10 giugno, 2013

L’Ora della Mosca. Tratto da Pavlovsky, di e con Augusto Zucchi. Di Vita Matrone


"L'ora della mosca" è il titolo di un adattamento di Augusto Zucchi tratto da due monologhi di uno dei più noti autori latinoamericani contemporanei, l’Argentino Eduardo Pavlovsky drammaturgo, regista e anche psichiatra, dato fondamentale, perché il testo nasce e vive proprio come indagine e messa in scena di ossessioni, psicosi e circuiti mentali di colpe inconfessabili, in un intreccio teatrale che è molto vicino al genere noir.
Nel 1976, in Argentina, il generale Jorge Videla rovesciò il debole governo di Isabelita Peròn (seconda moglie di Juan Peron che aveva governato il paese dal 1946 al 1955 insieme alla prima moglie Evita). Il dittatore scatenò contro i suoi oppositori le “squadre della morte” formate da militari e poliziotti che torturarono e uccisero migliaia di oppositori del regime e fecero scomparire 30.000 persone (desaparecidos) delle quali non si seppe più nulla. Spesso i figli piccoli dei dissidenti massacrati e fatti sparire venivano adottati dai militari e dati in adozione.
Caduto il regime, le madri dei “desaparecidos”, nonne di quei piccoli adottati e ignari della loro reale identità, divennero famose per il loro quotidiano recarsi nella piazza principale di Buenos Aires, Plaza de Mayo per chiedere al nuovo governo di attivarsi e rintracciare i loro nipoti. Il governo nominò un corpo di polizia specializzato affiancato da assistenti sociali e volontari, e molti di quei piccoli, ora cresciuti furono individuati, tolti di forza ai loro genitori adottivi, complici un tempo dei massacratori e restituiti alle loro legittime famiglie.
La storia de “ L’ora della mosca” è quella di un medico che, al tempo della dittatura militare veniva chiamato a firmare i certificati di morte dei prigionieri politici, e che durante una delle azioni, prende in adozione la figlia di uno di loro, la quale col nuovo regime gli verrà sottratta dalle autorità per essere riconsegnata alla famiglia di origine, ovverosia ai nonni. L’uomo realmente legato alla bambina da un amore
paterno sviscerato, sconvolto dal dolore per la separazione forzata, dopo anni si mette alla ricerca della figlia. Dopo lunghe ricerche crede di averla ritrovata e la invita a casa sua con il pretesto di un colloquio di lavoro. Lei arriva all’appuntamento convinta di trovare un lavoro, ignara della trappolaincubo costruita dalla follia disperata e a senso unico dell’uomo, tra digressioni e spietati fotogrammi di realtà. Il torturatore non è un mostro, non è uno psicopatico, è uno di noi, forse è in noi, nella normalità di un buon padre di famiglia. E questo è il dato sconvolgente.

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Vita Matrone

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