02 febbraio, 2013

“Trovarsi” di Luigi Pirandello. Adattamento e regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Di Daria D.


Milano, Piccolo Teatro Grassi, dal 29 gennaio al 3 febbraio 2013


Forse perché sono attrice, conoscevo già il testo di Pirandello, e quindi con piacere ho assistito alla messa in scena di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, auspicando una regia in qualche modo originale pur rimanendo fedele alla sua affascinante tematica.  E così è stato, e per due ore ho” vissuto” la storia d’amore di Donata Genzi, attrice famosa e tormentata, per un uomo, per il teatro, per la vita stessa, che li accomuna entrambi.
Mascia Musy interpreta la parte di Donata recitando sulla scena della vita e del teatro un ruolo di donna indifesa, spaurita, smarrita ma decisa a “vincere”pur trovandosi ad affrontare ruoli più grandi di lei, anche per la prima volta, come la relazione amorosa con Elj, venuto dal mare, e che lì ritornerà, un ragazzo istintivo, geloso, impulsivo, con la passione per la pittura e la natura, l’unico luogo del vero.  
 Nel testo Elj è svedese, e certo a mio parere sarebbe stato meglio rispettare queste radici, anche perché i registi glielo fanno dire esplicitamente, come nel testo originale. Sarebbe stata una scelta non banale ma giustificata, dare al giovane i colori nordici, e non quelli mediterranei di Angelo Campolo, giocando con il caschetto biondo della Musy, come un suo alter ego.  Sono dettagli che possono cambiare significato alle parole, renderle meno forti e importanti, influenzare gesti nella recitazione, sensibilità e percezioni di noi spettatori.  Piccola delusione questo Elj.
Pirandello aveva dedicato “Trovarsi”, scritto nel 1932, a Marta Abba, una bellezza intensa, dai colori scuri e la carnagione chiara, perché l’attrice, sua Musa e amante, “creasse liberamente sulla scena” la vita, vestendo i panni comodi e scomodi insieme di Donata Genzi. La protagonista, nella regia dei due eclettici artisti, ripercorre all’indietro il suo rapporto con Elj, il marinaio figlio a sua volta di un marinaio morto in mare a ventisei anni, che come il mare, riversa la vastità della creazione, ma quella impetuosa, immatura e libera sulla scena.  Egli rappresenta la giovinezza con cui forse Pirandello teme la rivalità. Ma non la sconfitta.  Non è un caso che l’attore Giovanni Moschella che recita la parte del conte Mola, lo zio putativo di Elj, ci ricordi fisicamente Pirandello soprattutto quando, grazie a una bella idea registica, si presenta, con una mano appoggiata sotto il mento, seduto su una sedia da teatro sospesa in aria, in atteggiamento di “sorvegliante” e “giudice” della storia che si svolgerà sotto i suoi occhi.  Idea che sarà usata altre volte quando per esempio Donata scenderà da una lunga scala, vecchia e stanca, per andare a sedersi davanti allo specchio nel tentativo di togliersi le maschere di tutte i personaggi che ha interpretato per “trovarsi”, finalmente, amaramente scoprendo che “non ci si ritrova alla fine che soli”.  Sospesi anche gli antagonisti, borghesi e benpensanti, che assisteranno da un palco al ritorno sulle scene di Donata, dopo un lungo periodo di assenza, dovuto a un incidente in mare, in cui si è dedicata, anima e corpo, esclusivamente al suo amante.
Anche il mare, la cui superficie liquida e mobile fa da sfondo alla vicenda, eco di una natura che non usa maschere, né gesti studiati, né falsi sentimenti, ci appare sospeso sulla scena dandoci l’impressione che tutto debba riportarsi a lui perché sia vero e sentito.
Donata vive sulla sua pelle il conflitto tra verità e finzione, tra l’attrice che porta sulle scene la sua esperienza di donna e la donna che nella vita, inevitabilmente? continua a essere tutti i personaggi che ha interpretato.  Una donna che sente di non avere mai avuto una vita sua, ma tante altre e soltanto quando scopre l’amore ha la certezza di averne una tutta per sé.  
Ricreare sulla scena gesti già compiuti in privato, sentimenti già vissuti, parole già dette, scatena in Elj la paura di condividere la sua donna con il pubblico, come se non potesse mai essere sua, totalmente.   La paura sfocia in gelosia e nell’estremo gesto di abbandonare il teatro proprio mentre Donata recita, forse per la prima volta, con la stessa sincerità e intensità con cui lo ha amato, perché soltanto adesso si rende conto di avere conosciuto la vita vera e non la finzione teatrale.  L’idea gli è così insopportabile che il giovane se ne andrà per sempre, verso il mare, lasciandole un biglietto su cui avrà scritto “ho sofferto troppo a vederti recitare”.
Ma un’attrice deve “appartenere”a tutti, perché il suo ruolo richiede che smetta i propri panni e indossi invece quelli di tutte le donne che impersona, ricreando sulla scena il suo vissuto o, in mancanza, usando il magico geniale “se” di cui parla Stanislavskij. Se fossi Donata Genzi cosa farei io, Marta Abba? E se invece fossi Mascia Musy?Ecco la magia di quella piccola particella che racchiude in sé la forza potenziale di creare dal nulla, abbandonando i cliché, l’imitazione, il vuoto.
Pirandello ha amato la Abba  e lo si percepisce da come ne ha compreso i dubbi, i drammi, le difficoltà, le esaltazioni, che ha racchiuso tutti insieme in questo testo sempre attuale e ricco, realizzando il personaggio di un’attrice e di una donna, nella loro inscindibile forza artistica e umana.

Daria D.


Trovarsi
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Mascia Musy e con Angelo Campolo, Giovanni Moschella, Ester Cucinotti, Antonio Lo Presti, Marika Pugliatti, Monia Alfieri, Luca Fiorino
scene e costumi Mela dell'Erba
disegno luci Maurizio Viani
produzione Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina, Daf-Teatro dell'Esatta Fantasia


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