17 dicembre, 2015

“Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte”, l’ultima opera di un poeta sempre alla ricerca della sperimentazione. Intervista di Stefano Duranti Poccetti



Davide Rocco Colacrai è un giovane scrittore, che ha già collezionato molti riconoscimenti e premi letterari. La sua ultima opera è “Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte”, una raccolta di poesie della quale l’autore ci parlerà durante l’intervista…

Ciao Davide, per iniziare potresti parlarmi brevemente della tua formazione letteraria e dei lavori da te già pubblicati?

Ciao Stefano. Dunque, non ho una formazione letteraria in senso tecnico o classico, ma mi sono formato leggendo molto e mettendo in relazione le domande che la pagina scritta mi sottoponeva con il mio essere uomo e con il (mio) vivere quotidiano. Sono fondamentalmente una persona curiosa, e ho sempre ficcanasato al di là dei consigli, delle indicazioni, delle mode, degli studi. Tutto questo probabilmente è possibile ritrovarlo nei miei tre lavori già pubblicati: Frammenti di parole (GDS Edizioni, 2010), SoundtrackS (David and Matthaus, 2014) e Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte (Progetto Cultura Edizioni, 2015).

Hai vinto anche molti premi…

Qualcuno mi ricorda sovente che ne ho vinti persino troppi. In realtà sono dell’idea che non si possa attribuire una quantificazione ai premi vinti, perché ogni premio solitamente è legato ad una determinata poesia e significa che il messaggio racchiuso nel grembo di quella poesia ha raggiunto il suo destinatario e si è compiuto. Comunque diciamo pure che ho una casa piena di riconoscimenti.

Poi si arriva a “Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte”. Parlami di questo libro, dei suoi contenuti e dello stile da te usato.

Sono solito pensare che ogni progetto si realizza quando il momento è maturo. Pertanto ho partecipato con una silloge inedita, cioè una raccolta di poesie, al Premio 13 e sono risultato tra i vincitori, di conseguenza ho firmato un contratto editoriale ed è nato il mese scorso questo libro. Come si può evincere dal titolo –che sovente è oggetto di dubbi e domande–, il mio lavoro raccoglie un insieme di storie molto diverse tra di loro eppure legate da un comune denominatore rappresentato dalla vita, pertanto ogni poesia è una versione, una declinazione, un colore di “un’ape di mezzanotte”, e quindi è il poeta che prende per mano il lettore e gli mostra finestre di se stesso, del lettore che diventa poeta, da cui è possibile affacciarsi. Benché ogni storia sia caratterizzata dal suo stile, questa multiformità dell’ape-vita si è tramutata in una specie di “concept libro”: tante storie e storie diverse, ognuna delle quali, come emerge dalla poesia conclusiva del libro, è una derivazione della nascita, pertanto della vita.

Fai uso di un codice linguistico particolare, stilisticamente multiforme, da dove viene questo modo di porsi verso la scrittura?

La curiosità a cui accennavo prima mi porta inevitabilmente a sperimentare, e, in questo modo, a superare di volta in volta i limiti che sono sottesi, o intrinseci, alla parola. Così mi piace e mi diverto a creare composizioni di parole e a plasmare immagini che fanno inciampare il lettore mettendolo in una posizione non di comodità, nella misura in cui si sente come in dovere di soffermarsi leggere e rileggere, a interpretare e a capire cosa c’è “dentro” prima di proseguire.

A tuo avviso quale dovrebbe essere la missione della letteratura?

Non so se la letteratura abbia una missione, mi pare di volerla gravare di responsabilità che forse non dovrebbe avere. Posso però dirti che ho sempre vissuto la poesia come una vocazione intesa a trasformare una storia personale, di una sola persona appunto, in una storia universale, cioè una storia nella quale tante altre persone sono in grado di riconoscersi e messe in condizione di sentirsi meno sole.

Sei anche giurista a criminologo, quanto la tua cultura in questo senso influisce nelle tue opere?

Non ci ho mai veramente pensato. Ma credo che gli studi non abbiano influenzato particolarmente i miei scritti. Come dicevo sopra, mi sono sempre mosso oltre, sono stato sempre impaziente di superare i confini e di scoprire, conoscere e capire quello che c’è al di là. Non mi sono mai accontentato dello studio in sé e del suo volermi circoscrivere.

Cosa ti piacerebbe che il lettore percepisca da questo ultima raccolta di poesie che hai scritto?

Che siamo meno soli di quanto pensiamo. E che tutti possiamo sognare, senza sentirci né migliori né peggiori rispetto agli altri.
Hai un autore, o più autori, di riferimento?
È buffo e forse contraddittorio ma non amo leggere poesia (ad esclusione di Antonia Pozzi), e tra gli autori di narrativa mi piacciono molto Mitch Albom e Gregoire Delacourt.

Stai scrivendo qualcos’altro adesso?

Ci sono periodi nei quali scrivo tanto, e periodi nei quali mi prendo una “pausa” per studiare e rinnovare me stesso. E questo è proprio un periodo di “pausa”. Pertanto sto lavorando alla presentazione del mio libro, e nel frattempo lo presenterò benché radiofonicamente, sabato prossimo: infatti sarò ospite del programma “Mai conto cuore: da vicino nessuno è normale” su www.whiteradio.it dalle ore 13. Tra gli ascoltatori verrà sorteggiato un vincitore di una copia del mio libro con dedica personalizzata.

Curata da Stefano Duranti Poccetti


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