10 giugno, 2013

GLI ITALIANI DI SECONDA GENERAZIONE: “MI CHIAMO ARAM E SONO ITALIANO. STORIE DA SYNAGOSYTY". Di Maria Pettinato


San Lorenzo al Mare, Teatro dell'Albero. Sabato 8 giugno 2013


L'8 giugno 2013 al Teatro dell'Albero di San Lorenzo al Mare (IM) Aram Kian e il regista Gabriele Vacis hanno presentato “Mi chiamo Aram e sono italiano”, una pièce moderna che va a descrivere i cosiddetti italiani di “seconda generazione”, figli di immigrati nati in Italia, proprio come Aram, figlio di padre iraniano e di madre romana.
In scena troviamo solo Aram, una sedia e un palco vuoto. Davanti al pubblico un monologo molto divertente, ma nello stesso tempo amaro, un monologo che vuole far riflettere lo spettatore.
Aram ripercorre la sua storia ambientata a Sinago Milanese: l'infanzia negli anni Ottanta; l'adolescenza e quindi gli amici Ludovico Castiglioni, una sorta di bulletto bello e affascinante e invidiato per tale motivo da Aram, Davide, Carmen, “terrona” anch'essa, come si auto descrive, e Michela, ragazza un po' sopra le righe; gli anni Novanta, il decennio del “come è stato possibile”, decennio che vede come protagonisti la nascita del cellulare, l'espansione di internet, Bill e Hillary, Berlusconi e il terrorismo, decennio in cui Aram si iscrive a filosofia, e passa sette anni senza fare nulla se non dare un solo esame, senza capacitarsi di ciò. Infine si arriva al 2000, alla disoccupazione e alla nascita di una famiglia propria, anche se un po' bizzarra, insieme a Carmen, l'amica di sempre.
Descritta in questo modo sembrerebbe una storia come tante altre, ma in realtà è imperniata da una sorta di tristezza e drammaticità, in quanto come protagonista troviamo il figlio di un immigrato, l'iraniano, il “ragazzo basso, olivastro e peloso”, colui che viene chiamato Gheddafi, Bin Laden, Saddam Hussein, iracheno, persiano, arabo, terrorista già dall'infanzia e questo a causa dell'ignoranza e degli stereotipi malsani che caratterizzano l'Italia di ieri e purtroppo anche quella di oggi.
Possiamo quindi notare attraverso l'ottima recitazione di Aram Kian la paura di essere sempre giudicato per qualcosa che non gli appartiene, la paura di non essere accettato, la paura di non essere all'altezza dell'italiano biondo e alto, di Ludovico Castiglioni, dell'italiano del Nord, perché “da Roma in giù sono tutti terroni”.
Divertenti ma nello stesso tempo drammatiche sono le parti in cui Aram spiega di essere italiano a tutti gli effetti e di possedere una carta d'identità come tutti gli altri. Ciò si può riscontrare quando racconta del suo esame di maturità e della nottata passata in commissariato per un semplice equivoco, cioè quello di essere perquisito in quanto olivastro, quindi straniero, e conclusa con l'attacco da parte di Aram verso l'avvocato Castiglioni, vestito completamente di bianco. Bianco è inoltre il termine usato molte volte da Aram per sottolineare il suo disagio, il suo sentirsi diverso dagli altri, la sua fissazione verso ciò che lui non è.
Per concludere mi complimento con un attore che è riuscito in modo impeccabile a interpretare parti diverse contemporaneamente, a far sorridere, divertire e nello stesso tempo far riflettere lo spettatore, l'italiano che, spesso, a causa di un sistema malsano, cade nell'ignoranza.

Maria Pettinato


Mi chiamo Aram e sono italiano. Storie da Synagosyty
di Aram Kian e Gabriele Vacis
con Aram Kian
regia di Grabriele Vacis
scenofonia di Roberto Tarasco
Teatro dell'Albero, sala teatro “Samuel Beckett”
Via Vignasse, 1

San Lorenzo al Mare (IM)

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