24 ottobre, 2014

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Recensione 28: "Giù la testa"


GIU’ LA TESTA        ITALIA  1971  151’  COLORE

REGIA:  SERGIO LEONE

INTERPRETI: ROD STEIGER, JAMES COBURN, ROMOLO VALLI, MARIA MONTI, RIK BATTAGLIA

EDIZIONE DVD: SI’, distribuito da CVC


Ricercato in patria, il terrorista irlandese John -detto Sean- Mallory (Coburn), mago degli esplosivi, sbarca in Messico per cominciare una nuova vita; ma lungo il cammino si imbatte nel pittoresco bandito Juan Miranda (Steiger), che cerca in tutti i modi di convincerlo ad unirsi a lui per rapinare la banca di Mesa Verde fino a coinvolgerlo, involontariamente, nella Rivoluzione messicana di Villa e Zapata, stravolgendo così i suoi progetti iniziali. Riaccesosi in lui l’ardore rivoluzionario, l’irlandese decide di accettare la proposta del messicano, ufficialmente per rapinare la banca di Mesa Verde mentre, in realtà, il furbo John sfrutta l’ingenuo Juan per i suoi nuovi scopi, trasformandolo in inconsapevole eroe della Rivoluzione: la banca è stata da poco adibita a prigione politica e l’ardito assalto di Juan (ben armato di dinamite da John), che credeva di trovare l’oro, porta invece alla liberazione di numerosi rivoluzionari. Dopo aver perso l’intera famiglia nel corso di una feroce rappresaglia governativa, Juan non può più tirarsi indietro, mentre John si trova a rivivere la stessa situazione che in passato lo aveva costretto a compiere una dolorosa scelta…

