la loro idea della vita. Se poi la natura - o il padreterno - ti hanno mostrato la vita, per poi privarti dello sguardo su di essa, levandoti il dono della vista, immaginare la vita si fa doppiamente necessario, e diviene l'unica possibilità.
Prende le mosse da questa premessa il testo di Piergiorgio Viti “I sogni di Ray”, ispirato alla vita del “genio” Ray Charles in scena in questi giorni alla Casa delle Culture di Roma.
La vita del grande cantante e musicista fu presto segnata da due episodi, la perdita della vista e l'annegamento del fratellino in una tinozza mentre giocava in giardino proprio col piccolo Ray.
Quel doppio enorme dolore però, unito a un incredibile talento, alimenterà una sensibilità unica e si farà  fonte di ispirazione di vita e di arte.
Nello spazio di un'ora circa di spettacolo, la vita di Ray si racconta in una decina monologhi, alternati a canzoni dal vivo, come fossero tappe o stazioni di una vita, che conosce luci e ombre, gioia e disperazione: dalla morte del fratello, alla scoperta del proprio talento, dalle gioie del sesso e del successo, alla paura di non farcela, affrontata, o per meglio dire sfuggita, con la droga, fino al baratro della dipendenza, e all'arresto con ricovero coatto nella clinica per disintossicarsi.
E di nuovo, la rinascita, l'amico di sempre, John Belushi, che lo coinvolge in quel successo planetario che sarà il film musicale “The Blues Brothers”.
In mezzo due grandi amori, 11 figli e soprattutto tanta musica.
Fino alla partecipazione al Festival di Sanremo, viaggio in un'Italia simbolo di ritorno all'origine, sogno del bambino Ray che immaginava questa terra lontana, patria del bello, conosciuta attraverso le arie liriche e i grandi artisti del nostro passato. Quell'Italia dove il mare ha un odore speciale, che non è quello a lui noto dell'oceano e che richiama sensazioni ancestrali, ed evoca la morte, come un ritorno nell'acqueo ventre materno.
L'autore, e soprattutto gli interpreti, ci raccontano di una passione per la vita, per la musica, per l'amore, per il bello, seppure attraversata sempre da una struggente malinconia per ciò che avrebbe potuto essere e non sarà.
Ma l'arte, proprio come i sogni di Ray, può modificare la realtà e regalare la possibilità di correggerla o, almeno, di raccontarla e viverla in un modo diverso.
E così il ragazzo del film non fuggirà terrorizzato e inseguito dai colpi di una rivoltella, ma uscirà dal negozio di Ray felice di aver avuto in prestito per un dollaro al mese la agognata chitarra e così coronare - o almeno provare a coronare - un sogno troppo grande.
La scrittura di Viti è funzionale alla rappresentazione teatrale, non limitandosi alla narrazione ma aprendosi all'evocazione di realtà oniriche che la parola recitata rende corporee.
L'uso dei microfoni da parte degli interpreti non pare, infatti, solo un mezzo di amplificazione sonora, ma il modo di fare sentire la sonorità interiore dei pensieri, sentimenti ed emozioni del protagonista.
E così le canzoni che si alternano ai monologhi, attingendo al repertorio del grande cantante, ma anche a classici della musica italiana e straniera (“Summertime”, “Georgia on my mind”, “Lontano Lontano”, “Unchain my heart” e altri che i più attenti spettatori non mancheranno di riconoscere) non sono, come spesso avviene, un inutile commento, o una ridondante sottolineatura di ciò che sta accadendo sulla scena, ma diventano parte integrante della narrazione, e oserei dire, quasi della scrittura, partecipando con la forza della musica a quel gioco di rimandi e evocazioni che è il segno più evidente dello spettacolo.
Si pensi al “Nessun dorma” che apre la serie dei pezzi musicali, con le parole dell'aria pucciniana, che si saldano al racconto dell'insonnia di Ray, ossessionato dal suo nuovo soprannome, “Il genio”, così come il protagonista della Turandot annuncia l'alba che disvelerà al mondo il suo vero nome. Ma quell'aria pucciniana ritornerà ancora a saldare l'inizio e la fine della serata, e della vita di Ray, allorché avanti al mare e alla morte ricorderà il sé bambino che la ascoltava.
La regia di Iolanda Salvato, giustamente nascosta per non prevalere sull'emozione della parola, sottolinea con piccoli segni la circolarità del testo e della vita e con felicissima trovata mette in scena un unico arredo, una tinozza, che si fa dapprima tomba del fratello annegato, per poi divenire acqua di vita, per il bagnetto dei figli neonati di Ray - evocati con due sole spugne - e quindi mare, che ancora evoca la morte e infine il suono delle acque fetali.
L'interpretazione di Ray offerta da Carlo di Maio rifugge giustamente dalle trappole di inutili mimetismi, o di realistiche rappresentazioni dell'handicap del personaggio, ponendo invece al centro la rappresentazione partecipata della parabola umana.  L'attore, aderendo alle emozioni del  Ray dell'autore,  più che alla icona del reale cantante, offre al personaggio del racconto la propria grande sensibilità e l'evidente piacere di stare in scena a incarnare il testo: ne esce un Ray, amante della vita, ironico e autoironico, venato di una malinconia  che dal dolore per le  perdite personali assurge a nostalgia del tempo che passa e di ciò che avrebbe potuto essere e non sarà più o non sarà proprio ( ecco che le parole del grande Tenco fanno eco all' evocazione della “Georgia” del cantante Americano).
Fa da specchio all'interpretazione di Carlo di Maio, l'ottima prova del cantante Giovanni Amodeo, ben accompagnato dal suono dal vivo di Gianni Staiano il cui stile che predilige la melodia, ben contribuisce all'evocazione di quella malinconia che fa da sottofondo all'intera serata. Da citare anche Sergio Cristofani datore luci, all'occorrenza attore ma anche ottimo interprete del già citato noto brano di Luigi Tenco.

Bruno Saita


Compagnia Idea...Azione
presenta
I sogni di ray
di Pier Giorgio Viti
con Carlo di Maio, Giovanni Amodeo, Gianni Staiano, Sergio Cristofani
Regia Iolanda Salvato
Casa delle Culture, via San Crisogomo 45, Roma

dal 22 al 27 ottobre

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