26 gennaio, 2014

Intervista con Luca Notari. Il percorso, la consapevolezza, i sogni di un “artigiano” del musical. Intervista curata da Paolo Leone


Il 20 gennaio, a Milano, lo spettacolo, “Ciao amore ciao”, scritto da Piero Di Blasio, in cui è protagonista insieme a Stefania Fratepietro, ha vinto il Musical Award 2013 quale miglior “musical off” italiano. Lo incontro due giorni dopo, a Roma, ancora ebbro di felicità dopo il gran galà milanese al teatro Manzoni. Una persona, che nonostante la vittoria appena conquistata ed un curriculum artistico di grande livello, conserva nello sguardo l’umiltà, trasmette quella sensazione di ferma consapevolezza che il lavoro serio, duro, è quello che ti fa progredire. Che nulla nella vita è scontato e che anche la fortuna ha il suo ruolo. La saggezza nel capire che non basta aver talento e che tanti compagni di cordata (e lo dice con amarezza sincera) si perdono prima della vetta. Il Corriere dello Spettacolo è la prima rivista a cui si concede dopo il grande riconoscimento del Musical Award. Conosciamolo meglio, Luca Notari.

Luca, sono tanti anni che sei sulla scena. Hai esordito a vent’anni in “Melodica”, per la regia di Gigi Proietti. Chi era allora Luca Notari, quali i sogni, le speranze, le paure…

Era fondamentalmente un incosciente, perché si è buttato in questa avventura senza sapere nulla. In realtà quel debutto avvenne in maniera fortunatissima, casuale. In quel periodo stavo studiando canto con la mia insegnante, storica e meravigliosa, che è Donatella Pandimiglio. Lei mi chiese se volevo farle da spalla in questo spettacolo che hai citato, Melodica, in cui lei era la protagonista. Doppia fortuna, perché sia la produzione che la regia era affidata a Gigi Proietti e da lì iniziò un percorso meraviglioso di incontri.

Avevi una bella parte in quello spettacolo?

Beh, si, eravamo in tre in scena. Per me fu un grandissimo debutto, un’occasione straordinaria, anche perché in quel periodo venne a vederci Massimo Ranieri e mi chiese di fare un provino per lui, per lo show che stava preparando, che era “Hollywood, ritratto di un divo”, con la regia di Giuseppe Patroni Griffi. Insomma, da lì è partita tutta questa cavalcata e non si è mai fermata. Ovviamente con gli alti e i bassi del caso, però con scelte che poi ho fatto nel tempo e che mi sono sempre tornate utili sia per i rapporti che uno si crea, ma soprattutto per le scelte artistiche che mi hanno reso forse più consapevole e più forte rispetto a tanti miei amici e colleghi che, purtroppo, per la condizione in cui siamo, sono costretti a dire sempre si a tutto. A volte trovi dei curriculum ampissimi, ma di sostanza e qualità tale che, e ripeto purtroppo, diventano controproducenti.

Tanti anni fa, in Italia, la commedia musicale era preponderante. Poi andò quasi scomparendo. Ora ho la sensazione che, non tanto quel tipo di commedia, quanto i musical veri e propri, si stiano aprendo una strada ben definita. E’ vero questo?

Si, verissimo! Credo e spero di non sbagliarmi, che la strada l’abbia tracciata la Compagnia della Rancia, se non sbaglio con “La piccola bottega degli orrori” e poi da lì altre grandi produzioni, sempre della Rancia, con Grease, West side story... Una storia partita 15/18 anni fa. Mi ricordo che quando lavorai con Ranieri, nel 98, in una grande produzione, c’era questo fermento che stava nascendo..la Rancia, in quell’anno, era insieme a noi con Chorus Line.

A proposito di produzioni…credi che in Italia siamo indietro nel promuovere e produrre musical oppure la strada è adesso indicata chiaramente?

