30 ottobre, 2014

IL CINEMA RITROVATO RICOMINCIA DA “I 400 COLPI” DI TRUFFAUT. Di Francesco Vignaroli


Castiglione del Lago, Cinema Teatro Cesare Caporali. Martedì 21 Ottobre 2014

Dopo il successo della prima edizione che, a partire da Settembre 2013 fino allo scorso Giugno, con cadenza mensile ha riportato in tutte le sale italiane aderenti dieci classici del cinema restaurati e rieditati in versione digitale, torna con un nuovo ciclo la rassegna “IL CINEMA RITROVATO al cinema”, iniziativa promossa dall’instancabile Cineteca di Bologna in collaborazione con Circuito Cinema; i lettori di Cortona e dintorni possono assistere a queste proiezioni presso il cinema Cesare Caporali di Castiglione del Lago (www.cinemacaporali.it).
Per il primo appuntamento, cui farà seguito a Novembre il mitico Gioventù bruciata (www.ilcinemaritrovato.it/i-film), non si poteva davvero chiedere di più: in occasione del trentesimo anniversario della prematura scomparsa di François Truffaut, uno dei più grandi registi di tutti i tempi e il principale esponente della cosiddetta Nouvelle Vague francese, i curatori hanno pensato bene di celebrare la ricorrenza riproponendo, rigorosamente in versione originale con sottotitoli, I quattrocento colpi (1959), l’opera prima nonché il risultato più alto (raggiunto a soli 27 anni!!!) della carriera del Maestro; al di là del suo enorme valore artistico, che lo pone tra i capolavori assoluti della storia del cinema, il film è importantissimo anche da un punto di vista storico: insieme all’altrettanto folgorante esordio Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard (su soggetto di Truffaut) dell’anno successivo, considerato il manifesto del movimento Nouvelle Vague, ed al celebrato Hiroshima Mon Amour (sempre del 1959) di Alain Resnais, riproposto lo scorso Maggio come penultimo appuntamento del primo ciclo della rassegna, I quattrocento colpi ha rappresentato il punto di svolta del cinema francese ed il simbolico ricambio generazionale tra i grandi registi del passato (Gance, Renoir, Vigo, Carné, Duvivier, Clair, Clouzot, Bresson…) ed i giovani rampanti formatisi alla scuola critica dei Cahiers du Cinéma e di Arts (ai tre nomi citati aggiungo almeno quello di Claude Chabrol); si tratta di una di quelle opere epocali che hanno suddiviso la storia del cinema in un “prima” e in un “dopo”.
Il film è stato preceduto da una breve introduzione (in video) del celebre critico cinematografico Paolo Mereghetti, oltre che da un gustoso documento d’epoca, una vera chicca per gli appassionati: il provino originale dell’allora quattordicenne Jean-Pierre Léaud, il protagonista del film, che in quei pochi minuti dimostra di trovarsi già perfettamente a suo agio davanti alla macchina da presa, dando prova di notevole disinvoltura e anche di simpatica sfrontatezza…un attore nato, qui al suo debutto, primo atto di una carriera di tutto rispetto che lo porterà a diventare uno degli interpreti preferiti di Truffaut: è nata una stella!

Il film

Parigi. Rifiutato da una madre e da un patrigno che non lo amano, osteggiato a scuola da un maestro che non lo apprezza, il dodicenne inquieto Antoine Doinel esprime tutta la sua insofferenza ed il suo disagio verso un’esistenza già segnata dalla solitudine e dall’emarginazione: salta la scuola, racconta bugie, scappa di casa, rubacchia; il suo unico amico (oltre a Balzac) è il coetaneo e compagno di scorribande Réne –di famiglia benestante ma altrettanto disastrata-, col quale progetta il furto della macchina da scrivere del patrigno, ma la bravata gli costa cara: finisce in riformatorio, dal quale evade per andare, finalmente, a vedere il mare…

Cosa dire di un film così perfetto, di un capolavoro che a distanza di più di mezzo secolo non ha perso una stilla del suo fascino immortale e della sua magia? I quattrocento colpi è uno di quei motivi per cui vale la pena vivere (sì, esagero!), è Arte nella sua espressione più sublime ed esaltante, capace di emozionare grazie alla sua semplicità (ho già osservato altrove come tale elemento si associ spesso ai capolavori…) e universalità.
Inserendo elementi autobiografici –anche Truffaut è stato un adolescente “difficile” e tormentato- in un impianto narrativo quasi documentaristico (come sottolineato dall’assenza di inquadrature in soggettiva), debitore tanto del neorealismo italiano quanto del rigore ascetico di Bresson (ma sono riscontrabili anche echi del Jean Vigo anarchico di Zero in condotta, specie nelle scene ambientate a scuola), Truffaut ha raccontato una toccante e sincera storia di solitudine giovanile mantenendosi in ammirevole equilibrio tra lucidità, obiettività, affetto e partecipazione e riuscendo a non scadere mai nel patetico o nel facile sentimentalismo. Eppure il film raggiunge lo stesso picchi di intensità emotiva straordinari, grazie anche alla stupenda colonna sonora di Jean Constantin, capace di amplificare e liberare le emozioni fino alla catarsi, ed alla fotografia di Henry Decae (e André Dino), che cattura in uno splendido bianco e nero tutta la poeticità e la fatata suggestione di una Parigi invernale e –leopardianamente-  indifferente ai sentimenti umani, fino all’apoteosi del finale, uno dei più belli di tutta la storia del cinema (quasi impossibile non commuoversi!): il raggiungimento del mare, la meta tanto agognata, un immenso spazio aperto che è forse la più efficace metafora dello sconfinato desiderio di libertà che anima Antoine…
Dunque, nella grande metropoli francese si agita un piccolo cuore ammalato di solitudine e bisognoso tanto d’affetto quanto di libertà, quest’ultima da intendersi sia come libertà di scelta che come libertà d’espressione: Truffaut punta il dito contro il carattere repressivo della società francese (famiglia, scuola, istituzioni) e demolisce il mito della sacralità e solidità della famiglia…tra la situazione di Antoine, figlio indesiderato di una madre nevrotica ed infedele, e quella di Réne, abbandonato a sé stesso da una madre alcolizzata e da un padre tanto ricco quanto assente, ce n’è davvero per tutti i gusti! Molto significativamente -ed è, questo, un elemento ricorrente della poetica di Truffaut- l’unica medicina efficace contro il male di vivere, l’unica possibilità di fuga da una realtà inaccettabile è rappresentata dall’arte (in questo caso letteratura e cinema), qui pure antidoto contro l’immensa solitudine di Antoine, che si affeziona a Balzac fino al punto da dedicargli un altarino nella propria cameretta, cui accendere una candela come ad un amico scomparso (bruciando poi la tenda!).
Straordinario il piccolo Jean-Pierre Léaud (davvero l’interprete ideale per questo film!), che da qui in poi, attraverso il suo personaggio, diventerà un vero e proprio alter ego del regista, che lo confermerà come protagonista nei successivi quattro capitoli del ciclo dedicato ad Antoine Doinel, del quale Truffaut seguirà le varie fasi di crescita e maturazione parallelamente a quelle del suo interprete, un esperimento pressoché unico nella storia del cinema. Così, a I quattrocento colpi faranno seguito l’episodio di L’amore a vent’anni (film collettivo del 1962 girato da cinque registi diversi), Baci rubati (1968), Non drammatizziamo… è solo questione di corna (1970) e L’amore fugge (1979), film che documentano i primi amori, l’ingresso nel mondo degli adulti e la maturità di Antoine (e in fondo, forse, anche di Jean-Pierre, che alla fine della saga ha solo 35 anni, cioè la stessa età del suo personaggio), senza però riuscire a ripetere l’incanto del primo.
L’ineguagliabile finale non è l’unica scena che merita di essere citata tra quelle indimenticabili: valgono tantissimo anche l’uscita con l’insegnante di ginnastica per le strade di Parigi, con gli scolari che si dileguano uno dopo l’altro; le lacrime di Antoine durante il trasferimento notturno verso il carcere; il disarmante colloquio con la psicologa.
Alcune curiosità sul film: il regista si concede una fuggevole apparizione -davvero arduo riconoscerlo!- nella celebre scena della giostra (è l’uomo accanto ad Antoine); breve cameo anche per l’attrice Jeanne Moreau: è la donna che cerca di acchiappare il cane; tra gli assistenti di Truffaut c’è il regista Philippe de Broca; I quattrocento colpi, nonostante fosse l’opera di un esordiente, ha rappresentato il cinema francese nell’edizione ’59 del Festival di Cannes, aggiudicandosi il premio per la regia; il titolo del film è un’espressione gergale equivalente, più o meno, alla nostra “fare il diavolo a quattro”.
Sulla Nouvelle Vague, ed in particolare sui rapporti tra Truffaut e l’amico e collega Godard, segnalo l’interessante documentario I due della Nouvelle Vague (Two in the wave) del regista Emmanuel Laurent.

Francesco Vignaroli

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