27 ottobre, 2014

"L’importanza di non essere juventini". Sopraffazioni, prepotenze, astuzie…e se lo fossimo tutti?! Di Paolo Leone


Roma, Teatro Kopò (Via Vestricio Spurinna 47) dal 23 al 26 ottobre 2014

Il calcio, si sa, è lo specchio della società. Una frase, un’affermazione, che come un mantra avvolge di significato le quattro situazioni rappresentate sul palcoscenico del piccolo teatro Kopò. Si potrebbe pensare che il titolo di questo spettacolo sia furbo, uno specchietto per le allodole, tanto per attirare spettatori convinti di assistere ad uno sproloquio anti juventino. In realtà è un intelligente e divertentissimo quadro di ciò che siamo noi tutti, non la fumosa società civile che nelle sue nefandezze è sempre costituita da fantomatici “altri”, è chiaro. Uno spaccato, comico per carità, delle nostre vite in quattro situazioni – tipo. Il lavoro, le considerazioni di due anziani, la tribuna politica con il politico impenitente e scaltro, addirittura due bambini e i loro giochi, apparentemente innocui. Non si agisce mai per giustizia, ma per piccoli, meschini favori personali, per sopraffare il prossimo, per ribadire la propria supremazia sociale, costi quel che costi.
I rapporti sono costruiti su questo pilastro, marcio, che mina la credibilità di tutto quel che costruiamo, alimenta il rancore. Se tutto ciò che funziona sta al Nord (e verrebbe da pensare che tutti siamo a Sud di qualcun altro), ci si accontenta di essere l’ultima ruota del carro vincente, pagando il prezzo di rimanere Ascari, ignari e contenti di esserlo, senza far nulla che possa bilanciare l’ingiustizia. “Tanto tutto si compensa”, ci fanno credere. Tutto viene travisato per difendere i propri interessi, tutto viene astutamente contraffatto per indurre in confusione quei pochi interessati alla verità.  Quel che fa il politico disonesto, ma “piacione”, che si vanta di essere amato dai bambini, di saper raccontare barzellette, di essere telegenico, che ride negando l’evidenza mentre ruba milioni dalle tasche dei cittadini che, beoti, ridono davanti alla TV. Un Paese (un mondo?) senza speranze, se anche due bambini, nelle loro dinamiche di gioco, rispecchiano la volontà prepotente dei grandi, in cui uno domina e l’altro è dominato, in un ciclo che si perpetua all’infinito. Uno ricco e l’altro povero, il culto della competizione, il gusto sadico nel denigrare l’altro, una realtà amara in cui la cicogna è mandata in pensione, perché anche “i bambini si fanno con i soldi”. Si ride, si sorride, ci si fa seri. Lo schema della piccola pièce si riflette negli spettatori. La bellezza della comicità sta anche in questo: ridere di ciò che non fa assolutamente ridere. Fulvio Maura e Angelo Sateriale ci regalano un’ora di divertimento parlando di noi stessi. Pippo Fava, poco prima di essere ucciso dalla mafia nel 1984, diceva che questa era imbattibile perché tutti siamo, a nostro modo, mafiosi. Tutti ci prestiamo alle dinamiche di sopraffazione per ottenere piccoli vantaggi. Per poi lamentarci degli altri, naturalmente.

Il calcio è lo specchio della società, perciò… l’importanza di non essere juventini!
Ma Sateriale e Maura, bravissimi e naturalmente simpatici, instillano un dubbio atroce, se ci si spinge ad un altro livello di lettura della loro esibizione: e se fossimo tutti juventini?! Homo homini lupus…, ma lasciateci una speranza.

Paolo Leone


Roma, Teatro Kopò (Via Vestricio Spurinna 47) dal 23 al 26 ottobre

“L’importanza di non essere juventini”, scritto diretto e interpretato da Fulvio Maura ed Angelo Sateriale.


Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Kopò nella persona di Rocchina Ceglia.

7 commenti:

  1. Bah...davvero bah...essere juventini significa essere mafiosi? bah

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  2. Vabè non ricevo risposte, il solito spettacolino insulso demagogo e populista e poi "Un viaggio all'insegna della sportiva e drammatica comicità" non ha un senso in italiano.

