03 marzo, 2014

Intervista con Carmen Di Marzo e Danilo Celli. La grinta, la voglia di fare, la disciplina. La luce negli occhi di due giovani attori in ascesa. Intervista curata da Paolo Leone


Incontro i due nel foyier del Teatro Roma, dove per tre settimane sono stati protagonisti, insieme ad Edy Angelillo e Pietro Longhi, della fortunata nuova commedia di Roberta Skerl, “Questi figli amatissimi”. Mi ha molto colpito la loro educazione, il rispetto del loro ambiente e del lavoro altrui. L’amore per il palco che brilla nei loro occhi. Conosciamoli meglio…

Inizio con te, Carmen: A primo impatto, sfogliando il tuo curriculum, viene spontaneo chiederti se volessi fare la “musical performer”…cantante, danzatrice..


Di Marzo: Eh, in realtà ho cominciato con il teatro musicale, la danza, poi ho voluto ampliare quello che era il mio bagaglio, approfondendo molto di più il discorso della recitazione, perché sostanzialmente mi piace molto più la prosa che non il teatro musicale, anche se sono partita da lì, ma poi una serie di situazioni mi hanno fatto capire che il mio primo talento era la recitazione. Tendenzialmente, il teatro mi piace in ogni suo aspetto, ma se devo dare una priorità, penso proprio che la recitazione sia il linguaggio più affascinante, in assoluto.

Danilo, a me ha molto colpito aver saputo che hai iniziato con due grandi nomi del teatro: Arnoldo Foà ed Erika Blank…un inizio niente male!

Celli: Sì, devo dire! Quella è stata la mia prima compagnia professionista. Io venivo da una compagnia amatoriale in cui recitavo da quando avevo otto anni. A diciannove anni mi è capitata questa occasione…due anni di tournèe, è stata una crescita improvvisa! Eh si…ho proprio iniziato con uno dei più grandi esponenti del teatro italiano, nel nostro secolo, ed è stata un’esperienza incredibile. Duecento repliche..vederli tutte le sere, qualcosa sicuramente ti insegnano. Due grandi professionisti, una verità incredibile. Io poi avevo un ruolo in cui, con loro due, ce la giocavamo un po’ alla pari, nel senso che interpretavo il loro nipotino scanzonato che li prendeva a parolacce e poi loro acquisivano il mio linguaggio e quindi si rovesciavano i rapporti, era molto divertente. Subentrai in sostituzione di un altro ragazzo, a metà del primo anno di tournèe e mi scelse proprio Foà. Debuttai a Greve in Chianti e poi partimmo per tutta Italia!

Carmen, tu hai avuto esperienze sia nel genere drammatico che in quello brillante. Quando hai iniziato, avevi in testa un genere ben preciso o ancora ne sei alla ricerca?

Di Marzo: Mah, io all’inizio ero molto amante del drammatico, devo dire la verità, quindi avevo ed ho tutt’ora grande passione per tutto il teatro classico…Shakespeare, Cechov, una grande passione soprattutto nei primi anni in cui studiavo recitazione e quindi ho iniziato proprio con questo genere. Poi è stata soprattutto l’esperienza lavorativa a farmi capire che avevo anche altre qualità che potevo valorizzare. Essendo napoletana, avere la possibilità di recitare anche in dialetto…mi piace molto recitare sia in italiano che in napoletano, e quindi proprio queste esperienze professionali, alcune molto importanti, mi hanno cambiato la visione, l’idea del tipo di teatro che volevo fare ed ho iniziato ad apprezzare una certa versatilità che è importante per un attore, per avere poi una vasta gamma di ruoli con cui dimostrare ciò di cui si può essere capaci.

Danilo, nella commedia con cui siete stati recentemente in scena (“Questi figli amatissimi”, di Roberta Skerl – ndr), avete recitato con due attori importanti come Edy Angelillo e Pietro Longhi. Cosa avete imparato, cosa vi hanno trasmesso?

Celli: Allora..intanto hanno entrambi un approccio assolutamente divertente e rilassato (ride) anche semplicemente prima dello spettacolo e questo è molto importante per distendere il resto della compagnia ed entrare in scena uniti, compatti. Considera, Paolo, che prima di debuttare al Teatro Roma, avevamo avuto una prima nazionale a Pontinia leggermente complicata: non avevamo le scene, Edy aveva la febbre alta..quindi un debutto quasi nel vuoto, ma questo loro atteggiamento disteso è stato molto importante per noi due. Dal punto di vista professionale, poi, io con Pietro Longhi ho lavorato altre volte. Lui è una persona metodica, precisa, testarda, ama aiutare i compagni di scena, proporre cose nuove, molto altruista. Edy Angelillo, anche lei ci è stata molto vicina e poi…sul palcoscenico è un treno travolgente! Sono due personalità da cui poter imparare tanto.

