06 novembre, 2013

Alberto Testa. Spoleto e la Danza ieri e oggi. Intervista curata da Stefano Duranti Poccetti


Alberto Testa, danzatore, coreografo, critico, saggista… L’ho incontrato al Festival dei Due Mondi di Spoleto e si è dimostrato veramente molto gentile e disponibile a rilasciarmi questa intervista durante un pranzo alla taverna La Lanterna, uno degli storici luoghi d’incontro dei personaggi che frequentavano e che frequentano questo Festival.

Maestro, per iniziare, mi dica liberamente cosa pensa del Festival dei Due Mondi di Spoleto…

È dal 1958, quando iniziò, che vengo al Festival dei Due Mondi.  L’ho sempre considerato un evento unico, uno dei più importanti non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. Oramai ha una sua struttura ereditata e consolidata e, fin dall’inizio sotto la geniale direzione di Giancarlo Menotti, il Festival ha sempre favorito i giovani mettendo a confronto le diverse arti dello spettacolo, perché egli era ben convinto che “Tous les arts se tennient par la main” ovvero che tutte le Arti si tengono per mano.
Si è trattato di un Festival di grande qualità perché, lo sappiamo, oggi nessuno “fa ciò che sa e nessuno sa ciò che si fa”, ma a quel tempo se io facevo qualcosa lo si sapeva; ci si conosceva di più e si cercava di confrontarsi e di favorire le cose più meritevoli.
Qui, a Spoleto, ho creato il “Teatrino delle 7”, divenuto poi “delle 6”, per comodità di orari. Mi trovai a dividere lo spazio con grandi personalità, come per esempio, addirittura Jerzy Grotowsky (era l’edizione del 1967).

Spoleto ha visto moltissime personalità nella sua storia, una per esempio è Martha Graham…

Martha Graham, a dire il vero, venne a Spoleto molto tardi, nel 1994; prima erano venuti i suoi esegeti.
Nell’arco degli anni sono comunque approdati altri grandissimi personaggi della danza, come Luis Falco, Jean Cébron con Pina Bausch…A proposito di Pina Bausch, ho in seguito rimpianto quell’opportunità essendosi poi dedicata alla coreografia, a quel genere ormai famoso, detto Teatro-Danza.  Era considerata una grande danzatrice moderna e lo era veramente,  straordinaria!

Come ha visto cambiare questo Festival nell’arco degli anni?

Gli anni clou furono i ‘60, ‘70 e ‘80; poi, purtroppo, con il figlio di Giancarlo Menotti il Festival ha preso un’altra piega consentendo  a Compagnie non proprio eccellenti di partecipare alla rassegna.  Adesso stiamo assistendo a una risalita e quest’anno il Festival si è riqualificato percorrendo binari ben lubrificati.

All’inizio della sua storia il Festival era più puntato sulla Musica che sul Teatro di prosa, vero?

È vero, il Festival all’inizio si concentrava più sulla musica e sulla danza; c’era però anche il teatro di   prosa con grandi produzioni e attori, non solo italiani.

Al Festival di quest’anno abbiamo visto il ritorno di Alessandra Ferri con “The Piano Upstairs” e abbiamo assistito alle coreografie di Mark Morris. Che ne pensa?

Alessandra Ferri è stata straordinaria, fluida, veramente un incanto vederla. Anche lo spettacolo di Morris è stato eccezionale, un’esecuzione perfetta, impeccabile, dove danza e musica andavano bene insieme. Morris è originale, creativo e ha un linguaggio coreografico tutto suo, perché parte da una base classica ma la sa poi trasformare in un qualcosa di meravigliosamente personale.
  
Che definizione darebbe della Danza?

La danza è una. Ciò che non si può dire a parole, si dice con  il movimento del corpo”.

Lei ha scritto anche molti libri riguardo alla Danza…

Ho scritto molti libri, storico-critici e non solo: adesso mi viene in mente “Parole di Danza”,  un compendio di  epigrammi, aforismi, sentenze, dettati da poeti dall’antica Grecia ad oggi (tradotto in francese e in inglese); In seguito, “Sulla Danza-Memorie, riflessioni ovvero Come si legge un balletto-l’intelligenza del cuore”: un saggio sulla lettura coreografica di un balletto, lettura analitica come lettura di cuore, come dice il titolo. C’è poi anche il volume “I grandi balletti”, un altro saggio e anche una specialità che ripercorre la storia dello spettacolo di danza.

Lei, che della Danza è anche critico, cosa pensa della critica odierna?

Non vedo critici particolarmente significanti all’orizzonte mentre vedo molti teorici e studiosi seri. Una volta la critica era un documento che rimaneva, erano fogli e fogli scritti, non trafiletti. Ricordo ancora gli articoli di Gino Tani, Luigi Rossi, Mario Pasi e anche l’intervento di musicologi interessati alla danza come Fedele d’Amico e Massimo Mila. Comunque questa degenerazione odierna la vedo a vasto raggio visto che i quotidiani più letti non chiedono di scrivere recensioni sui balletti rappresentati ma, caso mai, di fare delle presentazioni e io chiaramente mi rifiuto. Ciò ha ben poco di personale in quanto si tratta di  riprodurre comunicati stampa. I francesi invece tengono ancora a un modo alto di fare critica; gli italiani non più, purtroppo. Una volta la critica era completa: si parlava della storia, dell’interpretazione, si faceva l’analisi dello spettacolo e si faceva persino la differenza tra le diverse messe in scena della stessa pièce. Era insomma una opinione  precisa che consigliava allo spettatore più o meno di andare a teatro. Una volta erano critiche formanti un gusto, documenti che rimanevano, mentre oggi quello che viene scritto è destinato a morire subito.

Qual è la situazione italiana della danza?

In verità, oggi, non si provvede a indirizzare formando il gusto del pubblico. È grave danno! C’è troppa confusione di generi a causa anche della televisione che non provvede a scelte oculate e soprattutto non a fini educativi. C’è, francamente, uno smarrimento generale per cui la presenza del critico sarebbe non solo chiarificatrice ma anche educativa. E della sua assenza la danza soffre non poco. Per contro, ci sono molte forze giovanili che studiano le tecniche, non solo quella di base classico-accademica ma anche quelle moderne o contemporanee affinché anche la danza vada incontro al suo futuro. A questo punto direi, ispirato da Ninette de Valois, grande iniziatrice del balletto inglese nel XX secolo: “Conservate il balletto classico. Annunciate il futuro ma rispettate il presente”.

La televisione corrompe l’Arte della Danza o la vivifica?

Molti ballerini che vediamo oggi sulla scena teatrale e sullo schermo televisivo hanno preparazioni rigorose e provengono da studi regolari e anche da una disciplina del corpo e dello spirito abbastanza conforme alle esigenze del mondo d’oggi che è anche televisivo. Attenzione: è grave errore, però, confondere l’arte della Danza con una attitudine di ballo sociale del genere Standard o Latino-Americano. Così, a buon intenditor… poche parole. Questo parere mi sembra molto educativo ai fini del mantenimento di una tradizione, di un gusto e dell’estetica mai abbastanza raccomandata.



Curata da Stefano Duranti Poccetti

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