Superata la sbornia della Trilogia del Dollaro, ciclo che gli ha garantito successo & immortalità, e chiusa la fase western con il crepuscolare C’era una volta il West (1968) Leone, fiutando forse l’aria di impegno degli anni ’70 e rispondendo così alle critiche di lo accusava di realizzare opere formalmente impeccabili ma povere di contenuti “ideologici”, gira il suo film più politico e impegnato e forse anche quello meno apprezzato all’epoca e più sottovalutato oggi, “stritolato” com’è tra i western dei ’60 da una parte ed il capolavoro/testamento C’era una volta in America – un western moderno- dall’altra: rispolverando l’arcinota espressione manzoniana potremmo definire Giù la testa, per ciò che concerne il suo grado di popolarità rispetto agli altri film del regista, come un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro, fermo restando che, almeno a parere mio, la condizione di relativo oblio (anche se in TV passa regolarmente) e disinteresse che patisce presso il grande pubblico –caso unico tra le opere di Leone, esordi “storici” esclusi- , è decisamente immeritata mentre, al contrario, numerosi sono i motivi di interesse e i meriti che giustificano la riscoperta di questa pellicola, come spero di riuscire a dimostrare con quanto segue.
Essenzialmente, in Giù la testa Leone ripropone, almeno nella prima ora e mezza di film, lo stile narrativo del fortunatissimo Il buono, il brutto e il cattivo: avventure picaresche tra l’epico e lo scanzonato, con la netta impressione che il regista non si prenda mai sul serio fino in fondo; la parte comico/farsesca poggia interamente sulle spalle di un ottimo Rod Steiger, il cui personaggio Juan può essere considerato come il fratello minore di Tuco, il “brutto” de Il buono, il brutto e il cattivo reso indimenticabile dal grande Eli Wallach, scomparso recentemente. Ma, rispetto al capitolo conclusivo della Trilogia del Dollaro, l’avventura viene qui arricchita di quelle sfumature ideologiche e psicologiche pressoché inesistenti in esso come nei precedenti due western e soltanto accennate, invece, in C’era una volta il west, forse il primo, timido segnale dell’imminente svolta “ideologica” di Leone; nell’ultima ora di film –scandita dalla scena-spartiacque del ritrovamento nelle grotte dei corpi dei figli di Juan e di tutti gli altri rivoluzionari- sparisce ogni residuo di commedia e si assiste invece ad una decisa impennata drammatica della storia, poiché ai personaggi, ormai tutti inestricabilmente dentro alla Rivoluzione, tocca il compito di andare fino in fondo ( e nel caso di uno di essi, in senso letterale…). Già ne Il buono, il brutto e il cattivo si assiste all’irruzione della Storia –la guerra civile americana- nelle vicende private dei personaggi ma essi, tuttavia, coerentemente alle sceneggiatura “edonistica” ed egoistica del film, rimangono sostanzialmente estranei ai cruciali avvenimenti che si compiono attorno a loro, interessandosene soltanto nel caso in cui tali eventi risultino utili o dannosi al loro tornaconto. E così, il “Biondo” e Tuco attraversano le trincee nordiste non come protagonisti sul campo, bensì come due corpi estranei, due elementi spuri immersi nel proprio mondo, e risolvono la sanguinosa battaglia sul ponte solo per poter attraversare il fiume e raggiungere così il cimitero dove è nascosto l’oro: la guerra è soltanto una presenza in sottofondo oppure, ribaltando la prospettiva leoniana, potremmo dire che sono i due protagonisti a fare da comparse (una sorta di ossimoro narrativo), una coppia di sagome sfocate nel bel mezzo della guerra civile, cioè il “vero” evento. In Giù la testa invece la Storia, rappresentata dalla rivoluzione dei peones messicani guidati da Pancho Villa ed Emiliano Zapata, è pienamente organica alla storia -con la “s” minuscola- del film, al punto tale da legarsi a doppio filo alle vite dei protagonisti anche perché, per la prima volta nel cinema di Leone, uno di essi, cioè John, non agisce spinto da meri interessi personali –anche se all’inizio, prima dell’incontro/scontro con Juan, parrebbe di sì-, essendo animato invece da quegli “ideali superiori” –giusti o sbagliati che siano, qui non ha importanza- in nome dei quali sacrificare la propria vita: la vicenda assume quello spessore tanto invocato dai detrattori del regista, frutto di una sceneggiatura finalmente (sempre secondo i suddetti) di ampio respiro, che “guarda oltre”. Che l’aria sia cambiata lo si può percepire subito, leggendo le parole di Mao che precedono l’inizio del film: “LA RIVOLUZIONE NON E’ UN PRANZO DI GALA […] LA RIVOLUZIONE E’ UN ATTO DI VIOLENZA”; in realtà però, Leone non affronta la questione adottando il punto di vista dei “grandi”, dei potenti, degli strateghi, cercando invece di esprimere le opinioni in tema di rivoluzione che appartengono alla base, agli umili, a quelli che la rivoluzione la subiscono poiché la fanno combattendo, cioè ai soldati, quale è l’esule John, il principale polo ideologico del film, disilluso membro dell’IRA che, nonostante abbia già una rivoluzione fallita alle spalle, non sa resistere al richiamo dei propri ideali; e quale diventa il sottoproletario Juan, il protagonista del film e il rappresentante più genuino e vero del “popolo” in quanto privo di cultura e di indottrinamento e quindi non ancora “inquinato” dall’alta retorica delle ideologie “di carta”, come dimostra la sua disarmante descrizione della rivoluzione, analisi di fronte alla quale John non può che rimanere ammutolito e, anzi, alla fine alzare pure bandiera bianca, gettando nel fango (un gesto davvero significativo) il libro The Patriotism, ossia la propria ideologia di carta, che già stava leggendo con scarso entusiasmo: “QUELLI CHE SANNO LEGGERE I LIBRI VANNO DA QUELLI CHE NON SANNO LEGGERE I LIBRI, I POVERACCI, E GLI DICONO ‘QUI CI VUOLE UN CAMBIAMENTO’! E LA POVERA GENTE FA IL CAMBIAMENTO; E POI I PIU’ FURBI DI QUELLI CHE LEGGONO I LIBRI SI SIEDONO INTORNO A UN TAVOLO E PARLANO…PARLANO…E MANGIANO! PARLANO E MANGIANO! E INTANTO CHE FINE HA FATTO LA POVERA GENTE?…TUTTI MORTI! E PORCA TROIA! LO SAI CHE SUCCEDE DOPO? NIENTE! TUTTO TORNA COME PRIMA! Una perentoria disamina di chirurgica precisione, che mette in mostra tutta l’insospettata riflessività di Juan e manda in crisi le già precarie certezze di John; a noi spettatori il compito di decidere se tacciare questo sfogo (che forse esprime il parere del regista) di qualunquismo, di populismo, oppure considerarlo giusto…Che Leone parteggi per i peones e diffidi invece degli ideologi, dei burocrati, ossia dei borghesi è testimoniato in maniera fin troppo evidente dalla presenza di un personaggio come il dottor Villega, la mente dell’organizzazione (cui dà corpo e voce il bravissimo Romolo Valli): è proprio lui che cede alle torture degli uomini del nazistoide colonnello governativo Günther Reza, finendo per tradire i compagni; per John si tratta di un inquietante –e forse un po’ troppo schematico- deja vu: già in Irlanda aveva subìto un tradimento e proprio dall’amico ideologo che lo aveva iniziato alla causa, alter ego di Villega…Se ciò non bastasse, Leone esprime chiaramente il concetto già all’inizio del film, nella surreale sequenza della rapina alla diligenza: il trattamento discriminatorio e razzista che gli ignari “campioni” borghesi –tra i quali spiccano il reverendo e la Signora-per-bene-, mangiando e parlando (100% leoniani i primi piani sulle bocche che masticano il cibo), proprio come dirà più avanti Juan, riservano al “povero” peone appena salito a bordo, mette a nudo tutta la mostruosità e lo squallore morale che li caratterizzano…ma Juan, in realtà, è un lupo travestito da agnello e subisce in silenzio tutte le angherie e le umiliazioni usategli dai rispettabili membri dell’alta società soltanto perché pregusta già l’imminente vendetta: e con l’aiuto del padre e dei sei figli andrà ben oltre la semplice rapina, impartendo ai signori un’indimenticabile lezione-contrappasso che ha il sapore del risarcimento morale, della rivalsa degli ultimi sui primi…Tale è la divertita ferocia con cui Leone mette qui alla berlina la classe borghese che, almeno per un attimo, sembra quasi di trovarsi in un film di Luis Bunuel, il fustigatore della borghesia par excellence
Non c’è veramente motivo di dilungarsi sulla valutazione dell’opera dal punto di vista tecnico ed estetico, specie se avete familiarità con il cinema di Leone: in Giù la testa si assiste al consueto splendore formale cui il regista ci ha abituato IN OGNI SUO FILM, merito che va anche all’affiatato gruppo dei suoi abituali collaboratori, e tutto ciò si traduce in: attenzione maniacale ad ogni singolo dettaglio; magniloquenti scene d’azione coreografate alla perfezione; dialoghi che si imprimono nella memoria al primo ascolto; ultimo, ma non per importanza, simbiosi totale tra le immagini e le musiche di Ennio Morricone, che firma per l’occasione una delle sue migliori e più emozionanti colonne sonore di sempre (tra i brani, il celebre tema fischiettato Sean Sean). Almeno due le sequenze da antologia: la già citata scena iniziale della diligenza e l’assalto di Juan e famiglia alla banca. Una piccola e curiosa perla di ironia kitsch, invece, la scritta in sovrimpressione sopra la figura di John che compare come un miraggio agli occhi di Juan che, dopo aver assistito ad una dimostrazione pratica delle competenze tecniche del dinamitardo irlandese, vede in lui la chiave d’accesso per le porte del paradiso: la banca di Mesa Verde.
