13 dicembre, 2014

“Sinfonia d’Autunno” di Ingmar Bergman. Regia di Gabriele Lavia. Di Daria D.


Piccolo Teatro Grassi, Milano dal 10 al 21 dicembre 2014

Foto Tommaso Le Pera
Höstsonaten (Sonata d’Autunno) è il film che Bergman, il regista svedese, diresse nel 1978 e che gli valse numerosi premi sia per la sceneggiatura originaria sia per l’interpretazione di Ingrid Bergman, nel ruolo della pianista Charlotte. Chissà come mai in italiano è stato tradotto con “Sinfonia d’Autunno”, poiché Charlotte, interpretata da Anna Maria Guarnieri nella messa in scena di Gabriele Lavia, parla di sonate di Bach, Chopin, Beethoven. Inoltre, possiamo parlare di un quartetto di solisti, oltre a Charlotte, ci sono le sue due figlie e un genero, e tutti agiscono senza direttore d’orchestra, senza Dio, senza amore.
Lavia dirige una “Sinfonia d’Autunno” dove c’è poca musica, e poco autunno. A mio parere, si sente la mancanza di una colonna sonora “passionale ma non sentimentale”, come Charlotte descrive la musica di Chopin, sedendo di fronte ad un immaginario pianoforte.
Se in un caso, la virtuale sonata è interrotta dallo squillo del cellulare del suo agente, negli altri casi, è tutt’altra la musica che Lavia sceglie come commento. E che disattende il nostro bisogno di spezzare, in qualche modo, quel senso di soffocamento e di mancanza di speranza che pervade tutta la storia. Avrebbe dato un po’ di afflato e di passione all’atmosfera plumbea e austera della vicenda, che la scenografia e i costumi rendono molto bene. A parte la macchia rossa del vestito di Charlotte, che però, dato il personaggio, non è simbolo né di passione né di amore. E se, in alternativa, fosse stata una pioggia incessante la colonna sonora, invece di quei rombi di tuono?
Foto Tommaso Le Pera
Solitario, tra tanto monotono e nordico grigiore, un piccolo angolo di scenografia che ricostruisce la cameretta di un bimbo, piena di colore e di giocattoli. Scopriamo, però, che quest’angolo di vita altro non è che il simbolo di una morte precoce, quella del bambino di Eva e Viktor, caduto in un pozzo prima di aver compiuto quattro anni.
Charlotte va a trovare la figlia Eva, (una giustamente nevrotica Valeria Milillo), dopo sette anni di lontananza, lascia i riflettori dei concerti e la vita cittadina e si ritrova in una dimensione solitaria e poco mondana. Per la pianista, che soffre di terribili dolori alla schiena, il viaggio è senz’altro un immenso sforzo, acuito dal rapporto con la figlia, mai permeato dall’amore, sacrificato totalmente in nome della carriera. Con Eva, donna di atteggiamenti infantili e vergognosi, piena di paure e di ansie, vive Helena, brava Silvia Salvatori, la sorella handicappata, che è stata tolta da un istituto. Eva riversa su di lei tutte le premure e l’amore di cui è capace, diventandone quasi una madre.
Bergman, tanto impietoso quanto vero nel descrivere i rapporti all’interno della famiglia e del matrimonio, ci mostra un amore recitato, e non sentito, da una madre impermeabile ai sentimenti, cinica ed egoista, interessata solo alla sua carriera, alla musica, a se stessa. Ma nemmeno Eva, nemmeno Viktor, interpretato da Danilo Nigrelli, sono immuni da questa recita. Tutto è mascherato da comportamenti educatamente falsi, vuoti, attenti alla facciata più che alla sostanza. E su tutto il silenzio di Dio, come è sempre nelle storie del regista svedese. Un Dio che tace di fronte alla giovane donna in carrozzella, a Eva che non sa amare perché non è mai stata amata, a Viktor, debole e inconsistente, alla pianista egoista e frettolosa, superficiale e disattenta, che ha paura della vecchiaia e del silenzio degli applausi.
Con questo dramma familiare, in cui sentiamo echi di Strindberg e Ibsen, Lavia sembra voler confessarci la paura sua e di tutti i “teatranti”, di quando sono lontani dal palcoscenico, avvolti da un cupo silenzio privo di applausi e quasi ci chiede perdono, comprensione, perché, ci ricorda, c’è un altro tipo di silenzio, ben più grave. E’ quello delle madri e dei padri, dei mariti e delle mogli, della famiglia intera, serpe nel cui petto si annidano gelosie, crudeltà, sofferenze, ipocrisie, il tutto recitato con tanto amore... E su tutto il silenzio di Dio.
Ma nonostante la mancanza di speranza, e quel rombo incessante che annoia e spaventa Charlotte, un piccolo spiraglio di luce filtra al sorgere dell'alba per ricordarci che Omnia vincit amor.

Daria D.


Traduzione di Chiara De Marchi
Anna Maria Guarnieri – Charlotte
Valeria Milillo – Eva
Danilo Nigrelli – Viktor
Silvia Salvatori – Helena
Scene di Alessandro Camera
Costumi di Claudia Calvaresi
Musiche originali di Giordano Corapi
Produzione Teatro Stabile dell’Umbria. Fondazione Brunello Cucinelli


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