12 novembre, 2014

"Torneranno i prati", scritto e diretto da Ermanno Olmi (2014). Dal racconto “La paura” (1921) di Federico De Roberto. Recensione di Daria D.


Che senso ha fare oggi un film sulla Grande Guerra? E soprattutto un film che non ci dice nulla di nuovo che già non sapevamo? Un film che dubito fortemente possa attirare un pubblico giovane, che invece oggi si trova a dover fronteggiare la guerra contro un nuovo nemico : il terrorismo. Sarebbe stato interessante che Olmi, alla sua rispettabile età, si fosse cimentato in un film per parlare di questa Nuova Guerra, contro nemici incappucciati e che vigliaccamente uccidono, senza avere mai veramente dichiarato guerra, senza avere un esercito regolare, senza rispetto per le tregue, senza alcuna tattica militare, senza Generali, Tenenti, Maggiori con cui potremmo negoziare, trattare, parlare, uscendone alla fine vinti o vincitori. Tutto questo, nonostante gli orrori, invece avveniva durante la Grande Guerra.
 
Lo sappiamo che il pretesto principale, e così anche la guerra diventa motivo di business, è che nel 2015 ricorrono le celebrazioni del centenario, e sappiamo anche che gli archivi storici della RAI, cui Olmi ha attinto per il suo film, hanno un vasto repertorio di filmati, ed è molto interessante rivederli qualche volta su RAI storia. Giusto per rinfrescarci la memoria, nulla più.
Olmi prende così la palla al balzo e dedica il film a suo padre che fu bersagliere, e ne fa un film contro la guerra, perché parlare contro la guerra (e non mi si fraintenda, il contrario non è inneggiare a essa, ma capirla, storicizzarla, vederla come espressione dell’istinto aggressivo dell’uomo, e a volte unico mezzo di liberazione  dal pericolo e poi, sì condanniamola pure) è un DOVERE dell’intellettuale, ma allora perché non rivederci per esempio: “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick (1957), “La Grande Guerra”  di  Mario Monicelli (1959), “All’ovest niente di nuovo” di Lewis Milestone (1930, dal romanzo di Erich Maria Remarque), “La grande illusione” di Jean Renoir (1937)?




Il film è di una bellezza visiva ineccepibile, quasi maniacale, si capisce che sono stati spesi molti soldi ma tanti sono i produttori che l’hanno finanziato, Edison, Nonino, Veneto Film Commission, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, RAI Cinema, Cinemaundici, Ipotesi Cinema, la figlia Elisabetta Olmi e un po’ anche noi cittadini italiani.
Fabio Olmi ha curato la fotografia e Giuseppe Pirrotta la scenografia, e senza queste due preziose collaborazioni, credo che il film perderebbe molto del suo fascino. Perché la pellicola si basa in gran parte sull’impegno visivo, la storia invece è esile, quasi inesistente, qualche battuta di forte impatto emotivo in dialetto veneto, siamo sull’Altipiano di Asiago, a 1800 metri, e su tutto, come la vera colonna sonora, il rumore dei cannoni che sparano nella notte. Quasi della musica di Fresu si poteva farne a meno, come anche delle parole. Si poteva azzardare ad affidarsi solo ai silenzi della neve, al freddo che esce azzurrino dalle labbra screpolate e  agli spari dei mortai.
Gli attori si assomigliano tutti, forse perché sotterrati sotto il peso di costumi altrettanto ineccepibili che certamente danno l’idea della ruvidezza, della solidità e da cui rimangono scoperti solo sguardi spauriti e barbe incolte.  Anche la recitazione è ruvida e un po’ monotona.
L’idea del napoletano che canta a squarciagola di notte, en plein air, rischiando di beccarsi una fucilata, lì per lì ci fa sorridere poi quando anche gli austriaci gli gridano “bravo”, ci scappa un “mah!”. In fondo, nonostante un grande  impegno formale e di denuncia  manca una vera emozione,  come per esempio c’era ne “La Grande Guerra” di Monicelli, film meno raffinato ma più vero, più autentico, più bello e che a distanza di tanti anni, è sempre un’ emozione rivedere.
Il film ha un ritmo lentissimo, certamente la Grande Guerra è stata una guerra lenta, fatta di attese, di preparazione, di studio del nemico, ma poi quando c’era da avanzare si avanzava, si obbediva, si combatteva, contro i nazisti, i fascisti, i bolscevichi.
 Senza la guerra, senza il sacrificio di milioni di uomini, saremmo ancora nelle mani di dittatori sanguinari, e non potremmo fare film contro la guerra. Olmi lo sa… ma non lo dice.


Daria D.


I credits completi a questo link.

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