27 luglio, 2014

Diego Nuzzo e il suo libro “Come se non fosse successo niente”. Intervista curata da Andrea Axel Nobile


Diego Nuzzo, foto Mario Gelardi
Diego Nuzzo è nato nel 1967 a Napoli, dove vive tuttora. È stato pubblicitario, architetto, libraio, barista, organizzatore di eventi culturali. Dal 2007 al 2013 ha diretto il Penguin Cafè. Nel 1995 ha pubblicato “I silenzi abitati delle case” e nel 2014 “Come se non fosse successo niente”. Beve tè verde, ascolta Mozart, ha una vespa, un cane e dei buoni amici. Come se non fosse successo niente è un libro che ha per fil rouge un altro libro, anzi molti altri e che unisce in una unica trama tante storie solo apparentemente lontane tra loro, in realtà concatenandole in un moltiplicarsi di piccole novelle da leggere anche ad una ad una. Parlerà più di un protagonista ma una sola intensa voce narrante, condurrà il lettore attraverso una storia di amore, anzi più amori, tra le persone e tra i libri e per i libri.

Ci sono autori assai prolifici e altri che invece sembrano meditare più a lungo il frutto del loro lavoro. Dal primo libro che hai pubblicato sono passati vent’anni. Cosa è per te la scrittura, quanto ti costa? Gli spunti che ti servono per iniziare a dar corpo alle tue storie come nascono?

Ho cominciato a scrivere “Come se non fosse successo niente” pochi giorni dopo l’uscita in libreria de “I silenzi abitati delle case” nel 1995. Scrivo tutti i giorni, in modo rizomatico, lasciando appunti sparsi su programmi di sala di concerti, sul retro di biglietti di treno, sulle ultime pagine bianche dei libri che sto leggendo. Accumulo idee, suggestioni, germogli, trascrivo episodi accaduti che ascolto dagli amici, raccolgo articoli di quotidiani dove ci sono delle storie che mi colpiscono. Quando il materiale diventa debordante comincio a dare ordine al tutto come si fa con la pasta brioche: “impastando” e lasciando lievitare, poi impastando di nuovo e così via. Da quel punto in poi scrivo tutti i giorni: ma il lavoro più difficile è tornare pervicacemente su un passaggio, a volte su una sola parola che non collima con tutto il resto, limare, smussare per poi decidere alla fine di tagliare intere pagine. Infine, il momento più difficile: lasciar andare il libro. A quel punto non è più tuo: diventa patrimonio di ogni lettore.

Nel romanzo che è stato pubblicato il fil rouge conduttore è, anzi sono, i libri. Tramite i volumi via via elencati nei vari episodi che compongono la trama di "Come se non fosse successo niente" si costruisce anche il carattere dei personaggi che si delineano sulle tue pagine. Qual è stato il tuo ordine di scrittura? Da un titolo e la sua trama hai pensato a chi potesse leggerlo oppure viceversa?

Il lavoro per me più difficile è dare carattere ai personaggi, fare in modo che siano credibili, che appaiano tridimensionali, donne e uomini che potresti incontrare in metropolitana o in un negozio: per far ciò costruisco delle schede in cui annoto indole, personalità, inclinazioni. Anche per evitare di cadere in contraddizioni nello svolgimento della vicenda. A quel punto cammino ogni giorno con loro, immagino come potrebbero essere vestiti, che gusti avere, in che modo esprimersi: e quindi che libri potrebbero leggere. La prima cosa che faccio entrando in una casa, è curiosare nelle librerie dei proprietari. È la caratteristica che mi colpisce di più nel mio interlocutore: i suoi gusti letterari, le edizioni, le traduzioni. Lo stesso ho fatto con i miei personaggi: dopo aver fatto “amicizia” ho assegnato loro le letture esatte.

Si denota una ricercatezza linguistica nel testo da te scritto, come nasce questa voglia di raccontare attraverso un linguaggio complesso che non arriva a tutti, e come pensi che evolverà e se lo farà, la nostra lingua dominata sempre più dai linguaggi dei social veloci e zeppi di infarciture ad esempio della lingua inglese se non di neologismi alcuni magari destinati a entrare nei vocabolari?

Uno dei protagonisti del romanzo scrive: “Il precetto di oggi era: impara tre parole sconosciute in italiano. Ho letto un articolo su La Re¬pubblica di Pietro Citati. Utilizza stolido, eslege e làte¬bra. Stupendo! Solo che mi chiedo quando mai potrò utilizzarle…”. È così: non necessariamente utilizzeremo tutti i giorni parole come queste, ma è bellissimo scoprirle, impararle, giocarci anche. Perché la lingua è un gran gioco divertente e appassionante. Trovo smisuratamente noioso leggere, sui social network ma spesso purtroppo anche sui quotidiani, una lingua sciatta, disattenta, zeppa di solecismi barbarici. La lingua può e deve evolversi: ma scrivere con la “k” al posto della “c” non la trovo un’evoluzione particolarmente eccitante.       

Ti fa piacere che il tuo libro, così come il precedente, sia considerato un piccolo caso letterario?

Sarei insincero se dicessi che non mi importa. Fa piacere andare in libreria e vedere che un perfetto sconosciuto ha sotto braccio una copia del tuo libro, che è in testa alle classifiche di vendita, che riceve recensioni lusinghiere. Ma la cosa più gratificante è ricevere decine di mail spesso da sconosciuti che ti dicono quanto quel romanzo abbia cambiato il loro sguardo sulle cose, che li abbia indirizzati verso luoghi fino a quel momento ignorati, che abbia fatto scoprire loro libri ignoti. Sono questi i piccoli particolari che danno un senso vero al tuo lavoro.

Credi che il bookcrossing sul quale si impernia in qualche modo il tuo romanzo, sia un elemento passato di moda oppure può essere uno strumento di divulgazione culturale ? Basta lasciare un libro su una panchina per fa sì che inizi il suo viaggio oppure ci sono - e hai - idee che possano rinvigorire questo che poco tempo fa era un vero e proprio fenomeno? 

Diego Nuzzo, foto Mario Gelardi
Il bookcrossing non ha bisogno di grandi rivoluzioni: possiamo utilizzare internet invece della radio per segnalare i luoghi dove sono stati “liberati” i volumi, ma la formula regge anche senza ausili esterni. È un fenomeno che funziona nelle società entusiastiche, tra singoli e gruppi di persone energeticamente positive, che fanno qualcosa per qualcuno che non conosceranno mai. Lasciare un libro in un luogo ben preciso perché qualcun altro lo ritrovi e se ne innamori è un gesto di profonda solidarietà che denuncia una visione del mondo ottimista e gioiosa: è condividere senza doppi fini, senza vanità né tampoco narcisismo. E in un momento e un paese come questi depressi e sfiduciati il bookcrossing rappresenta un’oasi di intelligenza e di entusiasmo senza pari.

Cosa ci aspetteremo nel futuro di Diego Nuzzo?

Cominciare a pubblicare con continuità, senza aspettare altri vent’anni per il prossimo libro. E non mi riferisco solo alla narrativa: ci sono i miei studi sull’architettura e sul cinema, c’è il cimentarmi con la scrittura per il teatro. Forse è giunto il momento di svuotare i cassetti. Perché i sogni nel cassetto fanno la muffa.


Curata da Andrea Axel Nobile

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