25 novembre, 2011

I giochi d'ombre senza parole di Riserva Canini


Come mettendo l’occhio al caleidoscopio, in cui visioni passano imprevedibili e magiche, così in “Talita Kum”, di Valeria Sacco e Marco Ferro, spettacolo che ha debuttato lo scorso 2 aprile al Teatro dei Ricomposti di Anghiari, le immagini sono le vere protagoniste: nessuna parola per l’intera messa in scena, e l’unica altra fonte di comunicazione è la musica.

“Talita Kum” – citazione dal Vangelo secondo Marco che significa: “Fanciulla, io ti dico: alzati!” – è una storia, quasi una favola, in cui i protagonisti sul palcoscenico sono due, anzi tre, anzi uno… e si capirà quest'incertezza nel definirli strada facendo.

Intanto, gli unici abitanti dello spazio scenico appaiono un’inquietante figura vestita e mascherata di nero e una fanciulla, vestita in abito rosso, che oscilla dall’essere una bambola a una creatura in carne e ossa. Ma c'è un altro elemento co-protagonista: come dimenticare, infatti, quella valigia che sta sul palcoscenico e che i due protagonisti non tralasciano mai di portarsi dietro? E’ questo il terzo personaggio, in grado di racchiudere tutta l’essenza della felicità, forse oramai caduta nell’oblio - due ramoscelli di fiori, una mela, un ananas, una brocca di acqua, una sciarpa e delle scarpe eleganti femminili - tutti elementi che ricordano la freschezza della natura, della bellezza e della gioia del vivere.
Ma il finale del dramma ribalterà le apparenze, spingendo a riconsiderare il rapporto tra le due presenze umane, che si riveleranno immagini di un’unica identità. Rieccoci allora ad un solo personaggio: una donna e i suoi incubi.
L’intera pièce si basa su questo, sulla relazione e sul dialogo che la giovane donna ha con questo “mostro nero”, un incubo come la morte o un infausto passato. Un rapporto frenetico e doloroso, come le danze che i due attori ballano all’inizio, dove la donna, ridotta a bambola, sembra essere una vera e propria schiava in balìa del suo “carnefice”.

A poco a poco però la relazione si svilupperà, e i “due” cominceranno a stabilire un equilibrio di pace e tolleranza, fino a giungere al punto di ballare un lieto walzer o di carezzarsi in una candida ninna nanna.
Così, quei fasci di chiara luce proiettati sul buio sfondo nel finale non sono altro che metafore che suggeriscono la fine dell’oscurità, l’uscita dall’incubo, il placarsi della tempesta.

Tolta la maschera nera, la fanciulla riconquisterà la propria integrità, sarà padrona di sé e dei suoi arcani e inquietanti percorsi interiori.
Il finale ricollega passato e incubo alla realtà, l’assoluzione dei tormenti e delle sofferenze è il viatico per rialzarsi.
Valeria Sacco e Marco Ferro, fondatori nel 2004 della compagnia Riserva Canini, superano la prova drammaturgica componendo un’ottima costruzione visionaria dello spettacolo, in una ritmia perfetta d’immagini.
Il disegno luci, sempre sapiente, crea quadri cromatici dal giallo al rosso al glauco, dando vita anche a giochi di ombre cinesi. Proprio questa serie d’effetti, arricchiti da un uso psicologico della musica a rendere la visione avvincente, scatena una forte presa emotiva e una tensione quasi ipnotica.

Stefano Duranti Poccetti (da Krapp's Last Post)

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