04 febbraio, 2014

THE WOLF OF WALL STREET: LE FOLLIE DELL’ ALTA FINANZA NELLA NUOVA MARATONA DI SCORSESE. Di Francesco Vignaroli


Cortona, Cinema Teatro Signorelli, domenica 2 febbraio 2014

L’ascesa e la rovina di Jordan Belfort (Di Caprio), broker newyorkese senza scrupoli che diventa milionario rifilando pacchi su pacchi a milioni di sprovveduti investitori statunitensi attraverso la “Stratton Oakmont”, la società da lui stesso fondata partendo da un ex-garage come ufficio e da una scalcagnata banda di perdigiorno come collaboratori. La scalata verso le vette dell’alta finanza da parte del rampante “Lupo di Wall Street”, come lo ribattezza la rivista “Forbes”, sembra inarrestabile, e tutti i suoi sogni finiscono per realizzarsi uno dopo l’altro –auto, donne, case, barche…cosa volete che desideri un arrivista ?!- almeno finché l’FBI non decide di ficcare il naso nelle fortune della società…ed il passaggio dall’altare alla polvere (tanta, bianca), grazie anche agli incredibili errori compiuti dai collaboratori, è rapido!

Per raccontare tutta la pazzia, l’amoralità e la volgarità che caratterizzano (solo in parte?) il mondo della finanza americano, Scorsese sceglie il registro del grottesco, mostrandoci con una ripetitività meccanica, quasi ossessiva, soprattutto nella prima metà (l’ascesa) di questo film fluviale, l’aberrante routine di eccessi d’ogni tipo (chimici, sessuali, verbali, comportamentali…) praticati da un semi-dio e dai suoi seguaci, tutti evidentemente afflitti da un colossale (e in parte, ma solo in parte, artificialmente indotto) delirio di onnipotenza, tutti convinti della propria immortalità. I pochi momenti veramente drammatici -che trovano posto prevalentemente nella seconda parte dell’opera (la caduta), più meditativa e contenuta-, (la lite tra Jordan e la prima moglie, la tentata fuga in macchina di un Jordan strafatto con la figlioletta, l’arresto nel finale) o toccanti (il ricordo della triste situazione economica e personale della collaboratrice, “resuscitata” grazie all’interessamento del munifico demiurgo), finiscono inevitabilmente per essere riassorbiti nel gorgo patetico e surreale che è diventata la vita di Jordan, un uomo che ha perso quasi ogni contatto con la realtà, stravolto tanto dalle droghe sintetiche –in certi momenti, sembra quasi di ritrovarsi in un “TRAINSPOTTING” versione USA- quanto dalla “DROGA PIU’ POTENTE DI TUTTE: IL DENARO”. Solo l’arresto ed il conseguente crollo del suo impero sembrano -sembrano!- riportare il protagonista con i piedi per terra, salvo poi ritrovarlo di nuovo, irriducibile, con lo stesso entusiasmo di un tempo, ad indottrinare aspiranti ricchi sui metodi della persuasione (“CORAGGIO: VENDIMI QUESTA PENNA!... PER VENDERE LA PENNA DEVI CREARNE IL BISOGNO!”), in Nuova Zelanda…del resto, si sa che il Lupo perde il pelo, ma non il vizio!




Dietro la parvenza di una commedia grottesca tutta baccanali e gioia-desiderio(illusione) di vivere, si cela forse il film più duro e impietoso di Scorsese, che irride il capitalismo americano con uno sguardo di implacabile lucidità, mai partecipe né tantomeno complice, ribaltando il mito-cardine dell’individualismo americano, quello del “self-made man”, in “self-destruction man”. L’unico appunto che mi sento di muovere a “THE WOLF OF WALL STREET” riguarda il fatto che la storia, soprattutto nella prima parte, risulta un po’ appesantita da certe lungaggini di troppo,   causate forse dall’intento, da parte del regista, di calcare la mano il più possibile nel rappresentare la degenerazione dell’ambiente finanziario, a costo, quindi, di incappare in qualche barocchismo (sia visivo che narrativo) nel mettere in scena le perip(a)zie di Belfort & soci, in questo assecondato da un DiCaprio (premiato ai recenti “GOLDEN GLOBE AWARDS”come miglior attore protagonista) costantemente sopra le righe, la cui forsennata recitazione a tratti avvince (vedi i monologhi rivolti al personale), mentre in altri lascia qualche perplessità in quanto a senso della misura…a proposito di DiCaprio: ma quando si decideranno, i direttori del doppiaggio italiano, a rendersi conto che l’attore è cresciuto sia anagraficamente che artisticamente e che quindi necessita di una voce più “adulta”?


Francesco Vignaroli

1 commento: