25 gennaio, 2016

NERONE, DUEMILA ANNI DI CALUNNIE. Teatro d’arte. Di Paolo Leone


Roma, Teatro Quirino. Dal 19 al 31 gennaio 2016

La storia, si sa, la scrivono i vincitori, in ogni epoca. Non immuni da un’ottica di parte, a volte obnubilata da interessi di vario tipo. Col passare dei secoli, non è infrequente una parziale riscrittura alla luce di nuovi elementi, scoperte, documenti occultati. Lo è stato per Caligola, nell’immaginario collettivo un povero folle dedito alle orge sfrenate, quando i più recenti studi hanno dimostrato ben altro. La damnatio memoriae dell’antica Roma, come quella più recente, colpisce anche con le calunnie, con le affermazioni ripetute all’infinito che, veritiere o no, diventano giocoforza  verità. Nerone, duemila anni di calunnie, tratto dall’omonimo saggio di Massimo Fini e messo meravigliosamente in scena da Edoardo Sylos Labini, ci mostra con tutta la bellezza possibile nella mente di un autore, l’Imperatore alle prese con i suoi fantasmi ripercorrere il suo declino.
“Nerone ha bruciato Roma, ha ucciso il fratello, la madre… è l’antiCristo, ama il popolo, il pazzo”, queste alcune delle accuse fomentate da quel Senato protettore della casta economica ed intellettuale che mal digeriva le aperture azzardate del dittatore verso la popolazione. In un’atmosfera onirica creata dalle scene e dai costumi raffinati di Marta Crisolini Malatesta e dalle luci suggestive di Pietro Sperduti, nonché dalle bellissime musiche dello straordinario mimo Paul Vallery, presenza discreta ma di grande effetto sul palco, lo spettacolo è quanto di più affascinante e bello (anche registicamente) visto negli ultimi tempi. Pièce di rara eleganza e raffinatezza, la cui forma non oscura le interpretazioni dei protagonisti. Dallo stesso Edoardo Sylos Labini, eccezionale nelle vesti di Nerone, a quelle di un perfetto Sebastiano Tringali in quelle di Seneca, personaggio fondamentale nella comprensione degli eventi (pur se in giacca e cravatta come gli altri esponenti del Senato, scelta registica dal chiaro riferimento all’immutabilità del potere nei millenni). 

Straordinarie anche Fiorella Rubino nel ruolo della perversa madre Agrippina e Dajana Roncione in quello di Poppea, bellissima e accorata nell’accorgersi della rovina imminente. Tutti i personaggi, compresi i vari elegantissimi figuranti della Corte, appaiono e scompaiono nella mente dell’Imperatore e palesano la voracità cannibale del Potere vero, fenice indistruttibile. L’aspirazione alla poesia, all’arte, alla bellezza, di Nerone è un nemico da abbattere. “La poesia apre le porte dell’eternità, ma chiude quelle del potere”. E se è vero che il potere si esercita nella solitudine, Nerone rimane solo come un attore sul palcoscenico ed esce di scena con dignità come l’artista che ingenuamente sognava di essere. “Cosa resterà di me? Duemila anni di calunnie”. Si esce dal teatro con la percezione di aver assistito ad una vera opera d’arte.

Paolo Leone


RG Produzioni
Edoardo Sylos Labini in: Nerone, duemila anni di calunnie. Dall’omonimo saggio di Massimo Fini. Drammaturgia di Angelo Crespi. Con la partecipazione di Fiorella Rubino. Con: Sebastiano Tringali, Dajana Roncione, Giancarlo Condè, Gualtiero Scola, Paul Vallery e con gli attori della Fonderia delle Arti. Scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta; Disegno luci di Pietro Sperduti; Musiche originali di Paul Vallery.

Si ringraziano gli uffici stampa Silvia Signorelli, Monica Menna e Paola Rotunno.

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