14 aprile, 2014

NEW YORKER HOTEL 3327. PROMETEO TRADITO. Di Daria D.


Teatro Litta, Sala la Cavallerizza, Milano. Dall’11 al 14 aprile 2014, in anteprima

Interessante e suggestiva la regia e la scelta drammaturgica del Progetto Robur, gruppo creativo di giovani talenti, di portare in scena, nell’ambito del progetto APACHE, in uno spazio così insolito com’è la Sala della Cavallerizza del Teatro Litta a Milano, la figura, probabilmente sconosciuta ai più, dello scienziato Nikola Tesla.
Ma cos’è che hanno colto Gianluca Panareo e Margarita Egorova della vita di Tesla, scienziato nato nel 1856 nel Regno di Croazia e Slavonia e trasferitosi nel 1884 negli Stati Uniti con una lettera di credenziali per Thomas Edison a tal punto da spingerli a farne una messa in scena?  Possiamo dire senz’altro l’analogia di Tesla con Prometeo, come dice il sottotitolo, il cui significato è “colui che riflette prima”, il titano di cui Byron scrisse “Il tuo delitto divino fu l’essere gentile/di rendere con i tuoi precetti la somma/ dell’umana infelicità minore”.  E per Tesla “la scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità”.
Il titano che osò sfidare Zeus per donare il fuoco agli uomini ispirò Eschilo, Shelley, Gide, Calderon de la Barca, von Hofmannsthal, Camus, Pavese in letteratura e in musica Fauré, Listz, Scrjabin, Saint-Saens, Nono, Orff, gradi artisti che hanno saputo usare la fiamma del sapere al meglio e poi farne dono agli altri.
Da quanto ne sappiamo, Tesla era una personalità sui generis, celibe, asessuale, maniaco dell’igiene, sostenitore dell’eugenetica, inetto a gestire le sue finanze, pieno d’ idiosincrasie, rifiutò il Premio Nobel nel 1912 come rivendicazione per non averlo preso nel 1909 al posto di Guglielmo Marconi, morì solo nel New Yorker Hotel per un infarto all’età di 86 anni, nullatenente, lasciando debiti consistenti.
Al momento della morte nel 1943 stava lavorando a quello che fu ribattezzato “il raggio della pace” e l’anno seguente la Corte Suprema degli Stati Uniti lo riconobbe come inventore della radio. E’ considerato anche “l’uomo che inventò il Ventesimo secolo”.  Insomma, quello che si dice un genio, naturalmente incompreso, o almeno non del tutto, e secondo i fondatori di Robur, tradito.
Tanto materiale sulla sua vita, vero o presunto che sia, si sono trovati tra le mani i due drammaturghi, e senz’altro non sarà stato facile estrapolarne i momenti salienti, quelli da portare sulla scena per farli raccontare da un somigliantissimo Alberto Baraghini, a parte la statura visto che Tesla era alto circa due metri, ma l’attore recita su un tavolo e quindi…
Lo spettacolo comincia quando la stessa Egorova, una minuta e graziosa Statua della Libertà che tiene in mano una candelina, ci conduce davanti alla Sala della Cavallerizza sui cui battenti leggiamo “Tesla Alternating Current” e da cui provengono voci da chi, presumiamo, sta cercando qualcosa nel suo laboratorio, senza saper eche lo scienziato aveva “il laboratorio nella sua testa”. E quindi dovrà accontentarsi solo di appunti disordinati tra cui noi spettatori ci troveremo seduti, una volta in sala.
All’interno, tra rombi di tuoni e lampi di luce, Baraghini/Tesla ci appare sotto una pioggia di lampadine nude, sfavillanti, e qui comincia a raccontare di sé, a parlare con Edison, con Marconi, a rivelarci un po’ della sua personalità, del suo impegno prometeico “camminando attraverso i fulmini” per donare agli uomini strumenti per innalzarsi e sconfiggere la paura degli dei, perché solo allora gli Dei spariranno.
Qualche osservazione di carattere registico, mi sento di fare: la parte in cui gli spettatori aspettano fuori ascoltando le voci che provengono da dentro, è troppo lunga, dopo i primi minuti perde di forza e di sorpresa e poi manca l’atmosfera che il bel titolo ci lascia immaginare. Dov’è l’uomo di ottantasei anni che vive al limite della pazzia in un hotel di New York, solo e pieno di manie? Insomma ci voleva una piccola sferzata nella regia della recitazione  per rendere il personaggio un po’ meno uniforme  e più interessante.
Per il resto, un lodevole impegno, dalla scenografia, alle musiche, ai costumi, bravo Baraghini alla sua prima prova da solista, e grazie ai registi e drammaturghi per avere scelto un tema che vale la pena senz’altro di approfondire, per la sua originalità, diversità e anche non facile approccio.
Ben vengano tutti i tentativi che incoraggino lo spettatore a fare un salto fuori dal convenzionale, dalla tradizione, dalla fruizione passiva, dai sentieri conosciuti dove non si rischia di cadere e di pestare i piedi a nessuno.
Ricordiamoci tutti di essere un po’ più Prometei, allora.

Daria D.


NEW YORKER HOTEL 3327. PROMETEO TRADITO.
REGIA di GIANLUCA PANAREO, SAVERIO ASSUMMA DE VITA.
DRAMMATURGIA di GIANLUCA PANAREO E MARGARITA EGOROVA
Con ALBERTO BARAGHINI
e MIKE KHALE

PROGETTO ROBUR

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