10 giugno, 2014

La mal’ombra, ovvero l’eterna sfida tra Davide e Golia. Di Giovanni Rubin


Dopo aver trattato del cinema veneto soprattutto in riferimento a quello di finzione, sembra ora opportuno guardare alla produzione documentaria, per un’analisi più completa del fenomeno. L’opera scelta è La mal’ombra, una pellicola forse poco nota, ma sicuramente rivelatrice di alcune delle dinamiche che hanno percorso la recente storia della regione.
La mal’ombra è una produzione del 2007 diretta da Andrea Segre e Francesco Cressati, a partire da un’idea dello stesso Segre. Il lavoro vanta la partecipazione al TFF, il Torino Film Festival, una delle principali rassegne cinematografiche italiane.
La pellicola è ambientata a San Pietro, frazione di poco più di mille abitanti del comune di Rosà – in provincia di Vicenza –, che ne conta invece circa quattordicimila (comprese le altre tre frazioni). I dati sulla popolazione, come si vedrà, assumeranno grande importanza per la comprensione delle vicende documentate, che riguardano lo scontro tra una zincheria ed un comitato di cittadini – con tanto di presidio fisico di fronte alla fabbrica – che si oppone alla sua attivazione.




Della querelle – che prende il via ad inizio anni 90, con l’acquisto del terreno da parte dalla zincheria, e prosegue nel nuovo millennio con i lavori di costruzione – il film segue i fatti del periodo più delicato, quello compreso tra il Maggio del 2006 ed il Giugno del 2007. Nello specifico la prima è la data della tavola rotonda tra zincheria, presidio, comune, provincia ed Arpav (l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto) per l’autorizzazione all’inizio delle attività della fabbrica. La seconda data è, invece, quella delle elezioni amministrative del comune di Rosà, a cui il presidio prende parte con la presenza di alcuni suoi attivisti all’interno di una delle liste candidate.
Nel corso del racconto si delineano sempre più i contorni di una sfida degna di Davide contro Golia, nella quale il presidio appare lottare da solo contro una sorta di coalizione formata dalla zincheria e dalle istituzioni: la presenza alla tavola rotonda si mostra tale solo sulla carta in quanto i rappresentanti del comitato cittadino vengono subito esclusi dal dibattito, dal momento che la loro rivendicazione a partecipare all’incontro non viene ritenuta legittima dal resto dei presenti.
A seguito dell’esclusione del presidio e dell’abilitazione ai lavori concessa alla zincheria, i cittadini di San Pietro tentano di seguire la stessa via che, a loro avviso, ha portato alla vittoria dei rivali, ovvero l’appoggio delle istituzioni. Vengono subito individuate come soluzione le elezioni comunali dell’anno seguente, con la speranza che la campagna elettorale possa sensibilizzare l’intera cittadinanza e portare al potere le istanze del comitato.
La solitudine della lotta del presidio, viene rimarcata dai registi attraverso lo sbilanciamento delle forze messe in campo. Da una parte la composizione di una lista civica e di pochi fondi a disposizione – da raccogliere con cene benefiche –, dall’altra il sindaco uscente di un partito politico ottimamente radicato sul territorio che riceve l’endorsement del vice presidente del Senato. La disparità tra i contendenti è messa in luce anche, come annotato in apertura, dalla numero di abitanti della frazione e di quello del capoluogo. Il risultato elettorale non mancherà però di offrire qualche sorpresa.
La mal’ombra è però molto più di un confronto tra le parti, è il racconto di un mondo in piena evoluzione. Un mondo all’interno del quale la convivenza tra la cultura rurale (allevamento, agricoltura, caccia) e l’ampliamento delle zone industriali diventa sempre più difficile e non manca di creare tensioni. D’altro canto anche l’immediatezza e la spontaneità di una parte stride con la compostezza e le capacità mediatiche dello schieramento opposto. Si tratta, in altri termini, di una panoramica su un decisivo momento di passaggio, realizzato però con uno strappo difficilmente ricucibile.

Merito del documentario è anche quello di non limitarsi al racconto delle azioni del presidio e dei cambiamenti sociali avvenuti, ma anche di mostrare come l’impegno civico abbia radicalmente stravolto le vite private dei suoi interpreti più battaglieri. Si comprende così il senso del titolo scelto. Dalle testimonianze dei protagonisti, la fabbrica è vista come qualcosa che, invece di provare – per quanto possibile – ad inserirsi con discrezione nella vita delle persone, proietta su di esse un’ombra che inghiotte tutto: passato, presente e speranze future.

Giovanni Rubin

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