17 aprile, 2013

Conversazione con Raffaella Giordano



Raffaella Giordano è insieme a Giorgio Rossi la direttrice artistica responsabile di Sosta Palmizi, Associazione che riveste una grande importanza nella storia del Teatro-danza contemporaneo. Raffaella parla al Corriere della Sosta e della sua carriera di danzatrice.  


Ciao Raffaella, per cominciare puoi parlarmi di Sosta Palmizi? Della sua nascita e del successivo trasferimento a Cortona. 
  
Raffaella Giordano in Ama Fì. Foto di Andrea Macchia
La Compagnia nasce come collettivo di sei autori, tutti legati dall’esperienza artistica avuta con la coreografa finnico americana Carolyn Carlson al Teatro la Fenice di Venezia negli anni ‘80. Poi, ad un certo punto della nostra storia, è accaduto che ciascuno decidesse di prendere la sua strada, a favore di esperienze autonome, io e Giorgio l’abbiamo fatto rimanendo all’interno di Sosta Palmizi, trasformandola in Associazione e trasferendoci da Torino in Toscana, a Cortona.  Abbiamo sempre avuto l’esigenza di conoscere e collaborare con molte persone ed è anche per questo che Sosta Palmizi non è una semplice Compagnia Teatrale, ma un organo culturale più complesso, ricco di attività, che produce spettacoli e cerca di stimolare le nuove generazioni verso una formazione artistica attraverso azioni di sostegno economico, psicologico e pratico. Accompagnare e “accudire” i giovani è un elemento fondamentale del nostro percorso, perché abbiamo a cuore la possibilità di trovare strade nuove dal punto di vista artistico e di contribuire allo sviluppo di questo ambito nel nostro Paese

Come è stato l’impatto con Cortona, perché hai lasciato Torino?

A Cortona mi sono trasferita per motivi famigliari, in un periodo in cui Torino non era la realtà feconda di oggi. Allora neanche la Toscana è stata terreno facile in cui agire, ma poi le cose sono migliorate, abbiamo dato vita ad altre sinergie e collaborazioni e imparato a conoscere meglio il territorio. Quest’anno siamo riusciti a creare una fertile collaborazione con il Comune di Arezzo, anche aiutati dal forte impulso che la Regione ha manifestato nei confronti della nostra Arte e dei centri di residenza che operano con qualità ed esperienza. Oggi non ci lamentiamo e nel futuro si vedrà, perché siamo in un momento storico di portata epocale, catastrofi naturali e  grandi crisi economiche mettono in discussione tutto il sistema e non è affatto facile immaginare il futuro. 

Foto di Andrea Macchia
È difficile per un Artista lavorare in Italia? 

In questo Paese, più di tanti altri, non basta fare solo il proprio lavoro, bisogna fare molto di più per sopperire a tutto quello che dovrebbero fare altre figure o enti preposti, lavori che vanno dal piano organizzativo a quello legislativo. La cosa più grave è che in Italia non riesce a radicarsi la consapevolezza che l’Artista sia un lavoratore e spesso viene considerato solo come una persona capricciosa che vuole fare di testa sua. Questa condizione provoca molta frustrazione e mette in difficoltà le persone e la loro dignità, come si può esercitare un mestiere che non è considerato un vero lavoro?  Fortunatamente le cose stanno cambiando, esistono alcune realtà istituzionali più sensibili e molte persone che contribuiscono al sostegno di questo genere di attività, perché credono nella sua importanza, per fare un esempio vicino e recente, il nuovo Assessore Macrì del Comune Arezzo è stato in grado di recepire la nostra attività e le nostre qualità, dandoci ascolto e contribuendo alla vitalità della città.  E’ stato un piacere organizzare ad Arezzo l’ultima edizione di “Invito di Sosta” e di partecipare attivamente ad “Arezzo Wave”. 

Puoi parlarmi un po’ di “Invito di Sosta”? 

“Invito di Sosta” nasceva come possibilità per gli artisti giovani e neonati di mostrare i loro lavori in una situazione più protetta di medio piccola grandezza e fuori dai circuiti consolidati, poi nel tempo siamo cresciuti e abbiamo ospitato gruppi più affermati, nomi più conosciuti, dando sempre vita a rassegne elastiche, non legate a una linea rigida. Tramite “Invito di Sosta” si è creata l’opportunità di fare conoscere al pubblico il linguaggio della Danza d’autore,  poco conosciuto sia perché siamo in una piccola provincia sia perché viviamo in un Paese molto tradizionalista. Questa possibilità di ricevere nuovi stimoli è molto apprezzata dal pubblico che ci segue con fiducia e interesse. 

Pensi che questo periodo di crisi possa indurre le persone ad avere un maggiore bisogno artistico e spirituale? 

