13 settembre, 2013

"La religiosa": Tra sesso e castità sceglie la libertà! Di Francesca Saveria Cimmino


Il nuovo film diretto dal francese Guillaume Nicloux, presentato al 63^ festival internazionale di Berlino, il cui titolo originale è La religieuse, è tratto da un romanzo scritto nel diciottesimo secolo da Denis Diderot, già trasposto sul grande schermo nel 1966.
La protagonista Suzanne (Pauline Etienne), è una ragazza costretta alla vita monacale, impostale dalla madre, in quanto figlia non legittima. Il primo convento a cui viene affidata è gestito da una Madre Superiora amorevole e disponibile. Alla sua morte, la piccola monaca senza vocazione viene trasferita in un’altra abbazia. La nuova direttrice è una donna severa, rigida, pronta a punirla continuamente e senza pietà. La rinchiude in una cella e per lei sono previste solo torture e umiliazioni. Appena Suzanne ha il coraggio di denunciare quanto accaduto, un nuovo convento l’attende. Stavolta la Madre Superiora, interpretata da Isabelle Huppert, è una donna dolce, premurosa, disposta ad ascoltarla e supportarla. Eppure, nel tempo qualcosa cambia: quelle attenzioni divengono morbose, oppressive, ossessive. Quello è un amore malato e ancora una volta la giovane monaca chiede e desidera solo la libertà. La libertà di amare e di essere se stessa, quanto la libertà da quelle catene, che qualcuno un giorno le ha messo, privandola di spensieratezza e felicità. L’emblema del film è l’inquadratura di un corridoio, le cui pareti sono completamente spoglie, bianche e con tante porte nere. Ogni accesso conduce probabilmente in un nuovo spazio buio, inquietante e pericoloso. Non sempre si può tornare indietro, non sempre è concessa l’evasione. Ma talvolta la vita presenta occasioni uniche che bisogna saper cogliere; proprio come ha fatto Suzanne.




Il soggetto, di per sé è complesso e impegnativo, è cinto all’interno di una cornice in cui fotografia e interpretazioni attoriali risultano essere qualitativamente notevoli. Suggestive le inquadrature, interessante il gioco di luci ed ombre: metafora di un animo tormentato e in continua oscillazione, tra la speranza e la tremenda sorte inflitta. Un film non pesante e non patetico, asciutto ed essenziale; piacevole da guardare e da ascoltare.


Francesca Saveria Cimmino

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