12 marzo, 2014

Intervista con Barbara Bovoli. Non è un Paese per attori. Intervista curata da Paolo Leone


Barbara, tu nasci a Lugo, in provincia di Ravenna. Mi accennavi al tuo inizio, molto contrastato in famiglia…

Sì, molto contrastato. E’ stato l’inizio di una persona che sentiva di avere dentro qualcosa di indefinibile, io dico sempre “un cane che morde”, che provoca veramente dolore fisico, ogni volta che vedevo un film, assistevo ad uno spettacolo, sentivo una canzone…stava lì e non capivo cosa fosse. Non avevo nessuno, nella mia famiglia, che facesse questo mestiere, vivevo in un paesino molto piccolo dove si gira a piedi, al massimo in bicicletta e crescevo in una famiglia che mi vuole sicuramente molto bene, ma molto borghese. Mi contrastavano e mi contrastano tutt’oggi! Anche quando escono articoli belli, recensioni, foto degli spettacoli…loro mi dicono “si, sei brava…ma quando torni a casa?” (ride) e io torto non glielo posso dare. Ho lavorato con tante persone “arrivate” e nessuno di queste fà una bella vita, nel senso borghese del termine. Chi fà questo mestiere ha difficoltà a creare una famiglia, è sempre in giro, per arrivare a fine mese non hai mai una sicurezza…è una vita che un genitore difficilmente augura ad un figlio. Non ce l’ho con i miei, ma certo senza una guida e tante cose contro, è una fatica. Ho iniziato facendo danni. Non sapevo bene cosa fare..amore per il cinema, la danza, la fotografia…ho fatto cose strane prima di trovare la mia strada in teatro.

Per dare corpo a questo anèlito artistico, hai frequentato la Scuola Internazionale di teatro Spreafico.

La scuola in realtà è arrivata quando già iniziavo ad azzeccare qualche cosa. Finito il liceo mi prendono, non so bene come, in uno spettacolo su Medea a Roma! Io vado da mio padre dicendogli “voglio andare a vivere a Roma!” Puoi immaginare… Per non contraddirlo, mi svegliavo prestissimo e andavo all’università a Cesena, studiavo psicologia, poi prendevo il treno e schizzavo a Bologna, all’Accademia Galante Garrone, tornavo a dormire a Lugo e lavoravo nei weekend per pagare il tutto! Finita l’accademia a Bologna sono andata a Milano due anni, con Marina Spreafico, una bella scuola.

Nel tuo curriculum ho visto sia teatro drammatico che brillante. In quale tipo di recitazione ti senti più a tuo agio?

Premetto che quando mi chiedono “che tipo di attrice sei”, mi viene una sorta di reazione allergica! Se ho scelto di fare l’attrice è anche per interpretare più “tipi”, altrimenti avrei fatto un altro lavoro. Tu giustamente mi chiedi dove mi senta più a mio agio… le mie corde naturali vanno sicuramente verso l’ironia, la brillantezza, che metto anche nelle cose drammatiche, come hai potuto vedere nel mio spettacolo “Luna”.

A proposito di ironia, tu hai lavorato con Gianfranco D’Angelo! Che tipo di esperienza è stata, cosa ti ha insegnato Gianfranco?

Ah, lui è stato carinissimo con me. Artisticamente è molto generoso. Mi insegnava le battute che facevano ridere… “Dì questa, che funziona”… e funzionavano, il pubblico rideva! E’ stato molto gentile nei miei confronti. Mi aiutava molto e questo non è molto comune nei “grandi”. Non è sempre così, anzi. Lui è stato molto generoso, come lo sono stati Pambieri e la Tanzi, fantastici, e anche Gazzolo. Virginio Gazzolo è stato per me un grandissimo maestro. Ha scritto dei ruoli proprio per me, quando eravamo in scena io e lui, abbiamo fatto delle tournèe in Sicilia molto belle. Una generosità incredibile, nonostante sembri un burbero che vive in suo mondo, molto isolato.

Un passo indietro, prima dell’inizio. Chi era la bambina Barbara, i suoi sogni, le sue paure..

Ma guarda, veramente, non avevo sogni o paure particolari. Seguivo il mio istinto, e più volte sono stata sul punto di dire basta. Voglio dire…io sono laureata in psicologia con 110 e lode, mio padre ha uno studio avviato, potrei fare una vita agiata sul serio. Questa strada che ho voluto prendere mi ha portata anche a dormire in sottoscala umidi, tra mille difficoltà per sopravvivere, facendo lavori del cavolo. Ma ripeto: quello che mi ha fatto insistere è sempre stato quel dolore fisico che non posso ignorare. Ogni volta che dicevo basta, era sufficiente sentire una musica che allora mi scoppiava il cuore…è un amore condanna. E’ la vita mia e non posso farne a meno.

Quanto i tuoi studi di psicologia ti aiutano nelle interpretazioni?

In realtà nelle scuole che ho frequentato ho fatto molto metodo Lecoq, il che significa molto fisico e poche paturnie psicologiche. Però è ovvio che l’istruzione, la cultura, conta in qualsiasi lavoro tu faccia. Hai un altro approccio, un’altra mentalità, hai la testa più pronta. Psicologia è una materia molto attinente al lavoro che faccio, non dico di no. Tant’è che ho fatto e faccio tantissimi laboratori con disabili, con case famiglia, centri diurni, dove si fà teatro insieme e lì unisco queste due mie formazioni. La mia tesi universitaria trattava proprio il teatro come terapia in psichiatria. Però ti dico anche che, purtroppo, tanti si avvicinano al teatro per tirare fuori i propri problemi e allora secondo me non dovrebbero farne un mestiere.