Ti dico una cosa, Paolo: la Compagnia della Rancia, con cui ho lavorato e con cui ho ottimi rapporti, è l’unica realtà che dà valore all’artista, lo rispetta in quanto tale. E’ l’unica che riesce a portare un prodotto di altissima qualità e dispendio economico notevole, ma con la precisione di una vera produzione. Purtroppo oggi ce ne sono tante di produzioni, ma magari non pagano i contributi, o non ti pagano, o lo fanno dopo un anno, due anni. Io devo prendere dei soldi da una di queste, ormai da due anni. Capisci che questo non è serio e tutto è nel marasma, mentre la Compagnia della Rancia è l’unica produzione, almeno per la mia esperienza personale, affidabile e quindi ti posso dire: si, con loro il salto in avanti c’è stato e continua ad esserci, è un esempio da seguire e ha una grande storia!

Hai lavorato con Giampiero Ingrassia e Tosca nel “Salvatore Giuliano”. E’ stato quello il momento del lancio definitivo?

Quello è stato il primo spettacolo, a cui sono legatissimo, scritto da Dino Scuderi, in cui ho cantato tutte le canzoni, tutte le melodie che c’erano. Abbiamo debuttato nel 2001, ma era in lavorazione dal 97. Ho cantato ogni nota e anche prima del testo, cantavo a Dino, mio grande amico, in finto inglese, i temi delle canzoni per dare a lui il colore, la percezione di quelle che erano le sue melodie. Quello è stato per me il lancio come protagonista, perché avevo un ruolo bellissimo scritto apposta per me e, cosa che mi inorgoglisce non poco, c’era Garinei alla prima di Taormina a vedere lo show, che al termine mi disse: “tu sei il nuovo Domenico Modugno”! Si, col “Salvatore Giuliano” presi coscienza della mia crescita e fu il lancio per le altre avventure. Poi lo riprendemmo nel 2011 con Giampiero Ingrassia e Barbara Cola al posto di Tosca.

Dai, ora raccontaci cosa vuol dire debuttare in una Prima mondiale all’interno del Colosseo!

E’ stata incredibile quell’esperienza (trasale)! Intanto, fortunatamente direi, il Colosseo non viene dato facilmente per allestire spettacoli. In quell’occasione, dataci se ricordo bene dal Ministero dei Beni Culturali per un evento in memoria di Giovanni Paolo II, è stato fantastico lavorare ancora per Dino Scuderi che secondo me in Italia è uno dei pochi musicisti in grado di dare forza alla musica in teatro. La sua musica è molto drammaturgica, “racconta” molto. Quando debuttammo in questo spettacolo, nato da un’idea di Renato Greco (Odysseus – maggio 2005), dentro l’anfiteatro Flavio, anche se con poche persone perché la platea era logicamente molto piccola, 150 persone…cantare lì dentro, col frastuono della città che arriva molto attutito da quelle mura, con una luna piena bellissima, è stato davvero qualcosa di indimenticabile, un’emozione travolgente! Poi portammo lo spettacolo al Teatro dell’Opera del Cairo e andammo anche ad Alessandria d’Egitto, un altro ricordo bellissimo.

Luca, il tuo curriculum artistico chiunque può leggerlo su internet, ma a me interessa più la persona e quindi ti provoco. Attore, cantante…non si corre il rischio di rimanere in un limbo, in uno stato indefinito?

(pausa) C’è il rischio, perché anche qui viviamo in un periodo di confusione e non definirsi in un settore può forse creare questo “limbo”. Però è pur vero che un interprete, un cantante, un danzatore, è un attore vero e proprio, è un mezzo per trasmettere emozione. Quindi che ci sia la parola, che ci sia il canto, o un movimento, è un’espressione artistica che secondo me và vista in maniera totale. Oltretutto, il musical performer, è chiamato così proprio perché abbraccia tutte le arti, dal canto al ballo, alla recitazione. Sono prove a cui ci si sottopone, che uno sostiene per crescere…Con La Manna (regista), facemmo “Corpus Christi”, un bellissimo testo di Terrence Mcnally, sull’ultima settimana di Gesù, bellissimo, soltanto prosa, senza il cantato. Quell’esperienza mi ha sicuramente fortificato anche nel campo dell’interpretazione attoriale, dell’uso della parola, a cui magari a volte, solo col canto, non dai il giusto peso. Riuscii a trovare una mia dimensione!

