22 giugno, 2013

"Passioni e desideri": vite tra rimpianti e rimorsi. Di Francesca Saveria Cimmino


Il film diretto da Fernando Meirelles è l’insieme di frammenti in cui l’uomo può decidere chi essere e come relazionarsi all’altro. Quattro le storie che si incontrano e scontrano continuamente; perché le linee in realtà non sono mai parallele. C’è sempre un punto in cui convergono; ed è quello l’attimo in cui si deve decidere se vivere e abbandonarsi al momento o scappare e chiudersi in se stessi.
Ognuno ha un proprio trascorso e ciascuno imbocca quella strada coscientemente. C’è chi tradisce ed è invaso dai sensi di colpa (Rachel Weisz) e chi, invece, prova a tenere un piede in due scarpe; c’è chi fugge per dimenticare un torto (Maria Flor) e chi ne è stato causa (Anthony Hopkins). C’è chi per diventare ricco vende il proprio corpo (Katrina Vasilieva), a chi è disposto ad acquistarlo (Jude Law) e chi combatte la solitudine immergendosi nella lettura (Gabriela Marcinkova), considerando la conoscenza l’unica forma per combattere e vincere un mondo ormai marcio. C’è chi ama la propria dipendente quanto la religione e resta nel silenzio pur di non peccare (Jamel Debbouze), chi è terrorizzato dalla paura di sbagliare ancora (Ben Foster), e chi ha la sfrontatezza di vivere attimi intensi ed emozioni forti. L’essere umano è uno, nessuno e centomila, si sa: le sue sfumature sono innumerevoli. I dubbi, le perplessità, le paure possono stravolgere e complicare ogni situazione; possono rendere l’uomo vigliacco, incapace di agire o dire, possono indurlo alla via dell’alcol e della solitudine pur di non guardare in faccia una realtà e pur di evitare di affrontarla. I personaggi sono scomposti e particelle di un insieme. Le linee di demarcazione sono sottili o nette e non valicabili.
Spesso è usato lo split screen: una tecnica di montaggio che divide lo schermo in piccoli monitor sovrapposti o allineati. Non poteva esserci scelta più appropriata: perché il ritratto psicologico e le vite che si mischiano e incastrano possono solo essere rappresentate così. Non c’è nulla di lineare nella mente di una persona, soprattutto se il cuore batte forte. 




Non c’è nulla di razionale in certe scelte, o talvolta non c’è niente che non sia dettato da un assoluto e determinatissimo raziocinio. <Disse una volta un saggio: se su una strada incontri un bivio prendilo. > Questa è una frase che viene pronunciata all’inizio e alla fine del film. Ma non c’è mai realmente qualcuno a dirti quale strada bisogna scegliere in quell’incrocio. La psicanalista lo ribadisce: è sempre il paziente che deve stabilire quale debba essere la sua cernita. E può andar bene o andar male; ma si vive una volta solamente e non si hanno troppe possibilità. Questo è un messaggio del film che risuona forte e chiaro come un’eco. Vivere e non sopravvivere e avere il coraggio di mettersi in gioco sempre. Rischiare, osare o lasciare il posto al prossimo giocatore disposto a sedersi al tavolo e puntare. Forse una delle cose più complesse da fare, soprattutto quando il dolore o i sensi di colpa ti logorano. L’idea registica di far interpretare il film a visi noti quanto ad attori esordienti e di girare tutto nel pentolone utilizzando come ulteriori ingredienti le loro storie, fa sì che il risultato sia un bel piatto esteticamente, con dei sapori particolari e apprezzabili, ma che allo stesso tempo lasci un minimo a desiderare… Sarà che la prevedibilità del finale e delle singole conclusioni dei subplot non poteva essere altrimenti e questo, purtroppo, fa perdere l’effetto sorpresa a chi dall’altro lato si è seduto, ha indossato il tovagliolo ed è pronto a degustare.


Francesca Saveria Cimmino

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