08 maggio, 2014

Intervista a Pietro Parolin, sceneggiatore e regista del film Leoni. Intervista di Giovanni Rubin


È attualmente in fase di post-produzione il film Leoni, l’esordio alla regia del trentasettenne Pietro Parolin, originario di Rosà, in provincia di Vicenza. Dopo aver lavorato sul set di film diretti da Mario Monicelli, Liliana Cavani e Rodolfo Bisatti, nel 2006 Pietro inizia la carriera di sceneggiatore, scrivendo puntate de La Squadra 8 e La Nuova Squadra (Rai 3), i dialoghi di Chiamatemi Gio’ (Disney Channel) ed un concept intitolato Sasà Forever (Fox Italia). Nel frattempo sceneggia e dirige il cortometraggio La legna del vecio (Sky Cinema) ed è co-autore ed aiuto regista di Running Wild (MISE). Nel 2012 partecipa e vince il bando da settecentomila euro promosso dalla Regione Veneto Analisi, studio e diffusione di opere culturali e multimediali giovanili, che gli permette di girare la commedia Leoni.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Pietro per conoscere in particolar modo il rapporto del film con il territorio veneto, ma anche per scoprire qualcosa in più sulla sua genesi e sulla decisione di realizzare una commedia anziché un dramma. La speranza dei produttori (CSC Production, Rai Cinema e Regione Veneto) è di poter presentare Leoni al prossimo Festival del cinema di Venezia, in programma a fine Agosto.

Pietro, la storia di Leoni racconta di un bamboccione (interpretato da Neri Marcorè) che la madre (Piera degli Esposti) decide di non mantenere più ed è costretto a darsi da fare, incappando in personaggi poco raccomandabili (Stefano Pesce, il cognato, e Antonio Pennarella). La vicenda avrebbe potuto svolgersi in un’altra regione?

Alcune delle tematiche che attraversano la storia sono universali, ma l’aderenza al territorio è totale per quanto riguarda la linea narrativa del protagonista. Molte delle situazioni che racconto sono prese da fatti di cronaca, dunque mi è sembrato giusto inserirle nel loro contesto di appartenenza. D’altro canto spero che il film possa risultare gradevole agli spettatori di tutta Italia e a tutte le categorie di pubblico: essendo un film corale vengono raccontate, con sguardo leggero ma d’indagine, le storie di generazioni diverse.

Da diversi anni lavori come sceneggiatore per serie televisive. La sceneggiatura di Leoni era già pronta nel cassetto o è nata con il bando della regione?

Leoni è nato col bando, ma l’idea di fondo c’era già. Mi piaceva pensare di scrivere una sceneggiatura per un film corale che parlasse della crisi degli imprenditori attorno ai cinquant’anni e che raccontasse il territorio del Veneto da un punto di vista interno. Ho impiegato poco tempo per scriverla, ma poi l’ho rimaneggiata per mesi, cercando di darle maggiore freschezza e velocità. Da questo punto di vista è stato molto utile il lavoro con gli editor ed il loro sguardo, questa volta, esterno, che permette di capire se il film è scorrevole e
se il messaggio che si vuole comunicare riesce a filtrare.

Dopo diversi anni di silenzio, si è tornati a mostrare il Veneto (con film quali Cose dell’altro mondo, Io sono Li, Piccola Patria) proprio in concomitanza della crisi economica. Solo un caso?

No, non è solo un caso, perché quando si ha a che fare con una regione che storicamente è legata ad un alto tasso di produttività, un brusco calo economico e valoriale apre a scenari impensabili. In particolare è interessante guardare alla realtà veneta per la sua tendenza a trovare sempre una soluzione ai problemi. Sono proprio il modo in cui si affrontano le sfide, le strategie che vengono messe in atto per risollevarsi che hanno trasformato il Veneto in un soggetto stimolante da raccontare.

Carlo Mazzacurati, grande regista padovano, ci ha lasciato il suo ultimo pensiero sul Veneto con una commedia, La sedia della felicità. Lo stesso genere che tu hai scelto per iniziare la tua carriera. Perché questa decisione? E quali le difficoltà rispetto ad un film drammatico?

Mi piacciono in particolare quelle che si definiscono commedie “sofisticate” e “corali”. Credo che suscitare nello spettatore un sorriso amaro lo spinga un po’ più in là nella riflessione. Oggi a livello autoriale la commedia è sottovalutata, ma è un modo di raccontare che permette di mostrare la realtà sotto una luce diversa, mettendo in evidenza aspetti che rischiano altrimenti di passare inosservati. Per quanto riguarda le difficoltà, nella commedia, ancora più che nel genere serio, bisogna prestare attenzione ai tempi delle battute ad al ritmo della storia.

Hai affermato di avere come modello Pietro Germi. La Treviso di Signore & signori e quella di Leoni hanno ancora qualcosa in comune?

Declinato in maniera differente anche per il nuovo tipo di comunicazione, ma io credo che nella Treviso attuale ci sia ancora tutto quello che c’era cinquant’anni fa in Signore & signori. I personaggi di Germi incarnano lo stereotipo più positivo del Veneto, che li rende graffianti, grintosi, quasi d’azione e in fondo Piazza dei Signori è tutt’ora un salotto a cielo aperto dove le voci corrono. Germi è ineguagliabile, ma mi farebbe piacere se allo spettatore di Leoni arrivassero gli echi del suo modo di fare commedia.

Ora che hai maturato esperienza sia nel campo della sceneggiatura che della regia, quale delle due strade hai maggiormente voglia di seguire?

Sceneggiatura e regia sono due mondi a contatto, ma anche profondamente diversi, sia per le competenze che richiedono, sia per il tipo di soddisfazioni che offrono. Credo che la cosa migliore che potrebbe capitarmi sia di riuscire a seguire entrambe le strade.


Curata da Giovanni Rubin

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