Sulla scia della domanda precedente, ti lancio un’altra provocazione. Nel tuo vissuto artistico hai delle collaborazioni, anche a livello internazionale, impressionanti. Raramente si può constatare una tale abbondanza di lavori così qualitativamente elevati. Eppure, io ho l’impressione che rispetto, ad esempio, ad un grande nome del teatro di prosa il tuo, piuttosto che quello della Fratepietro o altri grandi interpreti, sia confinato in una sorta di recinto. Come dire: il musical non è teatro, il teatro non può mischiarsi col musical…e così via…

C’è, è vero, questa tendenza a chiudere i settori, per cui il grande attore di prosa non ha niente a che fare con un grande attore di musical. Io, poi, non mi ritengo un primo nome nel teatro, sono un’artista, una persona che molto umilmente si approccia a quest’arte. E’ vero, c’è una chiusura dei settori. E’ come la provocazione cinema – teatro: quello di cinema è incapace a fare teatro e viceversa…grandi attori sono grandi attori, a prescindere dal mezzo con cui si esprimono! Robert De Niro e Al Pacino sono dei grandissimi attori di teatro e di cinema! Questo dei settori, secondo me, è un fenomeno prettamente italiano! In America hanno una preparazione a 360 gradi…proprio l’altra sera, durante la premiazione dei Musical Award, Paolo Limiti ci ha fatto vedere un filmato di Clark Gable che danzava il tip tap in una maniera incredibile! Anche i grandi divi, hanno una preparazione totale, completamente diversa dalla nostra, perché l’arte spazia in varie dimensioni, non puoi limitarla!

Questa è una mia personalissima curiosità: l’attore di musical, anzi un musical performer (mi hai insegnato un termine che non conoscevo), fà un lavoro introspettivo nell’interpretare un personaggio?

Assolutamente si! Intanto è lo stesso identico percorso che deve fare un attore di prosa. Un personaggio è sempre tale. La differenza è semplicemente il mezzo espressivo., che nel nostro caso è la voce cantata, per il resto non c’è nulla di diverso. L’atteggiamento fisico è lo stesso, non trovo differenze. Anzi, forse il performer è facilitato, perché ha un supporto musicale che ti porta in un ambiente, in un’emozione. L’introspezione è la stessa, le passioni, gli amori, i drammi sono gli stessi

Che importanza ha avuto il tuo incontro con Tony Cucchiara?

E’ avvenuto in un momento particolare. Avevo quasi deciso di allontanarmi dal musical perché non mi riconoscevo in alcune cose che si facevano. Io mi sento molto legato ad un teatro musicale che abbia un peso drammaturgico, non mi appartiene la commedia lustrini e pallettes. Non sono molto portato per la danza, mi sono indirizzato verso altre espressioni e l’incontro con Tony e Annalisa è stato decisivo. Annalisa, mia amica e partner con cui spero presto di tornare in scena, mi chiamò per propormi una sostituzione in “Pipino il Breve”, allo Stabile di Catania, vedi la casualità anche qui?! Sapere di poter lavorare con loro mi fece dire subito di si! Costetto a cantare e recitare in siciliano, io umbro…fu una sfida vinta alla grande!

A proposito di sfide e vittorie: siamo ad appena due giorni dal grande riconoscimento, quale miglior musical off, di “Ciao amore ciao” che hai interpretato insieme a Stefania Fratepietro. Da quello che ho letto in passato, mi sembra di aver capito che questo spettacolo ti abbia dato tanto anche dal punto di vista umano, molto arricchente.

