27 ottobre, 2013

Verdi o Wagner? Di Marco e Massimo Montella


Giuseppe Verdi è da molti conosciuto come fonte di genialità straordinaria che ha permesso l’uscita della musica dalle corti e dalle cappelle, che ha fatto diventare protagonisti del dramma umano una prostituta (la Traviata), uno zingaro (il Trovatore), un deforme (il Rigoletto) e che ha cercato di unificare i valori della patria esaltandone proprio le sue diversità a livello personale e sociale. Questo aspetto infatti era rispecchiato anche nella scelta dell’accordatura.
In quell’epoca infatti ogni città accordava gli strumenti secondo gli  usi e le abitudini locali, non esisteva un’accordatura condivisa. Questo significava che il compositore doveva tenere conto del luogo in cui la sua opera veniva eseguita, affinché questa avesse una resa ottimale. I classici della tradizione italiana precedenti a Verdi avevano prediletto un’accordatura bassa e calda che si confacesse meglio ad una percezione del suono più piena, come del resto aveva fatto anche W. A. Mozart, ma tuttavia questa usanza si era persa col tempo. Egli infatti non apprezzava le sonorità troppo acute e squillanti così  diffuse tra i suoi contemporanei, poiché queste avrebbero potuto far perdere la ricchezza della pluralità dei timbri dei diversi strumenti. Verdi su questa linea di pensiero sosteneva, scrivendo alla Commissione musicale del Governo Italiano dell’epoca, che “l’abbassamento del corista non toglie nulla alle sonorità ed al brio dell’esecuzione, [… ] che non potrebbero dare gli strilli di un corista troppo acuto”. Egli quindi si batté per ottenere un’accordatura più grave, accettata a livello nazionale, cosa che riuscì ad ottenere con non poche difficoltà solo nel 1884 grazie ad un Regio Decreto.
La filosofia Wagneriana invece parte da tutt’altro presupposto. Nota è l’esaltazione del singolo, dell’eroe che può distinguersi dalla massa e diventar un esempio da seguire per i più, anche col sacrificio della sua stessa vita. Basti pensare a come Nietzsche abbia inizialmente preso spunto da lui per formulare l’ideale del Superuomo (Ubermensch). Wagner dunque decise di adottare un’accordatura decisamente più acuta e squillante che riuscisse ad invadere e a permeare l’ascoltatore travolgendolo in un fluire di sonorità del tutto nuove per l’epoca.

Risulta evidente come questi due “mostri sacri” avessero concezioni molto diverse per la loro musica: Wagner più improntata ad una unificazione seguendo il principio dell’idolatria di un uomo superiore alla norma, Verdi invece di come nell’accettazione della diversità si potesse trovare un’unità. Così le loro sonorità rispecchiano appieno il loro ideale: l’uno con la scelta di una tonalità più calda e accogliente, l’altro più tagliente e decisa.


Marco e Massimo Montella

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