In questa commedia eravate fratello e sorella. Come vi siete trovati a lavorare insieme e se c’è una dote dell’altro che vorreste avere.

Di Marzo: In realtà mi sono molto riconosciuta in lui, perché abbiamo un modo molto simile di vedere il nostro lavoro. Siamo entrambi molto precisi, meticolosi, attenti, ci consigliamo, c’è stata grande collaborazione. Mi sono trovata benissimo, anche perché è una persona splendida, e spero di poter lavorare ancora insieme in futuro. Quando trovi colleghi che guardano nella tua stessa direzione, è un piacere.

Celli: A parte condividere tutto quello che ha detto ora Carmen (ridono insieme), effettivamente nei due personaggi abbiamo creato un percorso insieme. Questi due fratelli si legano in maniera viscerale, si affrontano ma sono molto legati. Se posso dire, invece, io a Carmen invidio una cosa: la sua costanza nel dedicarsi al lavoro. Io, per adesso, faccio anche altro. Studio medicina ma preferirei, come lei,  concentrarmi  totalmente sul lavoro ed avere una strada unica, precisa, un desiderio fisso, un obiettivo da puntare, cosa che al momento non è.

Voi siete molto giovani. Dal vostro punto di vista, perché è così difficile emergere nel mondo del teatro, o dello spettacolo in genere?

Di Marzo: Mah, a parte il momento disastroso che stiamo affrontando, diciamo pure che, fondamentalmente è difficile perché viviamo in un Paese che non permette facilmente il ricambio e quindi è una lotta continua, feroce. Mi ricollego a quello che prima diceva Danilo sulla determinazione: è un mestiere che, soprattutto se non hai santi in paradiso, se non sei figlio d’arte e devi fare tutto da solo, necessita di grande forza, di grandi sacrifici e poi i risultati arrivano. Io sono molto contenta del percorso che sto facendo, ma deve essere costantemente sostenuto da una volontà assoluta. Talento si, ma tanto carattere… io in napoletano la chiamo “una sana cazzimma”, ci vuole, perché altrimenti questo è un mestiere che ti schiaccia facilmente, quindi c’è bisogno di affrontarlo anche a brutto muso.

Danilo…Carmen ti sta dando delle “dritte”..devi decidere, insomma, cosa vuoi fare da grande! (ridono entrambi)

Celli: Sì sì, ne sono cosciente! Io rispetto a Carmen sono vagamente più fatalista nell’approccio, nel senso che finora mi ha sempre detto bene, mi sono capitate solo cose belle, fortunate, però certamente non posso sempre sperare nella fortuna, quindi necessariamente dovrò acquisire un po’ della sua determinazione. Secondo me la variabile impazzita, oggi, è che non basta essere preparati e bravi per riuscire nel nostro mestiere. Ci sono sfumature che non possono essere tenute sotto controllo.

Parliamo di registi. Tu, Carmen, hai lavorato in passato con uno dei miei preferiti, che è Luca De Bei. Quanto conta una regia per un attore?

Di Marzo: In quello spettacolo non c’era solo De Bei, ma anche Patrizio Cigliano. Il testo era di De Bei, uno dei primi che scrisse, si chiamava “Questo sogno”. Era molto bello, tutti ragazzi che raccontavano la prima volta che si erano innamorati e la prima volta che avevano fatto sesso. L’incontro con Luca fu bello, lui è una persona di grande umanità, sensibilità, aveva un modo di raccontare il suo percorso che mi è servito molto, nel senso che è una persona con cui puoi parlare di tutto. Ho un gran bel ricordo, fu poi uno dei miei primi spettacoli in cui avevo un ruolo più da protagonista, un bel ruolo drammatico. Con i bravi registi hai la possibilità di lavorare su tutte le  battute, ogni parola conserva un mondo. Soprattutto con De Bei, un grandissimo esponente della drammaturgia contemporanea, ha un modo di scrivere particolare, molto attuale, tanto che quello spettacolo non era molto convinto di doverlo rappresentare perché lo scrisse anni prima e quindi riteneva che fosse già superato. Diversi monologhi estratti da quel lavoro, negli anni li ho recitati anche ai vari provini e mi hanno portato fortuna. Un’esperienza molto formativa.

Danilo, invece, non sei da meno perché hai lavorato una volta, anche se per uno spot pubblicitario, con Tornatore.

