06 maggio, 2014

“Se nummari”: uno spettacolo forte e commovente. Di Laura Cavallaro


Teatro Angelo Musco di Catania dal 3 all’8 maggio 2014

Se nummari:

Foto Antonio Parrinello
Commovente e forte, voglio usare solo questi due aggettivi, tra i tanti che mi scorrono nella mente, per descrivere lo spettacolo Se' nùmmari (Sei numeri) di Salvatore Rizzo, in scena al Teatro Angelo Musco di Catania dal 3 all’8 maggio 2014. A firmare la regia, la scenografia e i costumi dell’atto unico, nuova produzione  del Teatro Stabile di Catania, è Vincenzo Pirrotta, il quale racconta con lo stile registico che lo contraddistingue, la storia di Orazio e Anna, rispettivamente interpretati da Filippo Luna e da Valeria Contadino, e del loro matrimonio che giorno dopo giorno si sgretola sotto il peso della difficoltà di crescere un figlio affetto da tetraplegia spastica.
Dal momento in cui viene diagnosticata la malattia, tra Orazio e Anna si crea una distanza incolmabile, scandita dagli sguardi degli altri, dalle visite mediche e dai riti quotidiani per accudire una pietà di marmo, inesistente sulla scena, che vive inferma in un letto. Avere azzeccato i sei numeri al Superenalotto sembra la chiave di svolta per una vita migliore, ma quest’apparente felicità li porterà ben presto a perdere il lume della ragione.                                             
Lo spettacolo inizia con due fantasmi, due sagome che si aggirano tra lunghe strisce di tulle bianco poste a mo’ di tende, e che ripetono in maniera spasmodica e convulsa i numeri della vittoria. L’eccitazione all’idea di essere finalmente liberi dai problemi di una vita di stenti e povertà lascerà ben presto posto alla consapevolezza che un fardello pesante li lega a quel limbo terrestre nel quale vivono, spingendoli a compiere il più efferato dei crimini.                                                                                                                        
I brevi momenti di dialogo tra Anna e Orazio si alternano a lunghi monologhi, attraverso i quali, ognuno racconta il dramma da una visuale soggettiva: quella del padre e quella della madre. Orazio non riesce più a fare l’amore con sua moglie, che in qualche modo lo reputa colpevole, chissà poi di cosa, forse della malattie del figlio che lui vorrebbe almeno con il pensiero allontanare da loro o sostituirlo con una nuova vita, sana, perché se in una famiglia c’è solo un figlio questo catalizza tutte le apprensioni dei genitori su di sé.
Foto Antonio Parrinello
Anna sa bene quanto la figura del padre sia importante ma è pur consapevole di quel coraggio che contraddistingue le madri. La madre è colei che genera un figlio, che con lui crea sin da subito un rapporto simbiotico, e si sente straziare il cuore quando l’unica cosa alla quale ambisce, da ben diciotto anni, è sentire pronunciare dalle sue labbra la parola mamma, una parola che probabilmente non avrà mai modo di sentire. Alla fine una vena di umanità ritrovata traspare dalla voce dei due protagonisti, i quali abbandonata la ferocia animalesca (“Du cani semu, un cani iu una cana tu”), cercano di ritrovarsi.                                           
L’interpretazione di Valeria Contadino è viscerale e lancinante, sebbene la complessità del personaggio, riesce con grande abilità a raccontare la vita martoriata di Anna , tanto che a conclusione dello spettacolo avvertiamo ancora forte la commozione sul suo viso.
Ottimo contraltare a Filippo Luna la cui bravura tocca alti livelli recitativi. Nel vestire i panni di quest’uomo sventurato, Luna affila sempre di più, in una escalation, il dolore che cova in petto nei confronti di quella vita che si è accanita con forza bruta contro di loro, respingendoli lontano dalla felicità anche quando le cose sembrano voler cambiare a tutti i costi .
La regia di Vincenzo Pirrotta ha uno stile facilmente ravvisabile, con tutta la potenza che è tipica del cuntu dialettale, sottolineata dalla ripetizione delle parole, dalla loro dilatazione, e da una enfatica gestualità. La simbologia è ricorrente, come quando appare sul palcoscenico un macabro albero della cuccagna o una radio dalla quale si odono versi quasi inumani. Il testo, rigorosamente in dialetto risente dell’inflessione palermitana, ma si può facilmente universalizzare, non c’è infatti un luogo specifico a cui rimanda l’ambientazione. Un plauso speciale va alle musiche firmate da Giacomo Cuticchio, il quale ha saputo concepire con grande maestria i brani le cui peculiarità principali sono di saper sottolineare il pathos della pièce, emozionandoci ad ogni nota.
Uno spettacolo catartico che affronta con cuore e sentimento, sebbene a tinte forti, il dolore di coloro che vivono situazioni di disagio, e mai come in questo caso ci dimostra che il teatro non è solo evasione ma anche l’arte attraverso la quale riflettere sulla vita.

Laura Cavallaro



Se' nùmmari (Sei numeri)
novità assoluta
di Salvatore Rizzo
regia, scene e costumi Vincenzo Pirrotta
musiche Giacomo Cuticchio
luci Franco Buzzanca

con Filippo Luna, Valeria Contadino
produzione Teatro Stabile di Catania
Catania, Teatro Musco, dal 3 all'8 maggio 2014

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