Si, proprio così! Primo, perché collaboro con colleghi e amici strepitosi. Tutti, in “Ciao amore ciao”, hanno dato un apporto fondamentale. Arricchente perché ho avuto la possibilità di analizzare, di ascoltare e di interpretare in maniera intima e personale, le composizioni di questo autore eccezionale che è Luigi Tenco. Avere il riscontro e l’approvazione della sua famiglia, che è venuta a vederci ed ha apprezzato la nostra messa in scena…quella è stata un’altra grandissima vittoria! Noi siamo entrati in punta di piedi a parlare dei due personaggi (Tenco e Dalidà) e con estrema umiltà siamo riusciti a catturare l’attenzione del pubblico con un argomento, se vuoi, ancora scomodo, perché affrontiamo un mistero italiano. La particolarità è che noi non parliamo per niente del suicidio, vogliamo solo rendere omaggio a un grande compositore, che fortunatamente oggi stiamo riscoprendo e che non dovremmo dimenticare. E’ un Paese che non ha memoria, Paolo, in tutto…e se non c’è memoria non c’è futuro, purtroppo.

Se ti arrivasse una proposta per una parte in uno spettacolo di prosa tout-court, senza musiche, accetteresti o avresti delle remore?

(ride) Su due piedi ti direi di si, è un’esperienza in più. Certo, con tutte le paure di affrontare un ambito che non è propriamente il mio. Del resto è un po’ quello che è successo con Massimo Venturiello che mi tirò dentro il “Borghese gentiluomo” di Molière, con cui debuttiamo il 23 gennaio al teatro Parioli di Roma. Lì però ho un appiglio sicuro, perché ci sono comunque delle canzoni da interpretare. Ecco, in questo caso l’approccio è  tipicamente quello di uno spettacolo di prosa. E’ una bellissima commedia musicale, con musiche scritte da Germano Mazzocchetti, ma non è un musical, direi più prosa con musiche, ecco.

Un sogno che vorresti realizzare…spara grosso!

Grosso? Una grande produzione musicale. Io sono innamorato delle grandi voci. Ecco, una produzione con uno dei più grandi produttori, che è David Foster, lo stesso produttore di Bocelli…avere la possibilità di incontrare uno di questi personaggi, potergli dimostrare quello che si è in grado di fare, ecco si, quella sarebbe l’occasione più grande della mia vita. A questo aspiro. Ho avuto la possibilità di collaborare con un grande produttore, Michael Baker, che è stato l’arrangiatore e il direttore musicale degli ultimi quindici anni di dischi di Whitney Houston, abbiamo collaborato per due canzoni, un’esperienza fantastica. Ecco, mi piacerebbe trovare una mia dimensione nella musica pop.

Bene Luca. Ora hai vinto questo premio importante per il tuo lavoro, debutti al Parioli con il “Borghese gentiluomo” insieme a Venturiello e Tosca, sogni produzioni…non è che ora ti monti la testa?

Tendenzialmente sono uno che sta coi piedi ben piantati a terra. Non nego che i riconoscimenti facciano piacere e anche camminare a dieci centimetri di altezza, ed è giusto che sia così. Ma io sono un’artigiano di questo lavoro, non sono un divo.  Non voglio dimenticare chi sono, cosa faccio e da dove vengo. Non credo che possa accadere, a meno che arrivi l’occasione che ti cambia totalmente la vita, non lo so. Un artigiano, che lavora ogni giorno duramente, cercando di migliorarsi sempre, e di creare qualcosa di nuovo. Sono legatissimo a “Ciao amore ciao”, perché insieme a Stefania Fratepietro, questo è il nostro obiettivo. Proprio perché ci consideriamo artigiani, vorremmo creare una nostra piccola produzione, diventare una realtà che porti nuovi spettacoli, cose nuove. Questo è un progetto, non un sogno. Un progetto di vita. Non voglio essere sempre uno scritturato, anche bravo, ma creare qualcosa di mio, di nostro. E questo spettacolo ci ha messo in condizione di poter iniziare.

In bocca al lupo dalla redazione del Corriere, Luca. Come dire? …to be continued…

Curata da Paolo Leone


Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Golden, Daria Delfino, per la preziosa collaborazione.

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