29 gennaio, 2014

Diaphanès teatro presenta: “…viene il mattino azzurro” per Aspera ad Astra. Di Daria D.


Milano, Arci Ohibò, Via Benaco 1. 26 gennaio 2014


Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.

  
Era giusto ricordare la poesia di Alda Merini da cui prende il titolo lo spettacolo di Mario Barzaghi, regista dalla lunga esperienza, fondatore del Teatro dell’Albero nel 1999,  e ora di questa nuova compagnia Diaphanès, incentrato sullo stretto legame, direi quasi una simbiosi inevitabile, tra follia e arte, sofferenza e creazione.
Una giovane attrice, Tiziana Tricarico,  un po’ ballerina, un po’ marionetta, un pò bambola,  ma comunque sempre vittima di dottori, padri, scienziati, amanti,  dell’opinione pubblica, degli editori, dei regimi, del potere, Simone Lampis, l’altro protagonista è tutto questo mondo maschile,   incarna il ruolo della follia con dolore, sprazzi di  lucidità,  incoscienza e lo stupore di chi vive vedendo il cielo azzurro anche quando non c’è. Prerogativa che hanno solo gli artisti, anche quando sono  internati come è successo alla Merini, a soli sedici anni, in quel luogo tristemente famoso che qui ironicamente è chiamato  “Casa del sollievo”, dove invece il più delle volte “si impazzisce davvero”.
“fra gli escrementi e le latrine puzzolenti imparai ad amare i miei simili”, ci ha lasciato scritto la Merini perché l’Artista, il vero Artista, affonda le mani nel fango, nel vomito, negli abissi dell’animo umano, entra dove altri non si sognerebbero mai di entrare. Ne esce con le mani sporche, la puzza addosso, l'orrore di avere visto cose inaudite,  ma quelle mani le innalza verso il cielo per tingerle di azzurro, di nuovo pulite e  belle. Non a caso la scelta della citazione latina come sottotitolo: attraverso le asperità alle stelle.
In quella stanza d’ospedale, ricreata dalla scenografia, ma che una tendina rossa come quella di un teatrino dei burattini rende simile ad una stanza dei bambini, Tiziana gioca un gioco crudele con il suo carnefice, che le fa l’elettroshock, la tratta come un essere senza dignità e senza speranza, proprio come spesso vengono trattati i pazzi e gli artisti: allontanati, reclusi, nascosti, vituperati.

Non solo i versi della Merini vengono recitati ma anche quelli di  Pasolini, di Antonia Pozzi la poetessa morta sucida, di Artaud, di Müller, il più grande drammaturgo tedesco dopo Brecht, di Brugnaro, il poeta operaio, e di altri artisti che hanno vissuto realtà sociali difficili, ambienti familiari chiusi, discriminazioni di ogni genere.
Tiziana  li incarna tutti, con quel suo corpo flessuoso e flessibile, che sembra spezzarsi sotto la presa di Simone, inquietante e bello, ma poi rialza la testa e ci guarda come una bambina che non capisce perché è stata  rinchiusa in una stanza da cui non può uscire. Ma che ci sorride lo stesso. “inghirlandata della sua follia” come scrive la Merini.
Quali sono le sue colpe? Quale sarà la punizione?

Non c’è dubbio che Barzaghi  fa di Tiziana una strana Alice che ha la capacità di emozionarci e di stupirci per quello che ci dice e per quello che ci fa immaginare, grazie al suo talento e ad un bel pizzico di pazzia. E,  non ho dubbi,  non manchi nemmeno al  regista e a Simone Loris.
Questo ci rallegra e ci fa sperare in un futuro azzurro… sempre striato di rosa… però.

Daria D.


Regia di Mario Barzaghi
Con: Tiziana Tricarico e Simone Lampis

Testi di : Mario Barzaghi, Alda Merini, Ferruccio Brugnaro, Heiner Müller, Francesco Permunian, Aldo Nove, Antonia Pozzi, Virginia Woolf, Pier Paolo Pasolini, Antonin Artaud


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