Grande prova degli attori, con la “strana coppia” Coburn-Steiger che gira a meraviglia, trovando un amalgama tutt’altro che scontato…davvero indimenticabili i dentoni di John che sorride sotto i baffi, come pure le buffonerie di Juan, con Rod Steiger che regge alla pari il confronto a distanza con Eli Wallach ed il “suo” Tuco.
L’unico vero appunto che mi sento di muovere al film riguarda un aspetto della sceneggiatura, ossia l’atteggiamento ondivago dei protagonisti che, perennemente in balìa degli eventi, finiscono per venirne condizionati operando in base ad essi le proprie scelte (dominio del caso) e dimostrando così scarsa coerenza; se tale impostazione narrativa risulta perfettamente congeniale ad una commedia avventurosa di stampo picaresco come Il buono, il brutto e il cattivo, in un film di dichiarate ambizioni ideologiche come Giù la testa trovo che questo elemento sia poco convincente e finisca, anzi, per togliere un po’ di credibilità alla vicenda: si può pure giustificare l’incoerenza del sottoproletario e “rivoluzionario per caso” Juan, del quale non capiamo mai se faccia l’eroe per convenienza, necessità o se, sotto una maschera di finto cinismo, compia delle scelte volontarie e consapevoli (in fondo sta anche qui il gioco comico); ma certe improvvise retromarce stonano di più in John, che pure si autoproclama rivoluzionario, e che in teoria rappresenta il modello del guerrigliero idealista. Eppure, se l’ex-terrorista irlandese si unisce alla causa dei rivoluzionari messicani è solo perché Juan gli ha accoppato il futuro datore di lavoro: John era arrivato in Messico per rifarsi una vita ed utilizzare la sua dinamite non più per uccidere, ma solo per cercare filoni d’argento nelle montagne. E ancora: dopo la feroce repressione governativa che ha praticamente smantellato l’organizzazione e dopo aver scoperto il tradimento di Villega, uno scoraggiato John sembra cedere alle lusinghe della proposta di Juan, cioè emigrare in America per rapinare banche…ma i due, scendendo dal treno, anziché verso il confine si ritrovano tra le braccia dei peones esultanti per la caduta del governatore: sono di nuovo tra le braccia della Rivoluzione. Vero è che la mancanza di coerenza, caratteristica tipicamente umana, aggiunge realismo e veridicità ai personaggi, ma in questo caso probabilmente è anche sintomo delle incertezze del regista circa la direzione da imprimere ad una storia in cui, come si è visto, non tutti i nodi vengono al pettine e dove si rimane sospesi tra commedia e dramma, fermo restando il notevole fascino avventuroso del film e l’indiscusso talento affabulatorio di Leone che in Giù la testa, come ho accennato in apertura, non si prende troppo sul serio, e questo costituisce al tempo stesso il maggior pregio (godibilità della storia, suggestivo mix tra umorismo e idealismo) ed il maggior limite del film (fu vera gloria???)…
Un po’ invadenti, infine, per quanto esplicativi, i flashback al rallentatore sul passato di John, che peccano forse di eccessiva lunghezza.

In conclusione, Giù la testa è un film incoerente e un po’ prolisso ma al tempo stesso coinvolgente ed affascinante nella sua disomogeneità; l’inedito impasto “ideocomico” lo rende un’opera unica e per questo non trascurabile nella carriera di Leone, un film che fila via come un treno sul doppio binario della commedia avventurosa e dell’idealismo, pur con alcuni scambi un po’ intricati (ovvero indecisioni ed eccessi didascalici) che ne rallentano un po’ la corsa, ma si tratta di peccati più che perdonabili vista la trascinante passione con cui il regista ci racconta questo suo ennesimo sogno smisurato, finendo inesorabilmente per catturarci all’interno del suo mondo. Nell’attuale panorama cinematografico italiano -con qualche eccezione- si sente davvero la mancanza di un regista in grado di pensare in grande come Sergio Leone!

In DVD il film è disponibile sia in edizione singola che nel bel cofanetto a sei dischi, uscito una decina d’anni fa, contenente i quattro western precedenti oltre all’interessante documentario su Sergio Leone I sogni nel mirino, realizzato da Luca Morsella.


Francesco Vignaroli

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