11 marzo, 2015

“The Homecoming”, il capolavoro di Harold Pinter riletto da Peter Stein. Di Laura Cavallaro


Catania, Teatro Stabile. Dal 4 all'8 marzo 2015

La risposta è disagio. Sì, se qualcuno mi chiedesse qual è stata la prima emozione che ho avuto alla fine dello spettacolo Il ritorno a casa di Harold Pinter per la regia di Peter Stein, in scena al teatro Stabile di Catania, non avrei dubbi nel rispondere che mi ha lasciato addosso un profondo ed inesorabile senso d’inquietudine. Non fraintendetemi, la mise en scene è l’apoteosi di un studio registico attento, non a caso è stato il primo lavoro a cui Stein prese parte da giovane in maniera attiva, tutto è cesellato sin nella più piccola sfumatura, dalle posizioni sul palcoscenico, alle espressioni sul volto degli interpreti, alle parole scandite da pause e da respiri, insomma ogni cosa è reale. Eppure non c’è catarsi, non può esserci, il racconto è talmente aberrante da risultare stomachevole, ti resta appiccicato addosso.
Lo spettatore quasi inchiodato alla poltrona non può fare altro che diventare parte di quel meccanismo malato che è insito nei personaggi. Con uno sguardo voyeuristico sbircia, come dal buco della serratura, all’interno delle mura della casa. Non è casuale che gli spettatori entrando in platea trovino il sipario aperto, come un invito forzato a partecipare a quanto sta per accadere. Ma facciamo un passo indietro, siamo nella Londra degli anni Cinquanta, Max, il padrone di casa, un intenso Paolo Graziosi, vive insieme al fratello Sam (Elia Schilton) ed ai figli Lenny (Alessandro Averone) e Joey (Rosario Lisma) in un quartiere modesto. Sin dalle prime battute si percepisce una tensione emotiva, ma è con l’evolversi della storia che si delineeranno meglio i personaggi. Ciascuno è l’emblema delle propria nevrosi: Max, è un vecchio burbero e scontroso che alterna momenti di aggressività a slanci pseudo affettuosi verso i figli; lo zio Sam, è un maniaco dell’ordine, un uomo che si accontenta di poco, non fa che vivere nel ricordo della defunta cognata ma va fiero della stima che i clienti hanno di lui e della sua discrezione, ritenendosi il miglior chauffeur della città. Poi ci sono Lenny il narcisista e Joey, beh Joey è un ragazzo ritardato con continui attacchi d’ira ma che di fronte alla violenza verbale del padre regredisce ad uno stato infantile. E’ in questa casa, che lo scenografo Ferdinand Woegerbauer ha pensato come una casa di bambola, su due piani il primo a tinte rosse, il piano terra invece rivestito da una carta da parati azzurra, che una sera ritorna il figlio maggiore di Max ,Teddy. Questi è l’unico che sia riuscito veramente nella vita, ha lasciato Londra per gli Stati Uniti dove è diventato un brillante professore universitario, si è sposato ed ha avuto dei bambini. Al rientro da un viaggio in Italia con la moglie Ruth l’uomo decide di far visita alla famiglia che non vede da qualche anno. 

Quando i due arrivano a Londra è sera tardi, Teddy apre la porta con le sue chiavi e pensa di andare a dormire con Ruth in quella che un tempo era la sua stanza, senza svegliare nessuno, rimandando le presentazioni alla mattina successiva. Ruth è una donna ben vestita e ben pettinata, come richiede il suo status sociale, ma rigida, quasi glaciale e alla vista di quell’ambiente si mostra da subito turbata, insiste nel lasciare la casa ma il suo appello resta inascoltato e alla fine per schiarirsi le idee decide di prendere una boccata d’aria. Rincasata si trova davanti Lenny, svegliato dai rumori, ma l’incontro fra i due cognati non avrà nulla di affettuoso e cordiale, piuttosto rappresenterà il preludio alla degenerazione dei fatti. La donna accolta con disprezzo dagli abitanti della casa, arriverà in maniera inaspettata a diventare dapprima il simbolo della maternità, successivamente l’emblema della sessualità sfrenata e disinibita e solo alla fine, quando otterrà finalmente di sedere nella poltrona del vecchio Max, ad affermarsi come l’unica dominatrice. In tutto questo Teddy è spettatore impassibile degli eventi, tenta in maniera blanda di convincere la moglie a tornare a casa facendo leva sui figli e sul lavoro accademico, ma alla fine non gli rimarrà che ripartire da solo. Il lavoro del regista tedesco è una lectio magistralis di teatro, nella quale con grande intelligenza e sensibilità si esplorano le dinamiche più oscure dell’animo umano e si sottolineano con attenzione i meccanismi comunicativi tra gli interpreti. Punto focale la bravura degli attori dei quali il regista si avvale, in particolare le interpretazioni di Elia Schilton e di Rosario Lisma. Una pietra miliare del teatro contemporaneo, che scuoterà lo spettatore con la stessa forza di un macigno ma dal quale non si può prescindere.

Laura Cavallaro



IL RITORNO A CASA di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra regia Peter Stein scenografia Ferdinand Woegerbauer costumi Anna Maria Heinreich
luci Roberto Innocenti
personaggi e interpreti
Max Paolo Graziosi Lenny Alessandro Averone
Sam Elia Schilton Joey Rosario Lisma Teddy Andrea Nicolini Ruth Arianna Scommegna
Produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana Spoleto56 Festival dei 2Mondi


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