14 marzo, 2014

JAZZ: tra sociologia e antropologia. Di Daniele Panico


Ancora un saggio del noto musicologo Gildo De Stefano, questa volta percorrendo i sentieri socio-antropologici, una prefazione d’eccezione dell’autorevole ed emerito sociologo pluri-insignito del pianeta, Zygmunt Bauman, che nei suoi ultimi lavori ha inteso spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. Scrive il pensatore di Leeds: “Quando De Stefano mi ha proposto di redigere qualche riga per introdurre questo suo saggio sociologico sulla musica jazz”  “adducendo che -nonostante l'argomento apparentemente 'leggero'- altri illustri studiosi in passato, quali il mio compianto amico Eric J. Hobsbawm, si erano interessati ad esso, ho chiarito all'autore che -a differenza di me- l'amico Hobsbawm aveva speso migliaia di ore ascoltando dischi di jazz e migliaia di notti trascorse nei jazz-club, acquisendo incomparabilmente una cospicua cultura jazzistica forse superiore alla maggior parte di musicologi e critici musicali che sono in giro. Certamente Hobsbawm amava, sentiva, e capiva di jazz in modo più intenso di tutti (o quasi) questi messi assieme. Ahimé, se paragonato a lui raggiungerei a stento la sua caviglia.
Insomma, avevo riferito a De Stefano che non ero all'altezza del compito e, scegliendo la mia introduzione per il suo libro, gli avrei fatto più danni che benefici. Tuttavia, constatando la pervicace e coinvolgente passione musicale di questo sociologo italiano, nonché le sue opere saggistiche di stampo musicologico, ho cercato di rintracciare nei miei scritti, qualcosa che potesse essere utile alla sua causa”.
Il libro, che si intitola Una storia sociale del jazz (Mimesis Edizioni, Milano 2014, pagg.182, €. 16,00), e sottotitolato “dai canti della schiavitù al jazz liquido” prende il via dalle teorie classiche fino ad arrivare alle prospettive contemporanee sulla musica d’improvvisazione. Giova evidenziare che ormai la presenza del jazz nella cultura musicale mondiale è un dato difficilmente confutabile. Anche chi non conosce direttamente il suo idioma, inteso come genere musicale specifico nato in America, può –una volta resosene conto- riconoscerne gli influssi su gran parte della musica occidentale del secolo scorso. Ma il jazz non è solo musica bensì rappresenta a tutti gli effetti una componente ' sociale’ e, quindi, se prima coinvolgeva solo il popolo afroamericano adesso va inteso a livello ‘glocale’ e -come tale- una gran parte di studiosi, a cominciare da Eric J. Hobsbawm, ha dedicato a questo peculiare segmento del genio creativo approfondimenti di stampo socio-antropologico. Questo saggio, pur non avendo la pretesa di voler essere una sorta di 'sociologia della musica jazz', affronta  l'argomento della musica afroamericana -con tutte le sue peculiarità quali l'improvvisazione e quant'altro- sotto un profilo squisitamente epistemologico, partendo dalle teorie classiche fino ad analizzare quelle prospettive relative al mondo della globalizzazione. A tal proposito il jazz, come linguaggio musicale, assume da sempre un ruolo significativo nei processi di costruzione sociale della realtà e dell’immaginario individuale e collettivo, malgrado la tanto auspicata evoluzione nel Terzo Millennio riguarda più l'aspetto meramente tecnologico, inteso come ascolto, che quello sostanzialmente innovativo e geniale. L'opera è tipicamente di stampo saggistico, con una scrittura alquanto erudita, tuttavia comprensibile anche dal neofita, con una soddisfacente e colta bibliografia. De Stefano ha composto un'opera decisamente innovativa data la una carenza di trattati socio-antropologici sulla musica afroamericana colmando quella lacuna lasciata negli anni Settanta dal grande storico mondiale  Hobsbawm.


Daniele Panico

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