22 giugno, 2013

Memorie del sottosuolo di Fȇdor Dostoevskij, con Roberto Trifirò e Caterina Bajetta. Di Daria D.


Teatro Sala Fontana, Milano. Dall’11 al 23 giugno  2013
  

Foto Stefania Ciocca
Nella sala buia una chitarra rock comincia a diffondere note trascinanti e disperate, “ondate di paura” di Lou Reed.  In questo modo,  il regista e interprete Roberto Trifirò introduce il suo personaggio, ma non facendolo uscire da una botola nel pavimento dove invece si calerà alla fine della sua confessione di memorie, ma avanzando dal fondo, lungo il corridoio della platea.  Da dove è venuto? Dalla strada? Dal gabinetto? Era seduto insieme a noi, alle nostre spalle?  O era già dentro il nostro inconscio?
Sale sul palco che l’interessante  scenografia “homeless” di Gianni Carluccio ha “distrutto e mortificato” con un tappeto di  cartoni, quelli che si mettono nelle cantine contro la muffa, o ci dormono sopra i senza tetto  e con strati di polvere che ricopre silenziosa e leggera ma visibile quattro tavoli speculari, quattro immaginari ambienti, conquiste inutili, ma pur sempre conquiste, e si confessa a noi, spogliato dei suoi abiti se non un paio di mutandoni di lana.
“Io sono un uomo malato… un uomo sgradevole” le sue prime parole, dette quasi con sfida, però.
Parole dure da pronunciare davanti ad estranei. E allora ci chiediamo che cosa avrà mai fatto quest’uomo del sottosuolo per parlare così di se stesso.
Lui risponde con “Godevo nel dare dispiacere a qualcuno….spaventavo i passeri e ne godevo”. 
 Una presentazione che dovrebbe rendercelo antipatico, sgradevole appunto. Nelle parole, nei ricordi, c’è la consapevolezza delle sue mancanze, dei suoi peccati, del suo non essere diventato NULLA.  Si rivolge a noi, ma in realtà è a se stesso che parla, mica ci vede, non ci ascolterebbe nemmeno, se gli rispondessimo.  È come accartocciato nel suo risentimento covato per quarant’anni nel sottosuolo. Ha cercato di distruggere quei cartoni, per uscire allo scoperto, ma sono diventati il terreno su cui si muove, saltella, corre, come un topolino da circo.
Foto Stefania Ciocca
E ora? Che cosa vuole fare?  Sfogarsi o continuare a tenersi a freno perché “sennò c’è il rischio che sbotti”? Ma non è quello che sta facendo?
Un uomo pieno di accidia, elucubrazioni, risentimento, figlio bastardo del positivismo, che porta dentro il desiderio di umiliazione, di disperazione, di rovina, un punto di vista molto realistico e pessimista.  Spietata risposta, la sua, all’ipocrita visione religiosa della bontà e amore universale. 
Quest’uomo, che assomiglia a un topo che vive nelle fogne dell’inconscio collettivo, quello che si nutre del buio, perché se è portato in superficie, ci sbatte in faccia le nostre bassezze umane, depravazioni, impossibilità di amare, ha un senso dell’autoironia molto feroce e un po' di vittimismo. Ma quella sua autoironia travalica il sottosuolo e si sparge in mezzo a noi, e allora diventa un’accusa all’umanità tutta.
Di quell’umanità del sottosuolo fa parte la prostituta Liza, molto ben interpretata da Caterina Bajetta, sensibile, mai volgare, eccessiva, quasi una recitazione cinematografica, sembra un angelo caduto sulla terra proprio per incontrarsi con il nostro protagonista. Due perdenti che uniscono i loro corpi, in silenzio, in fretta, perché lui dice che all’uomo interessa “l’idea della conquista, non l’avere conquistato”.
Foto Stefania Ciocca
Trifirò ammette di prediligere gli autori classici russi, e fa bene, ci fa bene vederli rappresentati con sensibilità e finezza, rispetto e intelligenza, anche se quello che mostrano non sempre ci piace, raramente diverte o ci rassicura. Ma certamente ci fa riflettere e pensare.
Lasciare la sala con in testa quella terribile domanda “Meglio una felicità a buon mercato o elevate sofferenze?” e sentirla ancora echeggiare è la prova che i semi, se trovano terreno fertile non possono che crescere, anche in silenzio, anche dove tutto sembrava perduto. Come nel sottosuolo della vita.
Arrivederci alla prossima stagione.

Daria D.



Memorie del sottosuolo di Fȇdor Dostoevskij
Con Roberto Trifirò e Caterina Bajetta
Regia e drammaturgia di Roberto Trifirò
Installazione scenica di Gianni Carluccio
Dall’11 al 23 giugno  2013 alla Teatro Sala Fontana di Milano

Produzione Elsinor

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