Celli: Eh, sì... un paio di Oscar all’attivo! Recentemente ho lavorato anche con Sofia Loren, non alla regia, ma come assistente in un suo ultimo lavoro.  Capitò tutto insieme: era appena iniziata la tournèe con Foà, con un copione da imparare a memoria due giorni prima di andare in scena, che dopo tre giorni mi arriva la comunicazione che Tornatore mi aveva scelto per questo spot. Grande emozione… Arrivato sul set, Tornatore esclama davanti a tutti: “Oh, ecco l’attore più atteso!” Diventai viola dalla vergogna… Dopo di che la sua prima domanda fu: “Hai problemi a baciare le ragazze?” Convocati alle 5,30 di mattina, a febbraio, vestiti primaverili, al Gianicolo. Il particolare che ricordo è che lui voleva la luce dell’alba per girare, per cui avevamo poco meno di trenta minuti per la scena. Creò un’atmosfera particolare sul set..si mise lui stesso a sistemare anche le foglie accanto a noi, ci spiegò il bacio. Tu dirai..è un bacio. Ma lui ci raccontò da dove nasceva quel bacio, quello che ci aveva portati a darcelo, quel che era successo la notte precedente..bellissimo! Con la Loren, invece, alla regia c’era Edoardo Conti, il figlio, e sono stato suo assistente personale, studiavamo la memoria insieme…ho imparato tanto da lei, non solo come attore ma proprio umanamente. Sembra una follia dirlo, ma è nata una forte amicizia tra  noi.

Siete due ragazzi…spero che voi non siate tra quelli che ripetono una frase che detesto: “la gente vuole solo ridere!” Con questo alibi, ci propinano lavori imbarazzanti..

Di Marzo: In realtà, dato appunto il periodo di cui parlavamo prima, è innegabile che si abbia voglia di commedia. Ma il pubblico non è stupido, riconosce uno spettacolo di qualità, che possa essere comico o drammatico, su questo non ho alcun dubbio. Mi distacco dal pressapochismo che, come dici tu, può portare in scena cose brutte. Ridere va bene, ma dobbiamo portare qualità, e questo vuol dire che uno spettacolo deve essere ben scritto, ben diretto, ben interpretato. Questo è un dovere che abbiamo verso il pubblico.

Celli: Io trovo che proprio i giovani, che in qualche modo sono il futuro, abbiano maggiormente voglia di riflettere, andando a teatro. Spesso mi è capitato di invitare miei amici, o ragazzi dei licei, e adorano gli spettacoli in cui gli si propone di ragionare, di mettersi in gioco, di cercare di capire quale strada si stia percorrendo. Il mio giudizio personale è che forse la televisione ci devia nella scelta sull’andare a teatro per ridere. In tv, più del cabaret non esiste quasi niente. Per cui, la gente ha un’opinione formata dalla televisione. Poi però mi accorgo che quando una persona va a teatro e vede uno spettacolo che gli comunica qualcosa, in cui ci si può anche rispecchiare, che comunque la emoziona…che può anche essere un’emozione data dal disprezzo, dal disgusto di una situazione rappresentata dal vivo… se arriva questo, la gente si innamora, non è solo il fatto di andare a farsi quattro risate perché un giullare sta facendo qualcosa sul palco.

Ragazzi…dopo “Questi figli amatissimi”, avete già qualcosa in pentola?
Di Marzo: Io girerò un piccolo ruolo nel nuovo film di Massimiliano Bruno, sono cominciate da poco le riprese, ci sarò anche io e sono felicissima perché con lui ho già lavorato e c’è un bel rapporto di stima reciproca. Poi girerò anche un cortometraggio sul bullismo, con Francesco Bellomo, un progetto a sfondo sociale, molto interessante.

Celli: Tra non molto sarò in uno spettacolo per la regia di Riccardo Reim, al Teatro dei Conciatori, “Sette pezzi di carne” e poi a giugno, probabilmente, al Teatro Due, un altro spettacolo ma è ancora tutto da definire.

Un obiettivo, un sogno…purchè puntiate in alto, sennò non vale..se volete anche assurdo, ma che stia nel cuore…

Di Marzo: (ci pensa) io adoro il cinema. Sono una cinefila accanita, se potessi ci andrei tutti i giorni a vedere film. Per cui, spero di poter fare più cinema e di lavorare con dei registi che adoro, che sono dei piccoli grandi sogni nel cassetto. Quindi il mio sogno alto è quello di riuscire ad approfondire il mio rapporto amoroso col cinema!

Celli: Devo proprio sparare alto? La laurea in medicina, intanto, spero di conseguirla al più presto. Se proprio devo volare alto, allora ti dico che vorrei lavorare con Tarantino nel cinema, e per quanto riguarda il teatro, avere un bel ruolo nel Teatro Eliseo! Non so perché, ma sta cosa dell’Eliseo ce l’ho nello stomaco: un bel ruolo su quel palcoscenico!

Roma, 27 febbraio 2014

Paolo Leone

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