Paradossalmente, questo momento è favorevole per il Teatro-Danza, o comunque per quell’Arte che di solito viene definita di élite. Siamo in un periodo in cui le persone hanno bisogno di stimoli nuovi e di nutrimento. Viviamo in un periodo dove la disonestà, l’arroganza e la volgarità sono di casa e molte persone sono desiderose di ricevere messaggi diversi, il pubblico è più avanti nella sua capacità di lettura di quello che si pensa, soprattutto è in grado di  riconoscere  l’onestà intellettuale di una proposta; la crisi economica forse ci fa capire meglio che la materia non è tutto e ci spinge verso valori etici e spirituali. Ogni qualvolta che una persona conosce questo mondo, può esserne intimorita, in quanto mondo sconosciuto, ma se è ben accompagnata riesce a sentire che in verità è più comprensibile di quello che poteva immaginare, perché il linguaggio del corpo è molto vicino a tutti noi e ci sa parlare della vita.  

Abbiamo parlato in generale su Sosta Palmizi, adesso, Raffaella, puoi parlarmi della tua formazione artistica? 

Raffaella Giordano in Ama Fì. Foto di Andrea Macchia
Ho avuto due grandi Maestre: Carolyn Carlson, la mia madre formativa, che mi ha “macchiato” per sempre con la sua capacità di gestire e d’interpretare lo spazio, il tempo, la forma; mi ha insegnato poi ad essere generosa… tutto il suo lavoro  è rimasto dentro di me. L’altra persona che ha segnato la mia storia con forza è stata la grande coreografa tedesca Pina Bausch, avevo 21 anni ed è stato un sogno, un momento emozionale e formativo molto grande. Poi conobbi una Compagnia francese, si chiamava l’Esquisse/Obadia Bouvier, al tempo era molto affermata in Francia e dava vita a un lavoro intenso ed energico sul corpo, ispirandosi ai grandi pittori, uno su tutti Bacon. In seguito ho fatto ancora diverse esperienze, ho lavorato con Pippo del Bono e mi sono avvicinata alla lettura e alla visione di opere e teorie di grandi registi e uomini di teatro, quali Grotowski, Peter Brook, Eugenio Barba. Ho sempre combattuto con grande passione e sempre amato molto le persone con cui ho avuto la fortuna di condividere il lavoro, la fortuna di frequentare luoghi in cui si poteva stare con quel forte sentimento di appartenenza e di credo personale, luoghi rischiosi e non sempre pienamente riconosciuti. Inoltre, pensando alla mia formazione, ci tengo a ringraziare non solo i Maestri che ho avuto, ma anche tutte le persone che negli anni hanno lavorato e studiato con me stimolando il mio lavoro, permettendomi di capire tante cose e di realizzare i progetti e le mie passioni. 

Con Sosta Palmizi sei stata una delle innovatrici più emblematiche della nuova drammaturgia italiana; anni fa, quando la vostra Arte era agli arbori, sapevate che stavate facendo una cosa così importante? 

Mah, Quando sei giovane ti butti, vai, corri, non sapevamo quanto il nostro lavoro fosse importante, combattevamo e agivamo. Solo dopo ti rendi conto e vedi in maniera più lucida che qualcuno comincia a riconoscerti e a guardarti dandoti il tuo nome e non considerandoti più solo come “allievo di Carolyn Carlson”.  

Quali sono le differenze artistiche tra te e la tua Maestra Carolyn?

Sono diversa dalla mia Maestra, meno limpida, meno spettacolare, formale e virtuosa di Carolyn. Mi piace anche lavorare nelle zone d’ombra dell’essere umano, nella parte più misteriosa, dove è facile perdersi, dove si manifesta uno spazio molto sensibile. Mi rendo conto di toccare a volte zone sofisticate e meno dirette alla comprensione degli altri, ma sono terreni troppo importanti per me e anche per le persone con cui lavoro. Il corpo è un veicolo magnifico per raggiungere queste zone di mistero. L’essere umano ha una moltitudine di potenzialità inespresse, la stessa scienza dimostra che siamo in grado di utilizzare solo una piccola parte delle nostre potenzialità. Il nostro mistero può essere ancora declinato e sfumato in molti modi e il Teatro è un luogo adeguato per ritrovare questo spazio spirituale, sacro, misterioso, intriso di energie, di forze e d’intensità profonde.  

Che ne pensi del Teatro classico e del Balletto? 

Foto di Silvia Lelli
Mi piace il Teatro di parola quando tocca eccellenze massime e quando è di qualità, non sono però vicina alle battaglie del Teatro classico, perché credo che questo Teatro non sia in grado di abitare una forma dinamica per raccontare le tensioni dell’attualità; stessa cosa vale per il Balletto classico, che da bambina amavo molto. Il Balletto classico è espressione dell’Ottocento e non attualizza le contraddizioni e le voci di tante questioni che mi stanno a cuore e che riguardano anche il potere e le trasformazioni del linguaggio. È bello quando l’Arte sta vicino alla vita e al suo divenire.

Credi che sia ancora possibile nel 2013 creare un’Arte nuova? 

Io credo fortemente che si possa ancora creare il nuovo e che ci sia molto da fare, da ascoltare e da scoprire. Ci vuole la fiducia, e la forza di rischiare la pelle per il proprio ideale, come tanti grandi Artisti hanno fatto. Gli esseri umani sono vivi perché possono comunicare e farlo con fiducia e tenacia è una possibilità concreta. 

Curata da Stefano Duranti Poccetti



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