01 gennaio, 2014

“In nome della madre” di Erri De Luca. Un canto d’amore, quello vero. Di Paolo Leone


Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma. Lunedì 30 dicembre 2013

Racconta Miryam, quel che le è successo. Racconta del vento e della polvere che l’hanno coperta e le hanno lasciato un dono, ma anche una mancanza. Gli angeli fanno così. L’entusiasmo e il coraggio di una madre contro tutti, contro una società e una Legge che non crede, non può credere all’assurdità del suo racconto. Miryam, di notte, scosta la tenda e respira il vento del cielo... lei ha il senso della grazia, che è “affrontare il mondo” quando tutto rema contro. Dolce Miryam, che comprende i turbamenti del suo amato Yosef e sa che gli uomini hanno bisogno di parole per capire, per giustificare, per difendere, per potersi schierare. Sa di essere un recipiente e sente il suo corpo “calmo come un campo di neve”, mentre Yosef è scosso da quella notizia come da una tromba d’aria che scoperchia i tetti.
Insieme decidono di sfidare la Legge e comincia il loro viaggio, non appartengono più ad essa, ma lei è comunque sola, come ogni donna. E’ forte, come ogni donna. Una donna è necessaria all’inizio della vita e una donna è necessaria alla chiusura della vita, fanno sempre tutto loro, non gli uomini. Sola partorisce, seguendo l’istinto del corpo, e sa che quel parto la svuoterà, diventerà un guscio vuoto. Trema Miryam, sospetta quel che accadrà a quel figlio amato e allora prega alla rovescia, prega il suo Dio di dimenticarsi di lui, che nemmeno piange, “magari fosse muto”, almeno sarebbe salvo. Prega il suo Dio di non avere progetti su di lui, il sospetto atroce che diventi “offerta”. Si ribella, piange, grida. Che almeno glielo lasci per trenta anni, il suo Yeshu, il tempo di divenire adulto. Ora Yosef, solo ora, può entrare a vedere lei e il bambino. Ora è anche figlio suo. Tutto comincia, per il mondo lì fuori.

“In nome della madre”, stupendo racconto breve di Erri De Luca scritto nel 2006, è ancora una volta portato in scena a teatro, stavolta nel piccolo e delizioso Teatro Quarticciolo, un’oasi nell’estrema periferia romana, interpretato da un’emozionatissima Maria Cristina Fioretti. Comprensibile, vista la profondità del testo ed il personaggio interpretato. Per la bella regia di Filippo d’Alessio e in una scenografia suggestiva, piena di simboli che prenderanno vita durante il monologo, Fioretti rapisce il pubblico numeroso (che bel segnale!) grazie all’intensità con cui riesce a dar vita al personaggio di Maria ed anche per il modo di dar voce ai dubbi prima ed alle decisioni poi di Giuseppe, con tono cantilenante ed un movimento ripetitivo del corpo, quasi a mettere in risalto, forse, una certa tendenza pedissequa tipica dei maschi. Un testo profondo, toccante, efficacemente messo in scena e recitato. Attrice e regista ci portano in punta di piedi nell’universo femminile dove, come Yosef,  possiamo entrare solo su invito.
“Dormi figlio”, in questa notte dove tutto il mondo è lì fuori, non esiste, non c’è niente altro che una madre ed il frutto dell’amore. Dormi ancora per questa notte. Abìtuati, figlio, al deserto.

Uno spettacolo che trasmette il calore, la tenerezza, le paure della madre per eccellenza. Ma anche di ogni madre nel cui nome, ci ricorda questo testo, si inaugura la vita. L’amore vince anche i deserti. Un canto d’amore, questa pièce, con cui è bellissimo chiudere l’anno.

Paolo Leone




Con: Maria Cristina Fioretti
Musiche: Eugenio Tassitano

Regia: Filippo d’Alessio

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