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  3. Confesso (mea culpa, mea maxima culpa) di non aver visto lo spettacolo e quindi mi affido agli occhi, alle orecchie e alla narrazione di Paolo Leone, la cui sensibilità mi restituisce, more solito, la vivida immagine della scena e il senso sotteso alla piéce.
    Non avessi avuto Leone come novello Virgilio, avrei potuto tutto sommato supplire con le impressioni dell’isolato commentatore che mi ha preceduto.
    Questi, da quanto intuisco, ma non comprendo se per cieca fede sportiva o per riflesso pavloviano, si è scagliato contro lo spettacolo, stroncandolo, semplicemente per il suo titolo o, forse, per l’impressione ricevuta da quel titolo sommato alla recensione, il che determina un mix di mediazioni percettive che mi riportano alla mente l’aneddoto del “troppe note” pronunciato da un annoiato Imperatore al giovane Mozart dopo l’ascolto de Il ratto del serraglio e reso celeberrimo dal film di Miloš Forman.
    Piuttosto, invece di stroncare, ci si dovrebbe interrogare su quanto siano veri il senso della narrazione scenica e il portato dei dis-valori che intende mettere alla berlina utilizzando una simbologia sportiva ormai universale, se anche l’infantile Topolino, nel narrare un evento calcistico, ha trasposto il nome della squadra a strisce bianconere in “Rubentus”.
    Sarei fortemente tentato di replicare alla stroncatura rammentando al suo autore le conferme anche recenti dell’immedesimazione della squadra citata nel titolo in quei dis-valori, ma mi rendo conto che sarebbe fatica vana e soprattutto che aprirebbe un confronto tra “tifosi” il quale, seppure si mantenesse nell’ambito della civile contrapposizione, si rivelerebbe, comunque, out of context.
    In realtà la stroncatura di per sé rappresenta, per il gioco dei contrari, una sorta di martelletto del riflessologo, la miglior dimostrazione che la piéce ha colto nel segno, ha toccato un nervo scoperto.
    O forse, ma resto nel mondo delle ipotesi, quella stroncatura risponde alla domanda se essere juventini rappresenti una causa o un effetto esistenziale, rispetto alla quale innesca la circolarità tipica di tutte le dipendenze (del tipo: sono fumatore perché ho bisogno della nicotina, o ho bisogno della nicotina perché sono fumatore?) e che, a sua volta, mi consente di rispondere alla domanda del recensore.
    Siamo tutti juventini dentro, caro Leone, chi più chi meno, solo che alcuni lo nascondono, altri se ne vantano, ma c’è speranza per tutti, o almeno per la maggioranza.
    Degli altri, ce ne faremo una ragione.

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  4. Caro il mio Marforio, cerco di rispondere alla tua arringa senza arzigogoli ne viaggi di fantasia.
    Innanzi tutto non hai visto lo spettacolo quindi la tua difesa vale niente quanto la mia stroncatura. Sono uno del settore e mi sono preso la libertà di criticare la piece solo perché questo è uno dei tanti tanti tanti spettacoli che non vale la pena di vedere. Fidati. O almeno, per come viene presentato, non attrae altri che un pubblico di tifosi. Conosco le dinamiche di questo mondo sporco - che è quello dell'arte - tanto da mettere in discussione la recensione del buon Leone.
    Spero di rispondere a tutto con una riflessione: siamo arrivati talmente in basso, siamo così creativamente sterili da non riuscire a scrivere nulla di più profondo della solita "questione domenicale"? E talmente importante ingraziarsi lo spettatore tanto da ricorrere a metodi subdoli (che nello spettacolo sarebbero tacciati come juventini)?
    Per finire ti dico che sono un tifoso del teatro e sono juventino e ti assicuro che ne vado fiero, se poi è "importante" levarsi di dosso questa malattia beh...io in questo caso me ne farò una ragione.

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    1. Caro Lor, solo oggi mi accorgo di questo dialogo. Mi sembra di capire che nemmeno tu hai aasistito allo spettacolo, quindi non vedo come tu possa affermare che non merita di essere visto. Eppure, sia all'inizio che nel corpo della mia recensione mi sembra di aver ben descritto quali dinamiche affronti (in modo comico) l'autore Angelo Sateriale. Non mi interessa nulla, in questo contesto, la faccenda "tifosa" e ti assicuro che in quei giorni lo spettacolo è stato visto da tanta gente al di fuori da certe logiche. Poi vorrei capire cosa intendi quando parli delle dinamiche di quello che tu definisci un mondo sporco (ce n'è uno pulito?), tanto da "mettere in discussione" la mia recensione. Stai insinuando qualcosa sulla mia professionalità? Fammi sapere.. Paolo Leone.

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  5. Risposte
    1. a poveraccio juventino ciuccia.....di tutta quanta la famiglia Agnelli!

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