07 maggio, 2015

NERONE DUEMILA ANNI DI CALUNNIE. Di Daria D.


Teatro Manzoni, Milano dal 4 al 16 maggio 2015
Raramente attualizzare, a teatro o al cinema, un personaggio o un avvenimento, funziona. Non basta paludarlo di cuoio, cappelli militari, fucili, e altre facilonerie scenografiche o far parlare gli attori in un dialetto possibilmente del Sud, per rendere quello che si vuole raccontare, esprimere, puntualizzare, più forte e significante. Si rischia di cadere nella trappola, seducente, tuttavia, di scandalizzare e meravigliare a buon mercato, il pubblico.
“Nerone duemila anni di calunnie” di cui Edoardo Sylos Labini è regista e interprete, è un ottimo esempio di come si possa evitare la banalità esteriore scavando invece nel significato del dramma che si sta raccontando, restituendo al fruitore uno spettacolo chiaro nei suoi intenti, con molta dose d’intrattenimento, una regia misurata ma decisa e inventiva, una drammaturgia intelligente, mai noiosa e retorica.
Lo spettacolo si apre con Nerone, cui Edoardo Sylos Labini, senza cadere in stereotipi, dà un’interpretazione pensosa e pensierosa, pacata ed equilibrata, mai esagerata, né volgare, dell’Imperatore che, disteso sul suo triclino, tra le colonne della Domus Aurea, è tormentato dal fantasma della madre Agrippina, mentre un coro fuori campo ripete le parole, che saranno un po’ il leitmotiv dello spettacolo: “Nerone ha bruciato Roma, ha ucciso la madre, la moglie, il fratello. E’ l’anti-Cristo, ama il popolo. E’ pazzo! Ci rovina tutti!”. E’ la notte che precede il suo suicidio, che commetterà declamando le parole: “Quale artista muore con me!”, dopo che il Senato lo avrà deposto con l’accusa di avere appiccato il fuoco alla città. Nerone è passato alla storia perché, raccontano gli storici, mentre Roma bruciava, lui la guardava impotente, svogliato, suonando la cetra. Ma è stato veramente così, si chiede Massimo Fini nel suo omonimo saggio?
 Lo scrittore sembra più propenso a credere che Roma abbia preso fuoco per mano dei Cristiani, che consideravano l’Imperatore come un anti –Cristo. Tesi che naturalmente non è appurata, perché la Storia la fanno i vincitori, ma che potrebbe essere assolutamente vera.
Nerone, nipote di Caligola, figlio della potente e dissoluta Agrippina, marito di Ottavia, Agrippina e Messalina, era un poeta, un attore, un cercatore di gloria, più che di potere, di bellezza più che di politica a vantaggio  del Senato e a discapito del popolo.  Era un uomo che voleva riportare la Grecia a Roma, che preferiva il teatro dove si finge davvero e senza danno, al teatrino della politica, dove si finge a danno degli altri. Era un esteta, che forse la storia non ha mai capito, ma solo denigrato.
Durante le due ore dello spettacolo, ogni parola ci porta a fare associazioni, paragoni, rimandi, vediamo il Potere prendere sembianze umane, contornarsi di personaggi dalla dubbia moralità, da lecchini, attricette, portaborse, cupidigia e avidità vestono in smoking e doppio petto, danzano e si nascondono, tramano e sfruttano, colpiscono e annientano. E il popolo, pronto a osannare chi sta al Potere, non ci pensa due volte a odiarlo, forse per invidia, un momento dopo. E a volerlo morto.
I personaggi si muovono su un set che è come una festa hollywoodiana, in un angolo una ballerina vestita di bianco, gente che ride, che beve, ragazze di facili costumi o senza costumi, efebi che mollemente passeggiano tra gli invitati offrendo la loro bellezza, i Senatori che parlano di politica, un mimo/dj alla consolle cui Nerone si rivolge chiamandolo “ermafrodito”, e al centro di tutto l’Imperatore. Eppure, nonostante il codazzo degli ammiratori, dei futuri traditori, degli invitati, Nerone parla della “solitudine del potere e della sua maledizione”, consapevole, o forse no, dei rischi che avrebbe corso lui che di potere ne aveva a dismisura e che voleva “ essere un Dio” ma gli è toccato uscire di scena “come un qualunque attore”.
Uno spettacolo che lascia un segno, che fa riflettere, che ci induce a volerne sapere di più, forse a sposare tesi cui non avevamo pensato. Nerone non è il mostro che molta storia ha voluto dipingere, non è nemmeno un incapace, ma forse solo la vittima di un Potere che si allarga a macchia d’olio quando scappa di mano e allora quelli che erano amici diventano nemici, perfino le madri si rivelano assetate di esso e di sesso, il popolo insorge, le finanze vengono dilapidate, i costumi s’infiacchiscono, le città vanno a fuoco e fiamme. Non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Ricordiamo accanto a Sylos Labini, il resto del cast: Sebastiano Tringali/ Seneca il filosofo, Dajana Roncione/Poppea, Giancarlo Condè/Fenio Rufo, Gualtiero Scola/Otone, Fiorella Rubino/Agrippina.  Il dj mimo è Paul Vallery, autore delle musiche originali, poi ci sono gli allievi dell’Adiacademy : Cristian Carotenuto, Roberta Cassina, Simone Galli, Guido Martella, Elisabetta Molteni, Marco Premoli, Irene Proietti, Silvia Rota, Giulia Sinatra e la ballerina Arianna Cavallo. Bravi!!!
Ars longa vita brevis...

Daria D.


Uno spettacolo di Edoardo Sylos Labini
Liberamente tratto dall’omonimo saggio di Massimo Fini
Drammaturgia di Angelo Crespi
Basato su un'idea di Pietrangelo Buttafuoco
Allestimento e costumi di Marta Crisolini Malatesta,
Disegno luci Pietro Sperduti
Sottotitoli in inglese
RG produzioni

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