08 febbraio, 2016

CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? Di EDWARD ALBEE, Con MILVIA MARIGLIANO e ARTURO CIRILLO. Di Daria D.


Teatro Menotti, Milano. dal 2 al 6 febbraio 2016

Un testo “sgradevole” questo “Chi ha paura di Virginia Woolf?” scritto nel 1962, sgradevole per quello che racconta e come lo racconta, per i personaggi che lo interpretano e per una serie di altri motivi, tra cui il titolo che prende lo spunto, come ricorda il suo drammaturgo Edward Albee, da una scritta tracciata da un anonimo su uno specchio di un caffè sulla Decima Strada a N.Y.
Un testo davanti al quale un regista non può stare nel mezzo, o lo prende di petto, rischiando di diventare anche lui “sgradevole” o non lo affronta proprio. Quattro personaggi,  Martha e George, sposati da lungo tempo e Honey e Nick le giovani prede cadute nelle mani della coppia più anziana e più scaltra, una notte, dopo un party tra professori universitari, si ritrovano per bere il bicchiere della staffa.
Sarà invece un susseguirsi ininterrotto di bicchieri svuotati e riempiti senza nessun freno e si sa, in vino veritas, partecipando inconsapevolmente ad un gioco che si fa sempre più duro, crudele, alcolico e difficile da fermare.
George, che a detta di Martha è un uomo senza ambizione o forse ce l’ha avuta un tempo, visto che ha sposato (o si è fatto sposare?) la figlia del Preside della Facoltà di Storia, è un uomo quieto, magro, brizzolato, un professore inerte e inerme, è però arguto e ironico e vuole “dirigere lui lo spettacolo”, una volta tanto. E infatti altro non è che uno spettacolo nello spettacolo, quello offerto da George e Martha ai due giovani, fatto di battute crudeli ed epiteti volgari, isterismi e corse al gabinetto per vomitare, minacce e strilli, tra un “versami da bere” e l’altro, con Martha che rivendica di essere “rumorosa e volgare” di “portare i pantaloni in casa” ma di “non essere un mostro”, sputando in faccia al marito: “ero alla festa di papà… e mentre ti guardavo, mi sono accorta che non c’eri” oppure ““giuro che se esistessi chiederei il divorzio”.

Storie di coppie borghesi che nascondono dietro facciate perbene le loro disgrazie sentimentali, i loro sogni non realizzati, le loro mancanze, annegandole in fiumi di alcool. Martha che fa la gatta morta con Nick, carne giovane e soda, mentre George non solo sopporta, ma quasi incoraggia, anche se con disgusto, Honey che confida a George le sue gravidanze isteriche, ognuno vomita le proprie debolezze e cattiverie. I due uomini  si sono sposati  per i soldi o per fare carriera e ora ne pagano le conseguenze ma tirare avanti facendo finta di nulla  è il loro leitmotiv a meno che un bel bicchiere di whisky o bourbon non dia loro il coraggio di “dire la verità”.
Nick: “Bevono tutti come spugne nell’Est. Anche nel Middle West bevono tutti come spugne”
George: “Sì, beviamo moltissimo in questo paese, e ho l’impressione che berremo ancora di più in avvenire… se riusciremo a sopravvivere. Dovremmo essere italiani o arabi…”
Attori bravi e consapevoli delle loro parti, partecipano a questo gioco al massacro riempiendosi di alcool per ore, che però non risulta abbastanza nella loro recitazione, un po' troppo sobria, priva di quel realistico abbrutimento conseguenza del rilascio dei freni inibitori.  Nel testo di Albee, poi, dalla carabina giocattolo di George, puntato alla tempia di Martha, esce “un parasole cinese rosso e giallo” ma il regista Cirillo  lo ha tralasciato  lasciandoci nel dubbio che il mite professore possegga un vero fucile, cosa altamente improbabile per un tipo come lui. Un particolare forse voluto ma allora poteva farlo sparare in aria o contro uno dei bicchieri che come in un tiro a segno, se ne stanno allineati sul mobile bar. Bum!
Interessante l'idea registica dello scardinamento e sconnessione della scenografia, ma Cirillo doveva osare di più, lui che ha osato essere un “femminiello” in quel bello spettacolo “Scende giù per Toledo” di cui scrissi l'anno passato.
Non so se questo play rappresenti la storia dell’Occidente e della sua imminente caduta, e che qualche altra civiltà sarebbe ben felice che succedesse, quello che sicuramente è, è una storia universale di esseri umani,  collocabile in ogni epoca e in ogni luogo, a patto che ci sia molto da bere, poco da fare e molto da rimpiangere. E non mi meraviglierei e sarei felice che fosse andata proprio  così, che anche Albee, mentre la scriveva in quel bar della Decima strada, fosse stato under the influence…

Daria D.


CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF?
Con MILVIA MARIGLIANO e ARTURO CIRILLO

di Edward Albee
traduzione Ettore Capriolo
e con
Valentina Picello
Edoardo Ribatto
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
regia Arturo Cirillo
produzione Tieffe Teatro Milano

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