Chi è Barbara Bovoli come donna, più che come artista?

Se dovessi fare una lista, innanzitutto ti dico la Fede, sono cristiana e per me è una cosa importantissima. Sono poi un’artista, perché esserlo condiziona tutta la vita mia: la famiglia, le amicizie, gli amori, le città in cui vivo. E’ un lavoro che non ti dà tregua, 24 ore su 24, gira tutta la mia vita attorno al teatro. Magari si può pensare all’attore come uno che non fa niente, ma è l’esatto opposto! Chiaro che cerco di coltivare anche altre cose. L’amicizia, la famiglia, anche se questo è un ambiente dove costruire una famiglia è arduo. Ho un rapporto stabile in cui credo, vorrei in futuro avere dei figli. Certo è che questo non è un lavoro che, finito l’orario, puoi pensare ad altro.

Ci sono dei ruoli in cui ti sei divertita di più?

Sicuramente Sganarello! Era in uno spettacolo dalle grandi chance, sprecate stupidamente. Era il ritorno alla regia di Tinto Brass, per cui c’era molta attenzione intorno, sembrava dovesse nascere qualcosa di interessante. Mi offrirono il ruolo di Sganarello, che nel Don Giovanni è importante. In quella riscrittura di Brass, Sganarello si travestiva da uomo… per stare vicino al protagonista, perché se si fosse rivelata donna, lui l’avrebbe trattata come tutte le altre, usandola e poi via. Lui diceva “sento odore di femmina” e io mi spostavo più in là… divertentissimo.

Hai lavorato anche ne “la bella e la bestia” e non credo di sbagliare nel dire che interpretavi la prima. Ma c’è la bestia dentro Barbara, un lato oscuro?

Uh…non sai quanto! (ride) Ma dove hai trovato queste notizie? L’ho incontrato in passato il lato oscuro, l’ho affrontato e l’ho messo da una parte perché non mi è piaciuto.

Nel mondo del teatro, quante belle e quante bestie ci sono?

Uno dei miei motti preferiti è “il mondo è bello perché è vario!” Ci credo, mi piace la gente nella sua varietà. Non sono diplomatica… gli unici che davvero mi stanno antipatici sono i finti. Proprio perché mi piacciono sia i santi che gli assassini, dimmi chi sei! Il teatro è pieno di tanta gente che fa una vita di merda e questo la porta a fare cose non belle, ma non per questo sono persone che vanno giudicate. Vanno capite, hanno ragione. In Italia il nostro non è un lavoro! Prova a chiedere qualcosa di pratico…diritti, maternità, cose pratiche… non ottieni una risposta che sia una! Un mio amico che è attore in Francia, mi parla di un altro mondo: malattia riconosciuta, lo pagano per fare dei corsi di aggiornamento… se vuole andare in Giappone a studiare il teatro, lo finanziano… di che vogliamo parlare? Io la pensione non la conoscerò mai. Chi fa questo lavoro spera di morire in scena. Quindi, se chi fa questo mestiere è un po’ nervosetto, lo capisco.

Nel tuo monologo “Luna” narri la storia di tante, troppe donne dell’Est finite sui marciapiedi. Quanto il teatro di impegno civile può avere un suo peso nel portare avanti una battaglia come questa?

La figura della donna peggiora sempre più. Le nostre nonne che lottarono per raggiungere pari diritti con gli uomini, conoscevano il “nemico” da affrontare, nel senso che la disuguaglianza era ufficialmente riconosciuta, quindi c’era almeno un punto di riferimento. Oggi è peggio. C’è una presunta uguaglianza, ridicola. La figura della donna è utilizzata in modo aberrante, basti pensare alle pubblicità. Oppure vai ad assistere ai colloqui di lavoro! Il teatro di impegno civile è quella cosa che se la chiami così, la gente fugge! Per questo motivo il mio “Luna” è stato pensato per quelli che non andrebbero mai a vedere quel tipo di teatro. “Luna”, che porto in giro ormai da quattro anni, come dissi in conferenza stampa è un bluff. Parlo di cose importanti senza dar l’idea di parlarne. Guardando quello spettacolo gli spettatori ridono, ma poi il giorno dopo mi arrivano mail bellissime, dove capisco che il messaggio è arrivato. Fare teatro di impegno civile per chi va solitamente a vederlo, non serve. Diventa un parlarsi addosso. Bisogna farlo in modo tale che vada a vederlo chi a queste cose non vuole pensarci. Non so come sia arrivato lì, ma per esempio mi hanno chiesto, al centro antiviolenza di Pordenone, di portare lo spettacolo lassù! Probabilmente anche per aver coinvolto associazioni come Amnesty International nelle repliche. Quindi qualcosa si veicola.

La domanda che faccio a tutti, però devi sparare alto sennò non vale. Un sogno alto, immagina di avere la possibilità, dicendolo ora, di realizzarlo.

Oddio… se devo proprio osare, allora ti dico di diventare quello che è Penelope Cruz per Almodòvar, che io adoro. Fare cinema a quel livello, anche se finora non l’ho mai cercato. Ma, ti giuro, ogni volta che porto in scena “Luna” mi sento felice. L’ho creato io, dall’inizio alla fine, e sono felice.


Curata da Paolo Leone

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