13 giugno, 2013

“È troppo tardi per scappare” di Gildo De Stefano. Tra Napoli e Droga. di Annamaria Alagna


Nel vasto fiorire letterario dedicato alla camorra è uscito fresco di stampa l’ultima opera narrativa di Gildo De Stefano, dal titolo “È troppo tardi per scappare”, (Ilmondodisuk Editore, Napoli 2013, pagg. 110, €. 11,00). De Stefano, giornalista e sociologo, alterna l’attività di saggista musicologo a quella di narratore, forte della gratificazione di essere entrato nella rosa dei finalisti dell’autorevole Premio Calvino negli anni Novanta, e si cimenta per la seconda volta (la prima è stata nel 2007 con un romanzo breve per ragazzi sul fenomeno della droga) con una raccolta di racconti che prendono spunto dai misfatti di cronaca di Scampia.
Le dimensioni assunte dal fenomeno della delinquenza organizzata a Napoli riposano su una realtà che è quella della solida presenza di una subcultura deviante in vaste aree del territorio urbano e metropolitano. Da questa realtà parte l’autore per raccontare il disagio sociale di Patrizia, Veronica, Carmela, Nunziatina, quattro donne racchiuse in tre racconti che colgono situazioni di vita che formano un quadro agghiacciante del ruolo femminile nel più grande supermercato europeo della droga, Scampia. Donne d'onore vistre attraverso un’angolazione tutta diversa, che disegna una mappa del dolore, della violenza, delle assurde condizioni in cui una parte di metropoli vive al limite dell'intollerabile. De Stefano utilizza una lingua quasi tutta costituita dal parlato e, in casi rari, dal dialetto, a tratti vivacissima, anche se in tale contesto la lingua si è corrotta, il grezzo è diventato la lingua ufficiale, un idioma di consumo, tuttavia di grande naturalezza quasi ad invocare un gusto letterario e di notevole intensità espressiva da non togliere nulla alla sua capacità di coinvolgimento e alla straordinaria potenza inventiva del linguaggio.
L’autore ha tracciato una narrazione abbastanza levigata con l’auspicio che dia l’impressione di una certa maturità editoriale, e lo fa descrivendo scene veloci, ricche di dettagli, che raccontano fatti a volte atroci in una maniera calma, quasi ovattata, come a sottintendere che quei fatti non sono eccezionali ma normale amministrazione. Egli ha cercato di descrivere questi personaggi in modo elegante, talvolta anche eccessivo ed imbarazzante, perché si potrebbe scambiare per indifferenza morale, dato che rappresenta il male e la crudeltà con uno stile plastico, con parole messe –mi auguro- tutte al posto giusto. I suoi abituali lettori normalmente sono abituati ad una scrittura saggistica poiché De Stefano è soprattutto un musicologo, tuttavia in questa opera è riuscito a far trasparire dal tessuto dialogico la potenza e la capacità rappresentativa. Tre racconti in cui egli cerca di disegnare un quadro, uno stato d'animo, le strettoie e le costrizioni, le servitù, che donne e bambini vivono in un quartiere dove vigono regole spietate; e dove lo Stato è assente o non ha alcun valore.


Annamaria Alagna

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