30 gennaio, 2015

Intervista di gruppo a diversi personaggi dello spettacolo, affermati o emergenti. Oggi ci rispondono alla domanda: “Essere attori aiuta nella vita di tutti i giorni? Se sì, raccontami una situazione in cui ti è stato utile”. Curata da Stefano Duranti Poccetti



Valentina Gemelli - Caro Stefano, ti ringrazio e ti rispondo così: "Osservo il termine dal punto di vista etimologico e modifico la domanda in: essere ipocriti (dal greco ὑποκριτής -attori) serve nella vita di tutti i giorni? Beh, letta così a me fa un certo effetto! Va da sé che in quest'ultima accezione,quella più negativa del termine, non mi ci ritrovo. Preferisco,quindi, continuare ad essere attrice sulle tavole di un palcoscenico, ad apertura del sipario. E quando si richiude torno ad essere semplicemente me stessa".




Emanuele Ajello - Sono felice di risponderti perchè trovo che sia un'iniziativa innovativa e interessante: Molte persone che ci circondano sono attori, anche se non fanno di mestiere l'attore, e molte persone che fanno di mestiere l'attore non sono attori. Coloro che lo sono effettivamente, sia mestieranti che non, è inevitabile che usino questa loro "arma" sia nella loro vita privata che professionale, me compreso. Essere attori significa saper gestire il proprio umore, saper riprodurre emozioni e sentimenti, saper fingere. E' una qualità insita in ciascuno di noi, c'è chi ce l'ha più sviluppata, chi meno, bisogna solo saperla cogliere!


Daria D. Morelli - Quando esco da un personaggio, ritorno me stessa, nel senso che non faccio "come se fossi daria", perché sono Daria. Sul set o sul palco sono Blanche, Zelda, Giulia, Anna... ecc., assumo altre identità, che magari hanno in comune con me qualcosa. Cerco di entrare dentro di loro, come Daria che diventa loro. Ma fuori, non recito: sono Daria, non uso maschere. So che, recitando, avrò il piacere, la possibilità di mettermi tutte le maschere che voglio. La differenza è che nella vita quotidiana non ho un pubblico che ha pagato per vedermi. Dire che la vita è un grande palcoscenico è una cosa che non condivido. Le maschere si devono lasciare nei camerini. Essere solo noi stessi senza finzioni.


Flora Vona - Devi sapere che frequentavo un' università dove c'erano quasi esclusivamente professoresse donne e per le studentesse più carine era a volte difficile prendere voti alti. È per questo che lì, all'università, ho capito che il mestiere dell'attrice mi divertiva particolarmente, quando, prima del sostenimento degli esami orali, iniziava per me una vera e propria trasformazione per rendermi meno piacente. Sceglievo vestiti larghi e fuori moda e una mimica facciale adatta a rendermi sotto tono... e tutto questo funzionava! Pensa che una volta, addirittura, per non farmi riconoscere da una professoressa che mi aveva preso in antipatia, mi feci bionda e all'esame non mi riconobbe neppure!


Benedetta Valanzano - Io credo che bisogna portare la verità in scena. Cosa che mi ha insegnato il mio grande maestro
Vincenzo Salemme. La sua è una vera e propria filosofia di vita. In scena non si può fingere, il pubblico sente la verità e se lo prendi in giro perde fiducia in te, in quello che stai raccontando, non ti crede più.Credo che quotidianamente, attori o non, l'essere umano metta una maschera per vivere nella società. La libertà dell'attore è proprio questa: esorcizzare, liberarsi attraverso i propri personaggi da qualsiasi menzogna emozionale.


Giorgia Guerra - Buongiorno Stefano, buongiorno a tutti.
Torno per un istante alla domanda di questa intervista e ti rispondo che essere attrice penso mi permetta di capire il prossimo più in profondità e accresca in me una già innata empatia.
Analizzare testi teatrali e quindi personaggi diversi fra loro, studiare le loro vite, giustificare ogni loro gesto, mi ha fatto diventare probabilmente un'osservatrice più attenta del genere umano e, osservando, osservando veramente, si può conoscere tanto di qualcuno. La conoscenza conduce alla comprensione che porta, a sua volta, ad un livello di conoscenza più profondo.
Se questo mestiere può avermi reso in qualche modo migliore, credo sia stato proprio in questo.


Maria Guerriero - Io divento attrice dopo il termine "azione" e termina al termine "stop". Nella vita non recito mai, perchè recitare nella vita significherebbe essere finti e non si può vivere di finzione. Le uniche volte che recitare può essermi stato di aiuto è in qualche scherzo fatto ad amiche, ma nulla di più.








Sara Bonci - Per me il teatro è pura finzione, si nutre di realtà, ma non è e non può essere verità. La vita, al contrario, credo che non vada sprecata nei panni di un personaggio che non è il nostro. Dobbiamo essere osservatori sensibili, attenti a quello che ci gira attorno, senza preoccuparci di apparire diversi da ciò che siamo. L'attore in scena gioca, crea e poi, chiuso il sipario, torna a essere se stesso. E lo dico da teatrante non da attrice, definizione che non penso di meritarmi ancora. 

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