25 ottobre, 2013

“Sacro Gra”... COMME CI, COMME CA. Di Francesco Vignaroli


Il francesismo del titolo, in omaggio alla trasferta transalpina del nostro Direttore (poi non dite che sono un ruffiano, eh!), esprime tutta la mia perplessità nei confronti del film vincitore della 70esima mostra del cinema di Venezia.
Ci sono vari approcci possibili al genere documentario: il documentario classico, nell' accezione propria del termine che, come riportato dai dizionari, consiste in un "film di contenuto informativo o divulgativo, senza trama narrativa"; il docu-fiction, che prevede l' innesto di elementi narrativi/ artificiosi a supporto di un più generale impianto di matrice didascalico-informativa (ne è un esempio il celeberrimo e già citato in un precedente articolo "NANUK L' ESCHIMESE" , del regista statunitense Flaherty, 1922); il documentario d' inchiesta, che mira a chiarire un determinato argomento/problema attraverso l' intervista diretta alle persone e il resoconto delle ricerche svolte sul campo da studiosi o dall' autore stesso (come nel caso di "COMIZI D' AMORE" di Pasolini, del 1965, o dei lavori di Michael Moore); il documentario poetico che, spesso privo di dialoghi, cerca di coinvolgere ed emozionare il pubblico affidandosi esclusivamente alla forza delle immagini e del montaggio (come nel caso della "TRILOGIA QATSI" di Godfrey Reggio)...
"SACRO GRA", del regista Gianfranco Rosi, è un' opera a parer mio collocabile a metà strada tra il film poetico e la ricostruzione "flahertyana", senza però risultare alla fine né un esempio convincente dell' uno, né dell' altra.



Entrando nei dettagli, il film mostra schegge di vita, mescolate in ordine -almeno apparentemente- casuale, appartenenti ad alcune persone che vivono e lavorano nel microcosmo costituito dal Grande Raccordo Anulare, l' enorme cerchio d' asfalto che circonda la città di Roma. I protagonisti di "SACRO GRA" vengono ripresi mentre parlano, riflettono, si riposano, mangiano, si dedicano alla propria professione...il tutto senza alcun commento fuori campo né intromissioni dirette da parte del regista (che di fatto non compare mai nelle inquadrature); ad inframmezzare sporadicamente le varie storie, intervengono alcune inquadrature panoramiche o naturalistiche che mostrano, per fare alcuni esempi, un gregge di pecore -in apertura- che pascola placidamente a due passi dall' autostrada, poi nuvole, palazzi, il traffico notturno sul GRA...E' davvero tutto qui: inevitabile, all' uscita dalla sala, avvertire una certa inconsistenza di fondo del progetto e domandarsi quindi "QUAL E' LO SCOPO DI QUESTO FILM? IN COSA CONSISTE LA SUA RIUSCITA?" Interrogativi legittimi, visto che ci troviamo di fronte ad un documentario, che per di più ha conquistato la vittoria in uno dei più importanti festival cinematografici del mondo. Se l' intento principale di "SACRO GRA" è quello di mostrare la vita vera di queste persone, non ci siamo proprio: né la struttura frammentaria e alternata degli episodi, né soprattutto i momenti di vita selezionati aiutano a farsi un' idea di chi siano o come vivano i protagonisti (al massimo, possiamo cogliere sullo sfondo, sbiaditi, i problemi e le abitudini che caratterizzano la nostra vita di italiani degli anni duemila); la scelta delle esistenze, inoltre, rivela chiaramente di rispondere ad un unico requisito primario, quello dell' eccentricità (l' attore di fotoromanzi, il principe piemontese, l' esperto di palme...l' unica eccezione è costituita dal soccorritore), col risultato che le persone si trasformano in "personaggi", e ciò a tutto svantaggio della spontaneità e della credibilità del film. A tal proposito, dopo aver letto le dichiarazioni del regista Bernardo Bertolucci -presidente della giuria che ha decretato la vittoria del film- , il quale aveva definito "SACRO GRA" un' opera di purezza francescana, stupisce ritrovarsi di fronte ad un film nel quale qua e là, sia nei dialoghi che nei comportamenti dei protagonisti, si ha la netta impressione di una certa artificiosità del tutto, con individui più propensi a recitare "in favore di camera" secondo un copione prestabilito (il principe e il salvatore delle palme su tutti), che impegnati, semplicemente, a vivere...
Il film risulta carente anche se ipotizziamo che il suo obiettivo sia fare poesia attraverso le immagini: non ci sono momenti liberatori o emozionanti da ricordare, e il montaggio non offre soluzioni particolarmente originali che esulino dal "già detto".
Per concludere, nonostante risulti chiaramente la mia delusione per un film dal quale mi aspettavo molto di più, non posso certo affermare, non avendo visto le altre opere in concorso, che la vittoria di "SACRO GRA" a Venezia '70 sia immeritata, anche se è lecito avere dubbi in proposito...ciò detto, rimane comunque il forte valore simbolico e innovativo della prima, storica affermazione assoluta di un documentario in una manifestazione che si era dimostrata da sempre piuttosto refrattaria al genere.


Francesco Vignaroli

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