30 maggio, 2013

"In treatment": dalla realtà alla finzione scenica. Di Elisa Caponetti


Non è difficile cogliere, anche a chi non è del settore, i motivi del grande successo della serie televisiva In Treatment.
Da professionista psicoterapeuta, con un’esperienza ultra ventennale, sono stata immediatamente e completamente rapita da ciò che stavo vedendo.
Quanti pazienti ho ritrovato nella ricostruzione di quelle quattro storie: dal seduttivo che si innamora del terapeuta, alla ragazzina adolescente in cerca di conferme e di una propria identità, alla coppia in crisi, ed infine, all’uomo angosciato su  diversi ambiti della sua vita: professionale e sessuale.
Storie assolutamente rispecchianti la realtà, i drammi, le paure, le fragilità e le inquietudini dei nostri giorni. Che dire poi dell’anziana terapeuta che riveste il ruolo di supervisore. Aspetto quest’ultimo da non trascurare e che mette in luce le possibili difficoltà anche in psicoterapeuti di una certa esperienza e l’importanza di avere colleghi con i quali poter discutere delle proprie terapie. Anche questo, ovviamente, è un elemento presente nella realtà lavorativa di un’analista.
Quante volte vedendo questa fiction, mi sono riconosciuta in Sergio Castellitto, che ha saputo rappresentare magistralmente con capacità, talento e tecnica ciò che può vivere quotidianamente uno psicoterapeuta. Ovviamente con i limiti della fiction.
Certo è difficile cogliere la complessità che c’è dietro questo lavoro, la capacità di saper mantenere l’attenzione sempre e contemporaneamente a livelli diversi di analisi, il non tralasciare uno sguardo o un particolare movimento del corpo, ma lui ci si è avvicinato e probabilmente è riuscito a dare un’idea aderente alla realtà di quanto accade facendo terapia.
L’abilità nel riuscire ad entrare nella vita di persone che si presentano per la prima volta davanti ai nostri occhi, a volte la loro disperazione ed il considerarci l’unica possibilità di uscita, la via di salvezza, la capacità di saper trovare per ognuno di loro una differente chiave di lettura ed un accesso, saper giocare con loro e leggere le loro menti, attivare parti diverse di noi in base alle diversità dei nostri pazienti. Saper essere un po’ camaleonti.
Aldilà delle tecniche, delle regole del setting e del contesto psicoterapeutico, ciò che funziona con una persona può non funzionare con un’altra, da qui si vede anche la maggior capacità del professionista, la padronanza con il proprio mestiere nonché il sapersi mettere completamente in gioco ed essere pronto a cambiare insieme al paziente stesso.
Ma pregio di questa fiction è stata anche l’aver messo in luce che lo stesso psicoterapeuta può avere dei limiti e può essere soggetto a turbamenti interiori, l’aver messo in risalto la componente umana e la sensibilità, la preoccupazione per i propri pazienti e la consapevolezza della grande responsabilità che implica questo tipo di attività.
Fare questo lavoro rappresenta anche un grandissimo privilegio ed un arricchimento che si ha ogni volta che un nuovo paziente ci dà la possibilità di renderci partecipi dei loro dolori, delle loro ansie, dei loro drammi e di tutto ciò che li riguarda, mettendosi (se il terapeuta è bravo) completamente a nudo e facendo insieme a loro, seduta dopo seduta, un percorso di scoperte e cambiamenti.
In treatment ha probabilmente rappresentato un’opportunità per far conoscere ad un ampio pubblico in cosa consiste fare psicoterapia, anche se nella realtà, ovviamente si attivano processi ben più profondi, inconsci e complessi che chiaramente in ambito televisivo sono limitati se non assenti.
Chissà se tutto ciò produrrà una curiosità nel pubblico che si è affascinato ed appassionato a questa serie, tale da produrre una richiesta di psicoterapia…


Elisa Caponetti

3 commenti:

  1. stupendo...mi hanno emozionata anche le tue parole...non solo la serie!
    merveilleux... j'étais excité même vos mots... non seulement la série ! Elisa

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina