25 novembre, 2011

La magica sinfonia del Trattato dei manichini



Una bambina si aggira per il palcoscenico; visioni e incubi dal forte impatto emotivo si susseguono ininterrottamente.
E' questo lo scenario de “Il Trattato dei Manichini” di Teatropersona, compagnia di Civitavecchia formatasi nel '99 e vincitrice, nel 2008, del Premio della giuria degli studenti allo Scenario Infanzia con “Il Principe Mezzanotte”.
Questa volta lo spettacolo, anche lui premiato dal Lia Lapini e dal bando Eti di Nuove Creatività, è ispirato al lavoro omonimo dello scrittore polacco Bruno Schulz. L'infanzia è lo spunto per una narrazione d’intensa poesia, dove l'età che dovrebbe essere più spensierata diventa la lente d’ingrandimento di un mondo “ricordato e dimenticato”.
In un concatenarsi di scene e sequenze, quasi cinematografiche, il dramma raggiunge effetti di grande pathos sul pubblico. L’uso del disegno luci è sapiente, e gioca su forti contrasti tra bianco e nero, che, uniti alla forte espressività dei performer, danno vita a un’atmosfera magica, in cui la musica – che scandisce il ritmo come un perfetto direttore d’orchestra – insieme a rumori, silenzi e assenza di parole danno vita a una vera e propria sinfonia.
Tutto è costruito favorendo la forza espressiva ed emozionale dell’immagine. Ma non è solo l’aspetto viscerale il punto centrale dello spettacolo. In questa messa in scena emerge infatti il bisogno di trovare un significato. Cosa sono quei manichini? Cosa rappresenta la bambina? Lo spettatore vuole sapere cosa si nasconde dietro ciò che vede. Ed è qui che allora quelle figure, a tratti irreali, a tratti meccaniche e frenetiche, sembrano rappresentare le visioni, gli incubi, i sogni, i ricordi funesti di una bambina poi diventata donna. E sono proprio quelle visioni, quegli incubi, quei “manichini”, a fare della bambina una donna che sembra essere stata spogliata dell’anima e dello spirito, rimanendo solo corpo: un corpo distrutto, spogliato dell’anima, forse rubata da una società troppo rigida.
 La “sinfonia” di Alessandro Serra, pur nel suo fascino, ha però alcune debolezze. Lo spettacolo risulta a tratti frammentario; e si “gioca” l'effetto suspense, che forse potrebbe essere creato attuando qualche scelta differente. Piccole lacune che in parte danneggiano quell’impatto emotivo per cui il lavoro si contraddistingue.
Ad ogni modo pare di assistere a una proiezione magica, che ingloba lo spettatore dentro di sé: un mondo altro, allo stesso tempo vicino e lontano dalla realtà. E la scena in cui un corpo femminile dialoga, in un gioco lirico e convulso, con i tendaggi resi neri e bianchi dalla luce, sembra quasi un melanconico rapporto tra questi mondi, fraterno eppure così conflittuale.

Stefano Duranti Poccetti (da Krapp's Last Post)

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